Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18588 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. I, 09/09/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 09/09/2011), n.18588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.S. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI GONZAGA 37, presso l’abitazione del sig. B.

S., rappresentato e difeso dall’avvocato DI FRANCESCO OLINDO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro-

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 170/07 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA

del 16.2.09, depositato il 04/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che A.S., con ricorso del 16 aprile 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo sei motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Caltanissetta depositato in data 4 marzo 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dell’ A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 2.000,00, a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale – richiesto nella misura, rispettivamente, di Euro 3.000,00 e di Euro 15.000,00 – per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 2007 – era fondata sui seguenti fatti: a) l’ A., asseritamente titolare di spettanze retributive nei confronti del Fallimento della COMIN di G.M., si era insinuato al passivo di tale fallimento ed aveva successivamente proposto opposizione allo stato passivo con ricorso del 2 dicembre 1998 dinanzi al Tribunale di Agrigento; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 18 gennaio 2002; c) il giudizio di appello, promosso dall’ A. nel 2003, si era concluso con sentenza dell’11 maggio 2006;

che la Corte d’Appello di Caltanissetta, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in due anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado ed in altri due anni quella del giudizio d’appello, tenuto conto che oggetto di causa era il recupero di crediti di lavoro – ha ritenuto eccedente per un anno ciascuno la durata ragionevole dei due giudizi ed ha quindi liquidato la somma di Euro 2.000,00 a titolo di equa riparazione, sulla base di un indennizzo annuo di Euro 1.000,00.

Considerato che con i sei motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la violazione del principio di non contestazione, tenuto conto che, nel costituirsi in giudizio, il Ministro della giustizia non aveva contestato la domanda nè nell’an nè nel quantum, con la conseguenza che la stessa domanda avrebbe dovuto essere integralmente accolta; b) la omessa considerazione che il processo presupposto – iniziato con la insinuazione al passivo del Fallimento della COMIN di G. M. del 13 gennaio 1997 e proseguito con la opposizione al passivo del 2 dicembre 1998 – ha avuto una durata complessiva di circa nove anni; c) la erronea applicazione dei criteri di determinazione dell’indennizzo; d) l’omessa motivazione in ordine alla domanda di indennizzo dei danni patrimoniali; e) la ingiusta compensazione delle spese di lite per la metà;

che il ricorso non merita accoglimento;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente inammissibile, sia perchè è priva di autosufficienza, non indicando specificamente e testualmente le difese svolte dalla Avvocatura dello Stato in ordine alla domanda di equa riparazione proposta dal ricorrente, sia perchè il relativo quesito di diritto formulato è, al pari del motivo, assolutamente generico;

che la censura sub b) è del pari manifestamente inammissibile, perchè il ricorrente non tiene sufficientemente conto che il processo presupposto è costituito da un procedimento fallimentare;

che, in particolare, alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle procedure fallimentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Europea, esse non dovrebbero superare la durata complessiva di sette anni (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22408 e 8347 del 2010), ciò in quanto, tenendo conto della peculiarità del procedimento fallimentare, il termine di tre anni, che può ritenersi normale in procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso (cfr. la sentenza n. 20549 del 2009), ipotesi questa che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del case, della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti;

che pertanto il ricorrente, a fronte della motivazione adottata dal decreto impugnato, avrebbe dovuto specificare tali circostanze e, sulla base di queste, censurare la determinazione della durata ragionevole dei processi di primo e di secondo grado effettuata dai Giudici a quibus;

li che la censura sub c) è manifestamente infondata, perchè – una volta affermata la durata irragionevole dei processi presupposti pari a due anni – la determinazione dell’indennizzo pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno non si discosta sostanzialmente dall’orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, di due anni per il giudizio d’appello, di un anno per il giudizio di legittimità e di un ulteriore anno per la fase di rinvio, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che la censura sub d) è del pari manifestamente infondata, perchè – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – i Giudici a quibus hanno specificamente motivato sulla reiezione della domanda di indennizzo dei danni patrimoniali sia quanto alla mancanza di prova in ordine ai dedotti maggiori esborsi per spese legali, sia quanto alla pretesa omessa rivalutazione monetaria del credito ammesso al passivo fallimentare;

che la censura sub e) è manifestamente infondata, perchè – com’è noto – la compensazione parziale o per intero delle spese di lite rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali attribuiti al giudice che, nella specie, ha anche puntualmente e congruamente giustificato l’esercizio del potere;

che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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