Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18586 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9956/2015 proposto da:

M.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato M.G., giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Capurso, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 2, presso lo Studio Placidi,

rappresentato e difeso dall’avvocato Petronella Domenico Emanuele,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

M.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato M.G., giusta procura a margine del

ricorso successivo;

– ricorrente –

contro

Comune di Capurso, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo Studio Placidi,

rappresentato e difeso dall’avvocato Petronella Domenico Emanuele,

giusta procura a margine del controricorso;

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 164/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, del

17/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2020 dal cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 17 febbraio 2014 la Corte d’appello di Bari: a) ha respinto l’appello di M.M. nei confronti del Comune di Capurso, confermando, in conseguenza, il rigetto della domanda risarcitoria proposta dal primo nei confronti del Comune e della cooperativa Case Nuove, e, quanto al regolamento delle spese, la disposta compensazione delle stesse relative al giudizio dinanzi al Tribunale); b) ha “dato atto” del diritto di M.M. ad ottenere dal Comune il pagamento della somma di Euro 9.938,20, oltre interessi legali dal 30 marzo 2000 al saldo; c) ha condannato il M. al pagamento delle spese del grado; per altro verso: d) ha accolto l’appello del Comune di Capurso nei confronti di M.I. e, in conseguenza, ha rigettato la domanda proposta da quest’ultima, dando atto che ella aveva diritto al pagamento della somma di Euro 2.874,52, oltre interessi legali dal 16 marzo 2000 al saldo; b) ha condannato la M. al pagamento, nei confronti del Comune, delle spese del doppio grado del giudizio.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che condivisibilmente il giudice di primo grado aveva ritenuto, con riguardo alle particelle (OMISSIS) (ossia le aree sulle quali la realizzazione del p.e.e.p. era stata affidata alla cooperativa Case Nuove), che l’atto di concordato del 30 marzo 2000, con il quale il M. aveva accettato l’espropriazione nonchè l’indennità d’esproprio, si fosse accompagnato ad una esplicita rinuncia, unilaterale e sostanziale, ai maggiori crediti di natura risarcitoria fatti valere in giudizio; b) che era inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., il motivo di appello con il quale si lamentava l’inefficacia sopravvenuta dell’atto di concordato, in quanto introduceva una domanda nuova; c) che, in effetti, era stato proprio il M. a produrre l’atto in primo grado, per poi, solo in appello, porre la questione dell’inefficacia sopravvenuta; d) che, in ogni caso, la doglianza era infondata, dal momento che la lettura complessiva dell’atto e il principio di conservazione dettato dall’art. 1367 c.c. dimostravano che l’efficacia del negozio non era subordinata al pagamento dell’indennità concordata nel termine di centottanta giorni indicato nella clausola n. 2, poichè la successiva clausola n. 7 prevedeva che il Comune provvedesse al pagamento non appena fosse diventa esecutiva la delibera di approvazione dell’atto; e) che era stato il M. a non aver voluto sottoscrivere il successivo atto formale di transazione; f) che le somme dovute al M. erano, da ultimo, state poste a sua disposizione con assegno del 6 giugno 2011, notificatogli in pari data; f) che le doglianze del M., quanto al regolamento delle spese, erano infondate, poichè il primo giudice aveva congruamente motivato sul punto, avendo riguardo all’esito della lite; g) che la mancata produzione in primo grado dell’atto di concordato sottoscritto da M.I. era da imputare, secondo quanto emerso dalla ammessa prova testimoniale, a forza maggiore; h) che le considerazioni concernenti l’altra parte, quanto al significato del concordato, valevano a maggior ragione con riferimento a quello sottoscritto da M.I., nel quale mancava persino un riferimento al termine di centottanta giorni.

3. Avverso tale sentenza M.M. e M.I. hanno proposto distinti e speculari ricorsi per cassazione affidati a due motivi, ai quali ha resistito con distinti controricorsi il Comune di Capurso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate, sotto vari profili, dal Comune resistente.

1.1. Viene posta, in primo luogo, la questione di tardività del ricorso, dal momento che, in violazione dell’art. 147 c.p.c., la ricevuta di accettazione, da parte del server, della posta elettronica certificata (p.e.c.), con la quale l’atto di impugnazione era stato trasmesso, era avvenuta alle 22,38 dell’ultimo giorno utile (7 aprile 2015).

La doglianza è infondata.

Ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, comma 3, infatti, la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’art. 6, comma 2 stesso D.P.R..

Nel caso di specie, per il notificante la notifica si è appunto perfezionata, come riconosce lo stesso controricorrente, il 7 aprile 2015, ultimo giorno utile per la presentazione dell’impugnazione.

Del tutto infondata è la tesi del Comune, secondo la quale dovrebbe trovare applicazione l’art. 147 c.p.c., che è norma posta a tutela della posizione del destinatario della notifica.

Coerentemente, si è rilevato che, dichiarata l’illegittimità costituzionale, con sentenza n. 75 del 2019, del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies conv. con modif. nella L. n. 221 del 2012 – nella parte in cui prevedeva che la notificazione eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24, si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta -, trova applicazione anche in questa ipotesi il principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione (Cass. 21 febbraio 2020, n. 4712), talchè deve aversi riguardo, nella verifica della tempestività dell’impugnazione, al giorno in cui è generata la ricevuta di accettazione.

1.2. Il controricorrente eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso irritualmente notificato non presso il domicilio effettivamente eletto nel giudizio di secondo grado, con conseguente violazione dell’art. 330 c.p.c. Si aggiunge, inoltre, che la controparte avrebbe utilizzato un indirizzo di posta elettronica del difensore diverso da quello che quest’ultimo aveva indicato, al fine, peraltro, di ricevere comunicazioni dalla cancelleria.

Le doglianze sono infondate per l’assorbente ragione che, in tema di ricorso per cassazione, l’eventuale nullità della notificazione è sanata dalla predisposizione (e notifica) del controricorso ad opera della parte resistente, la quale si sia difesa nel merito, in virtù del generale principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., comma 3, (Cass. 12 luglio 2018, n. 18402).

1.3. Infine, il Comune osserva che parte ricorrente, pur indicando la cooperativa Case Nuove come debitore solidale, aveva omesso di notificare a quest’ultima l’atto di impugnazione.

La questione è infondata. Le critiche del ricorrente (per le quali v. anche infra), nonostante un cenno alla rilevanza che avrebbe la mancata partecipazione della cooperativa alla sottoscrizione dell’atto di concordato, sono dirette esclusivamente nei confronti della statuizione della decisione di primo grado con la quale è stata rigettata la domanda nei confronti del Comune. Conferma di tale rilievo si trae dal fatto che, nel chiedere una decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il ricorrente conclude per la condanna del (solo) Comune.

In altre parole, si versa nell’ipotesi di cause scindibili e non emerge, dall’impugnazione, la proposizione di temi comuni (Cass. 26 luglio 2019, n. 20313).

2. Con il primo motivo di entrambi i ricorsi, sostanzialmente sovrapponibili (e, pertanto, esaminati congiuntamente per economia di trattazione, con la puntualizzazioni che verranno via via evidenziate), si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., assumendo: a) l’inesistenza dei presupposti per una pronuncia di cessazione della materia del contendere, dal momento che l’interesse azionato in giudizio non era stato soddisfatto se non dopo la sentenza di condanna del Tribunale; b) l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti.

Premesso che la prima articolazione è del tutto fuori fuoco, giacchè, per quanto ancora rileva, non viene in questione alcuna pronuncia di cessazione della materia del contendere, ma di rigetto della domanda, si osserva che la pur non lineare esposizione della doglianza consente di evidenziare una critica indirizzata tanto alla ritenuta tardività della domanda avente ad oggetto la sopravvenuta inefficacia dell’atto di concordato quanto alla sua affermata infondatezza.

Ora, per intanto, deve rilevarsi che l’originaria pretesa risarcitoria fatta valere nel presente giudizio scaturiva dalla dedotta illegittimità dell’occupazione conseguente alla inefficacia del decreto d’esproprio (nessuna critica viene svolta, da parte ricorrente, al rilievo della decisione di primo grado, quando all’abbandono di quella “sorta di opposizione alla stima all’inizio spiegata sub conclusione 2 dell’atto di citazione”).

Al contrario, il contenuto del verbale di concordamento, nella misura in cui pacificamente ruota attorno all’accettazione dell’indennità di esproprio correlata alla procedura ablativa, prospetta un’evidente novazione del rapporto, ossia determina una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti (Cass. 11 novembre 2016, n. 23064). Tanto sarebbe sufficiente a comportare la reiezione di ogni censura, dal momento che l’inammissibilità della risoluzione della transazione per inadempimento sancita dall’art. 1976 c.c. nel caso in cui il rapporto preesistente sia stato estinto per novazione (salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato) non esige un’apposita eccezione della parte interessata, poichè attiene all’esistenza delle condizioni dell’azione, che il giudice deve rilevare anche d’ufficio (Cass. 7 novembre 2003, n. 16715).

Ad ogni modo, esaminando, in ragione della loro priorità sul piano logico giuridico e in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass. Sez. U., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9936), le critiche che investono la ritenuta infondatezza della domanda intesa a far valere la sopravvenuta inefficacia dell’atto di concordamento per mancato adempimento della prestazione del termine ritenuto essenziale, si osserva che la censura è inammissibile, perchè, a parte la mancata trascrizione del contratto, non indica quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati dai giudici di merito, nel momento in cui hanno escluso il carattere essenziale del termine (ciò che, peraltro, investe la posizione di M.M., dal momento che l’altra ricorrente non contesta l’assenza di un termine nell’atto di concordato da lei sottoscritto).

Al riguardo, va ribadito che le censure contenute nel ricorso per cassazione non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione di parte ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (v., ad es., Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n. 16987).

L’inammissibilità della censura appena indicata esime dall’affrontare le critiche rivolte all’autonoma ratio decidendi, concernente l’inammissibilità della domanda di sopravvenuta inefficacia.

Invero, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (v., ad es., Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

Infine, occorre considerare due ultimi profili sviluppati nella esposizione del motivo.

Secondo parte ricorrente, l’idoneità del concordato ad estinguere i maggiori diritti pretesi richiedeva anche il sostanziale coinvolgimento della cooperativa, quale debitore solidale.

Esclusa un’ipotesi di litisconsorzio necessario, il rigetto della domanda proposta nei confronti della cooperativa è divenuto definitivo, per le ragioni sopra ricordate, in difetto di impugnazione delle statuizioni nei suoi confronti, con la conseguenza che manca persino un interesse a sostenere il mancato coinvolgimento di quest’ultima nella rinuncia.

Infine, si osserva che la censura genericamente svolta da M.M. quanto al tema delle spese non coglie nel segno, giacchè il Tribunale, proprio in ragione delle vicende sopra descritte, aveva disposto la compensazione. Al contrario, la condanna al pagamento delle spese del secondo grado nasce da un appello proposto quando ormai l’atto di concordato era stato sottoscritto e segue al totale rigetto delle pretese svolte dall’appellante.

Con riferimento alla posizione di M.I., il ricorso censura la decisione della Corte territoriale che aveva condannato la ricorrente al pagamento delle spese del doppio grado, avendole rimproverato di non avere prodotto in proprio danno la copia del concordato.

La doglianza è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio decidendi, che ruota attorno al tema – decisivo – della totale soccombenza della parte.

3. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1 del Primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 10 Cost. e degli artt. 2043 e 2058 c.c., in ragione della lesione del diritto di proprietà sofferta al di fuori delle condizioni di legittimità prevista dalla citata convenzione e dalla Costituzione.

La doglianza è infondata, poichè la ratio decidendi è rappresentata dalla ravvisata rinuncia alla pretesa risarcitoria esercitata.

Siffatta rinuncia rappresenta un atto imputabile alla parte ed esclude l’imputabilità del pregiudizio lamentato a qualunque causa diversa dall’autonoma scelta operata dalla parte.

4. In conclusione, i ricorsi devono essere respinti e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese di questa fase, liquidate come da dispositivo, oltre che dichiarati tenuti al raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta i ricorsi. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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