Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18583 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/07/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 10/07/2019), n.18583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29867-2018 proposto da:

Z.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GOTI MASSIMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 59694/2017 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Milano, con il decreto in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da Z.Y., nata in Cina, la quale ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

La ricorrente ha riferito di essersi allontanata dalla Cina perchè ostacolata nella professione religiosa, quale cristiana della Chiesa di Dio Onnipotente, fede osteggiata e repressa dal regime comunista, e di essersi inserita in Italia attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa e l’apprendimento della lingua italiana.

Il Tribunale non ha ritenuto credibile il narrato della richiedente, mediante un’approfondita analisi delle dichiarazioni, delle incongruenze e delle lacune ed ha escluso che ricorressero i presupposti per alcuna delle forme di protezione richiesta.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Cina ed all’omesso svolgimento di attività istruttori.

Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi. Invero, a fronte della motivatamente ritenuta non credibilità del narrato, concernente la adesione della richiedente al culto indicato e gli ostacoli frapposti alla professione di fede subiti tali da tradursi in una persecuzione, considerata anche la circostanza che l’allontanamento dal Paese non era avvenuto in clandestinità, ma previo rilascio del passaporto e del visto da parte delle Autorità cinesi, la ricorrente non la censura direttamente ma insiste nel rappresentare le condizioni del culto della Chiesa del Dio Onnipotente vietato in Cina ed a richiamare dei precedenti di merito favorevoli ad altri richiedenti, senza tuttavia indicare alcun fatto concernente se medesima di cui sia stato omesso l’esame e senza fornire elementi individualizzanti, atti a giustificare una revisione della statuizione impugnata.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 ,in merito al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Osserva la Corte che anche “Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma in relazione ad una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo.” (Cass. n. 11267 del 24/04/2019) e che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Invero nel caso di specie la doglianza, oltre ad essere formulate in maniera apodittica, trascura del tutto la ratio decidendi sviluppata dal Tribunale in merito alla mancanza di prova circa elementi di vulnerabilità, oltre che in ordine al dedotto inserimento sociale in Italia.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese di giudizio per assenza di attività difensive della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, risultando l’ammissione provvisoria della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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