Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18581 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/07/2017, (ud. 19/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6540-2016 proposto da:

A. ELLE COSTRUZIONI S.R.L., – P.I. (OMISSIS), in persona

dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OMBRONE 14, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMILIANO GOBBI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO CHIRICO;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A., – C.F. (OMISSIS), P.I. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI,

che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente

all’avvocato PAOLO PELLEGRINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata l’11/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA:

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre

2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

Si rileva quanto segue.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La curatela del Fallimento L.A. evocava in giudizio la Banca Commerciale Italiana, ora Banca Intesa, deducendo che il predetto istituto bancario, con riferimento a un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, aveva applicato a L. interessi quantificati in base al c.d. uso piazza e la capitalizzazione trimestrale degli stessi. Domandava pertanto la condanna della banca alla restituzione dell’indebito, quantificato in Euro 38.000,00.

Costituitasi in giudizio, la convenuta eccepiva preliminarmente la nullità della citazione, nonchè la prescrizione quinquennale e, in subordine, decennale del diritto alla ripetizione.

La causa veniva decisa con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. con la quale il Tribunale adito condannava la convenuta al pagamento, in favore di A. Elle Costruzioni s.r.l., assuntore del concordato L., della somma di Euro 52.417,22, oltre interessi legali. All’ordinanza seguiva la rinuncia alla pronuncia della sentenza da parte della banca.

2. – Quest’ultima proponeva poi appello; impugnazione incidentale era presentata dalla società A. Elle Costruzioni. Due ulteriori gravami, del medesimo contenuto dei primi, venivano poi spiegati da entrambi i contendenti.

La Corte di appello di Lecce, con sentenza pubblicata il 11 febbraio 2015, riunite le impugnazioni, accoglieva l’appello principale, respingendo quindi la domanda di ripetizione, e rigettava quello incidentale.

3. – A tale pronuncia A. Elle Costruzioni s.r.l. oppone un ricorso per cassazione basato su tre motivi. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo. La ricorrente ha fatto pervenire, tardivamente, memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I tre motivi possono riassumersi nei termini che seguono.

1.1. – Primo motivo: violazione dell’art. 345 c.p.c. e contraddittorietà di motivazione. Lamenta la ricorrente che la Corte di appello aveva illegittimamente dato ingresso, nel giudizio, a un’eccezione di prescrizione nuova e diversa da quella formulata in primo grado, siccome fondata sul carattere solutorio di una o più rimesse in conto corrente. Mentre avanti al Tribunale la banca aveva eccepito la prescrizione con riguardo a tutte le rimesse operate dal correntista nel periodo antecedente il decennio dalla data di chiusura del conto, in fase di gravame la stessa aveva introdotto la distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista. La valutazione del carattere solutorio delle rimesse postulava, però, “l’allegazione specifica in relazione a ciascuna rimessa dell’entità dell’affidamento concessa al correntista e quindi dell’eccedenza rispetto al detto limite”.

1.2. – Secondo motivo: violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c.. Deduce la società istante che nel giudizio di appello essa aveva osservato come, ai fini della corretta formulazione dell’eccezione di prescrizione, la banca avrebbe avuto l’onere di indicare specificamente i relativi fatti costitutivi, ovvero l’entità dell’affidamento e le singole rimesse in relazione alle quali si eccepiva la prescrizione del credito. La ricorrente si era peraltro sottratta a tale onere, affermando, anzi, che il conto corrente non era affidato.

1.3. – Terzo motivo: violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 c.p.c.. Rileva A. Elle Costruzioni che, in difetto di contestazione della banca quanto all’affidamento del conto e in difetto di un allegazione circa l’entità del detto affidamento, il Tribunale aveva considerato correttamente tutte le rimesse indistintamente come ripristinatorie della provvista. Poichè nell’atto di appello della banca mancava una specifica censura su tale punto della decisione, si sarebbe formato, ad avviso del ricorrente, il giudicato implicito sul carattere ripristinatorio di tutte le rimesse operate dalla società correntista in costanza del rapporto. In conseguenza, la Corte di appello avrebbe posto in atto la violazione delle norme in tema di cosa giudicata.

2. I tre motivi sono connessi e possono trattarsi congiuntamente.

2.1. La Corte di merito ha osservato, nella sentenza impugnata, che il correntista godeva di un affidamento di L. 200.000.000: circostanza, questa, documentata in primo grado con la richiesta di concessione del fido presentata da L. il 14 giugno 1990 e col successivo verbale relativo alle “decisioni creditizie in autonomia” del 17 luglio 1990, oltre che con le risultanze degli estratti conto (avendo riguardo, in particolare, ai numeri debitori dei riassunti scalari, confermativi dell’entità dell’affidamento). La stessa Corte di appello ha spiegato di essersi avvalsa dell’ausilio di un consulente tecnico ai fini della ricostruzione del rapporto di dare e avere e della individuazione dei versamenti solutori. L’indagine contabile aveva poi portato all’accertamento di un credito della banca, con la conseguenza che la domanda attrice, ad avviso del giudice del gravame, andava rigettata.

2.2. – Nel suo percorso motivazionale la Corte distrettuale ha richiamato gli insegnamenti di Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una bànca, il quale lamenti la nullità della clausolà di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati –C’on riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens. La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perchè prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. In conseguenza, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento: non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere (sent. cit., in motivazione).

Ben si comprende, quindi, come, in base ai principi richiamati, sia necessario distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provista: giacchè solo questi ultimi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c.; con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece – come precisato dalle Sezioni Unite – non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista: sicchè, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti.

Ora, a fronte della comprovata esistenza di un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerge dagli estratti conto che il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio. La prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione: perlomeno lo è ove il correntista assolva al proprio onere probatorio; se ciò non accada il problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che mancherebbe la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l’eccezione di prescrizione.

Ora, in un quadro processuale definito dalla presenza degli estratti conto, non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione.

Un tale incombente è estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione in esame.

Una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione di prescrizione, compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, siano irrilevanti ai fini della prescrizione, non potendosi considerare quali pagamenti.

Deve rilevarsi, in proposito, che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene (per tutte: Cass. 29 luglio 2016, n. 15790; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1064; Cass. 22 ottobre 2010, n. 21752; Cass. 17 marzo 2009, n. 6459; Cass. 22 giugno 2007, n. 14576; Cass. 22 maggio 2007, n. 11843; Cass. 3 novembre 2005, n. 21321) e che una allegazione nel senso indicato non cessa di essere tale ove la parte interessata correli quell’inerzia anche ad atti (nella specie, versamenti ripristinatori) che non spieghino incidenza sul diritto (nella specie, di ripetizione) fatto valere dell’attore.

D’altro canto, ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione non si richiede che il correntista specifichi una ad una le rimesse, da lui eseguite, che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti a norma dell’art. 2033 c.c.. Non si vede, in conseguenza, perchè debba essere la banca che eccepisca la prescrizione ad essere gravata dell’onere di indicare i detti versamenti solutori (su cui la detta prescrizione possa, poi, in concreto operare).

2.3. – Ne discende, allora, che anzitutto non sono fondati i primi due motivi.

Il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso, indipendentemente dalla natura, solutoria o ripristinatoria, dei singoli versamenti: semplicemente, la distinzione concettuale esistente tra le diverse tipologie di versamento impone al giudice, se del caso con l’ausilio del consulente tecnico, di selezionare giuridicamente le rimesse che assumano concreta rilevanza ai fini della ripetizione dell’indebito e della prescrizione.

In conseguenza, come osservato, si deve escludere che la banca, convenuta in ripetizione, fosse onerata dell’allegazione specifica delle rimesse solutorie, e dunque dell’indicazione degli importi con cui la società correntista avesse provveduto a ripianare esposizioni debitorie che si collocavano oltre il limite dell’affidamento.

2.4. – Quanto, infine, al terzo motivo, esso è anzitutto carente di autosufficienza. La società istante assume che il Tribunale abbia considerato tutte le rimesse operate dalla correntista come ripristinatorie della provvista (e quindi estranee alla prescrizione decennale); la ricorrente manca tuttavia di riprodurre il passaggio della sentenza di primo grado che conterrebbe una tale affermazione. Peraltro, come si ricava dalla sentenza impugnata, Banca Intesa aveva appellato la decisione con cui il Tribunale rigettò l’eccezione di prescrizione. Ebbene, il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicchè non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (Cass. 16 gennaio 2016, n. 1377; cfr. pure, ad es.: Cass. 11 gennaio 2011, n. 443; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2973).

3. – In conclusione il ricorso è respinto.

4. – Per le spese del giudizio di legittimità vale il principio di soccombenza.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che parte ricorrente è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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