Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18581 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6469/2015 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Sabotino, 22,

presso lo studio dell’avvocato Angela Gemma e rappresentato e difeso

dagli avvocati Franco Giorno e Andrea De Checchi, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SNAM RETE GAS S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Cicerone, 44, presso lo

studio dell’avvocato Giovanni Corbyons, e rappresentato e difeso

dall’avvocato Fabio Todarello, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

nonchè

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di Venezia, depositata il

25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/07/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia a definizione del procedimento di opposizione alla stima introdotto D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 54,D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 e art. 702-bis c.p.c., su ricorso di Snam Rete Gas S.p.A. avverso la determinazione della Terna tecnica prevista dal D.Lgs. n. 327 del 2001, art. 21, quantificava: in Euro 2.743,02 la giusta indennità di asservimento spettante a C.P., proprietario di beni ricadenti in area agricola destinata alla coltivazione del mais, siti in (OMISSIS), identificati in catasto al foglio (OMISSIS), p.lle (OMISSIS) ed interessati dalla servitù imposta per la realizzazione del metanodotto “Allacciamento stoccaggio Edison di (OMISSIS) DN 600(24″)- DP 75 bar”; in Euro 907,37 la giusta indennità per il periodo di occupazione ed in relazione ai beni occupati: in Euro 1.430,64 l’indennizzo per il ristoro dei costi per il ripristino.

Il procedimento dinanzi alla Terna tecnica era stato introdotto dal privato proprietario che aveva ritenuto esigua la determinazione contenuta nel decreto di asservimento emesso in data 25 marzo 2011 dal Ministero dello sviluppo economico e la successiva determinazione era stata oggetto di ricorso in opposizione da parte di Snam Rete Gas S.p.A., d’ora in poi anche e solo Snam RG, con un esito di parziale suo accoglimento e riduzione delle poste già riconosciute dal collegio peritale.

2. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza della Corte di appello di Venezia C.P. con due motivi cui resiste Snam RG che propone, altresì, impugnazione in via incidentale affidata ad un solo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33 e 44, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.1. La Corte di appello aveva ritenuto erroneamente non operante il criterio del valore complementare e per l’effetto aveva stimato l’indennità di asservimento con riguardo al solo sedime direttamente interessato alla realizzazione del metanodotto e non all’area residua che doveva invece essere considerata, dovendo l’indennità di asservimento essere determinata secondo i parametri di quella di espropriazione, sia pure con i necessari adattamenti dovuti alla diversa incidenza sui diritti del proprietario e sull’utilizzazione del bene, ma comunque riconducibili alla categoria dell’espropriazione e quindi all’area di applicabilità dell’art. 42 Cost..

Il ristoro per l’asservimento avrebbe dovuto tenere conto della diminuzione del valore del bene valutato nel suo complesso, sotto l’aspetto funzionale ed economico, con conferma dei parametri adottati dalla Terna peritale nella fase amministrativa, così ricomprendendo anche la porzione non asservita.

1.2. I giudici di merito con il ritenere in modo erroneo che la servitù imposta alla fascia di terreno interessata dal metanodotto non avrebbe condizionato, comportandone il deprezzamento, il resto del terreno che il proprietario avrebbe potuto utilizzare conformemente alla destinazione agricola, non avevano altresì considerato le argomentazioni rese dal nominato c.t.u. ed ignorato le deduzioni difensive del ricorrente e s erano posti in contrasto con proprie precedenti decisioni assunte rispetto ad altri proprietari di terreni interessati dal decreto di asservimento.

1.3. I giudici di appello avevano inoltre in modo immotivato ridotto della metà la quantificazione del deprezzamento effettuata dal ctu con riguardo al sedime di posa.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In ordine alla voce di stima relativa ai danni reclamati in conseguenza dell’esecuzione dell’opera, che si affiancava a quelle relative alla indennità di asservimento e di occupazione, la Corte di merito, ignorando le argomentazioni difensive di cui alle note del ctp del 26.03.2014 rese in sede di osservazioni alla bozza di ctu (su costi di ripristino della struttura dei suoli e della fertilità e minori redditi futuri) e senza fornire idonea motivazione, si era appiattita sull’apprezzamento operatone dal c.t.u. senza provvedere al loro integrale risarcimento, in violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44.

3. Snam Rete Gas S.p.A. secondo un’articolata posizione, sinterizzabile nei termini che seguono, deduce l’inammissibilità ed infondatezza dei motivi avversari perchè finalizzati ad una diretta

rivisitazione del merito, portatori di una interpretazione del criterio del “valore complementare” o di “esproprio parziale” infondata non trovando il criterio applicazione nelle ipotesi di mero asservimento di un bene immobile, ma solo in caso di suo esproprio e comunque volti ad una tardiva contestazione del provvedimento del 4 giugno 2013 dichiarativo della incompetenza D.P.R. n. 327 del 2011, ex art. 54, della Corte di merito sui danni connessi alla non corretta esecuzione dei lavori di ripristino in favore della competenza del Tribunale di Treviso e non impugnato con regolamento di competenza.

4. I due motivi del ricorso principale si prestano a trattazione congiunta, presentando gli stessi profili di intima connessione.

Il tema sotteso ad entrambi le proposte censure è quello relativo alla determinazione della indennità di asservimento di un fondo privato su cui sia stata realizzata una opera pubblica consistente in un metanodotto e del ristoro degli ulteriori pregiudizi sofferti dalla proprietà in esito alla sua realizzazione.

La norma che viene in applicazione è il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” che titolato “indennità per l’imposizione di servitù” e ricompreso nel Capo VIII rubricato “indennità dovuta al titolare del bene non espropriato”, stabilisce al comma 1 che, “è dovuta una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà”.

La disposizione non si applica, come previsto al successivo comma 4, per quanto in questa sede rileva, alle servitù disciplinate da leggi speciali.

La previsione indicata mutua i propri contenuti dall’art. 46 della legge fondamentale sull’espropriazione, la L. n. 2359 del 1865, che stabiliva al comma 1 che “è dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto”.

Nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi sulla disposizione da ultimo indicata chiara è la presenza nelle previsioni della norma di due distinte fattispecie, segnate da differenze di effetti e struttura risultando, segnatamente:

a) l’una relativa all’asservimento del fondo mediante decreto impositivo della servitù che, strutturalmente, ne costituisce condizione indispensabile;

b) l’altra riferita al danno permanente che derivi dalla perdita o diminuzione di facoltà inerenti al diritto dominicale in conseguenza dell’esecuzione di un’opera pubblica a soggetti estranei al procedimento espropriativo, proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera (ex multis sulla distinzione: Cass. 23/11/2015, n. 23865).

Alle descritte fattispecie si accompagnano differenze di sistematiche e negli effetti nei termini di seguito precisati.

4.1. Nella seconda delle indicate fattispecie, alla quale vuol qui da subito farsi riferimento e tanto al solo fine di individuare quanto è per contro lo stretto oggetto del giudizio, l’indennizzo non mira a compensare integralmente l’obiettiva diminuzione del valore di uso a di scambio della proprietà per l’avvenuta costruzione nelle vicinanze di un’opera pubblica, ma si fonda su un principio di giustizia distributiva, sicchè non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo senza che questi venga indennizzato di una significativa compressione del diritto di proprietà (Cass. 06/06/2019 n. 15401; Cass. 26/05/2017 n. 13368; Cass. n. 23865 cit.; Cass. SU 11/06/2003, n. 9341; Cass. SU 26/06/2003 n. 10163).

L’indennizzo relativo ad una ipotesi di “espropriazione larvata” riguarda quei soggetti che, anche là dove un procedimento espropriativo vi sia stato, ne siano rimasti completamente estranei, in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera, e siano rimasti gravati da una servitù, od abbiano subito un danno, non per effetto della mera separazione, per esproprio subito, di una parte di suolo, ma in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte non espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa.

L’indennizzo dovuto a tale specifico titolo non compete, pertanto, al proprietario del fondo espropriato, ma esclusivamente ai proprietari degli immobili circostanti l’opera pubblica, non assoggettati alla procedura espropriativa (Cass. n. 6926/2016; Cass. n. 19972/2009).

Il principio presuppone un atto legittimo della p.A., che, attraverso l’opera pubblica, persegua i fini della collettività ed esclude la natura illecita ex art. 2043 c.c., della condotta dell’Amministrazione e conferma la natura non aquiliana della responsabilità indennitaria prevista di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44.

4.2. Nel primo caso, invece, integrato dall’ipotesi di specie, l’indennità di asservimento spetta al proprietario gravato dall’imposizione dovuta alla realizzazione dell’opera pubblica e si colloca all’interno della categoria dell’espropriazione, nell’ambito di applicazione dell’art. 42 Cost. (Cass. n. 23865 cit.) ove il provvedimento impositivo diviene fonte del credito indennitario per un rapporto mutuato da quello esistente tra decreto di esproprio e relativa indennità (in ordine a quest’ultimo rapporto ed alla qualificazione del decreto ablativo quale condizione dell’azione: Cass. 31/05/2016 n. 11261).

4.2.1. Su siffatto presupposto il criterio di calcolo dell’indennità, dovuta al privato il cui fondo sia gravato, giusta decreto di asservimento, da una servitù permanente che consegua alla

realizzazione di una opera pubblica o di pubblica utilità, consiste in una misura percentuale della indennità di espropriazione il cui ammontare integra il limite oltre il quale la prima non può spingersi (Cass. n. 23865 cit.; Cass. 04/11/2005 n. 21401; Cass. 30/09/2004, n. 19643; Cass. SU 18/12/1998 n. 12700; Cass. 09/10/1998 n. 10012).

La riconduzione della indennità di asservimento a quella di esproprio ai fini del suo calcolo lascia ferma, nelle premesse dell’indicato indirizzo, la distinzione tra i due istituti sia sotto il profilo dogmatico che sul piano oggettivo.

L’indennità di espropriazione è infatti diretta ad attribuire al proprietario un serio ristoro per la perdita del bene oggetto di ablazione là dove invece l’indennità di asservimento è destinata a ristorare il pregiudizio effettivo ed attuale subito, a causa dell’esecuzione dell’opera pubblica, dal proprietario non espropriato, che rimane pur sempre tale (Cass. n. 19643 cit.; Cass. 30/11/2007, n. 25011).

4.2.2. L’applicazione del canone dell’analogia nei rapporti tra indennità di esproprio ed indennità di asservimento consente a questo punto di rimarcare il costante principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che vuole che là dove si assista ad una unica vicenda espropriativa non sono concepibili due distinti erediti, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e l’altro a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato.

Con la conclusione che qualora si tratti di un compendio a destinazione unitaria di un unico proprietario, il danno alla residua proprietà, non attinta direttamente dal decreto di esproprio o di asservimento, trova riconoscimento solo nel quadro della perdita di valore della parte non interessata dal provvedimento ablativo o impositivo avuto riguardo al valore venale residuo.

Si tratta del criterio che, dapprima stabilito in materia di cd. esproprio parziale dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 44 (Cass. S.U. n. 10502/2012, Cass. n. 6926/2016), resta successivamente regolamentato dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 e secondo il quale si riconosce al soggetto espropriato una indennità commisurata non solo al valore venale della porzione fondiaria ablata, ma anche alla perdita di valore della porzione residua e tanto per effetto del provocato venir meno dell’originaria unità economica e funzionale del compendio.

L’accostamento in via analogica della disciplina dell’indennizzo espropriativo a quello esito della imposizione di una servitù fa sì che la posta di cui all’art. 33 cit. trovi applicazione anche rispetto ad un fondo appartenente ad unico proprietario che si trovi svilito nel suo valore anche quanto alla parte non attinta dal provvedimento, impositivo di servitù in ragione della originaria unitarietà del bene.

5. Ferma l’indicata precisazione, si ha che seppure la Corte di appello di Venezia è incorsa nella errata interpretazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, nella parte in cui ha ritenuto che, nella stretta sua letteralità, la norma “opera con riferimento esclusivo all’ipotesi espropriazione del bene immobile, non anche al suo mero asservimento” (p. 3 ordinanza), pur tuttavia l’errore non è produttivo della illegittimità della decisione assunta e fermo il dispositivo può darsi soltanto correzione alla motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., nei termini che seguono.

5.1. La Corte territoriale, colta la ratio che presiede il meccanismo di riconoscimento dell’indennità che segue all’imposizione di una servitù prediale, D.P.R. n. 327 cit., ex art. 44, comma 1, prima parte e per la quale la posta riconosciuta deve ristorare il privato il cui terreno sia stato asservito della perdita del valore venale del bene, ha valorizzato di quest’ultimo il complessivo rilievo “sotto l’aspetto funzionale ed economico” (p. 3).

In tal modo i giudici di appello hanno fatto applicazione di un criterio che, sorto e sviluppatosi nelle ipotesi di ablazione di un fondo (art. 33 D.P.R. cit. e prima art. 40 legge fondamentale esproprio), trova applicazione in via analogica anche rispetto alla imposizione di una servitù, per una graduata quantificazione del dovuto destinata a tenere conto della diversa e più contenuta compressione del diritto di proprietà che la misura reale comporta rispetto al più radicale esproprio.

5.1.1. L’accertamento svolto in concreto resta, pertanto correttamente improntato all’osservanza del criterio guida di determinazione del valore venale del fondo, declinato come valore complementare o del cd. esproprio parziale, che si accompagna anche alle ipotesi in cui il privato sia destinatario della imposizione di una servitù e, quale unico proprietario, risenta, per l’effetto dell’asservimento, di un pregiudizio anche rispetto a quella parte del bene non direttamente toccata dalla misura, in quanto funzionalmente raccordata alla prima.

5.1.2. Il valore complementare, inteso quale valore attribuibile ad un bene riguardato come parte di un insieme di beni economicamente sinergici, è infatti destinato a ricorrere là dove una porzione di immobile separata da un maggiore complesso provochi il deprezzamento del residuo e trova applicazione nell’ipotesi in cui il dissolvimento dell’unitarietà-economico funzionale del bene consegua all’esproprio o, ancora, alla imposizione di una servitù per la differenza tra il valore di mercato prima e dopo l’ablazione o l’imposizione della servitù.

Là dove alla imposizione di una servitù si accompagni la perdita di utilizzo del fondo per il passaggio di opere lineari – quali reti di acquedotti, oleodotti o gasdotti – la stima dell’indennità viene operata per la differenza tra il valore di mercato posseduto dal terreno, secondo sua vocazione, prima dell’imposizione della servitù e quello successivo all’imposizione; siffatto criterio guida la stima anche nel caso in cui alla realizzazione dell’opera consegua la perdita di valore di mercato di area diversa da quella direttamente asservita, in quanto funzionalmente ed economicamente correlata alla stessa (Cass. n. 17112 del 27/08/2004; Cass. n. 2812 del 2006; Cass. n. 17679 del 2010; Cass. n. 27195 del 2019).

5.1.3. Nè l’evidenziato argomentare è tacciabile di illogicità per intima sua contraddizione, come censurato nel controricorso – in cui si denuncia che i giudici di appello dopo avere escluso l’applicabilità ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, del criterio del cd. esproprio parziale lo hanno poi ritenuto in applicazione del diverso art. 44 D.P.R. cit. – ove resti chiara, nelle premesse di ogni successivo sviluppo logico-argomentativo, la comune appartenenza dell’indennità di asservimento e di quella di esproprio alla disciplina della proprietà nell’assolta sua funzione sociale (art. 42 Cost.).

5.2. Ogni altra censura portata in ricorso a sostegno del primo motivo si presta ad una lettura di inammissibilità ora perchè destinata a risolversi in un accertamento in fatto precluso a questa Corte di cassazione (tanto là dove si denuncia nell’atto introduttivo il malgoverno delle argomentazioni rese dal c.t.u. e delle deduzioni difensive), o comunque perchè portatrice di una alternativa lettura degli elementi di merito non censurabili nel giudizio di legittimità (così per i cartelli segnalatori; le opere sussidiarie necessarie ai fini della sicurezza; l’obbligo di non costruire a distanza inferiore ai 20 metri dalle tubazioni), ora perchè propositiva di evidenze la cui tempestiva allegazione dinanzi ai giudici di merito non risulta comprovata in atti (così per la ridotta appetibilità del bene nella percepita sua pericolosità dovuta al passaggio delle tubature del gas) e la cui decisività, in ogni caso, non si confronta con la motivazione impugnata nella parte in cui la Corte di appello ne ha escluso il rilievo nella incapacità di integrare un pregiudizio “effettivo” (tanto in ragione: della destinazione agricola del fondo, non intralciata dalla mancata amenità dei luoghi incisa dalla presenza di segnaletica sul terreno; della genericità della deduzione difensiva, quanto ai problemi alla irrigazione delle colture).

5.3. La censura sulla assertiva riduzione operata dalla Corte di merito, nella misura del 50% rispetto a quella stimata dal ctu, quanto alla indennità relativa al pregiudizio sofferto dall’area di sedime su cui posano le tubazioni non si confronta con la motivazione resa, con cui i giudici di appello dichiarano di non condividere la stima del consulente di ufficio sulla indennizzabilità dell’area di sedime pari a quella di esproprio, nel rilievo che il proprietario potrà “continuare ad utilizzare detto sedime per le sue esigenze di coltivazione” (p. 5), risultando la condotta interrata a circa un metro di profondità (p. 4).

6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

6.1. L’indennità di asservimento deve apportare un ristoro integrale ed effettivo del pregiudizio arrecato all’immobile privato e come tale può – in concreto – essere commisurata al costo dei lavori necessari ad eliminare o contenere il pregiudizio, sempre con il limite che non superi il valore venale del fondo per il criterio estensivamente inteso (D.P.R. n. 327 cit., art. 33, già L. n. 2359 del 1865, art. 40) nel rilievo che l’unicità della vicenda impositiva non vale ad escludere la configurabilità del correlato diritto al ristoro là dove non vi sia stata da parte del privato un’accettazione alla indennità integralmente satisfattiva e preclusiva come tale della richiesta di ulteriori poste (vd. Cass. SU n. 10502 del 25/06/2012).

6.2. Tanto esposto, in adesione ai rilievi contenuti sul punto nel controricorso, si ha che vanno esclusi dall’indicata voce i danni legati ad una non corretta esecuzione dei lavori di ripristino dei luoghi (p. 18 ricorso danni da utilizzo di un maglio vagliatore da parte della ditta esecutrice), destinati a rientrare nell’ambito della responsabilità del l’appaltatore.

Il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, stabilisce che il giudizio di opposizione alla stima di competenza funzionale della Corte di appello ha ad oggetto gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità, la stima dei tecnici, la liquidazione delle spese di stima e la determinazione giudiziale dell’indennità, ma non il risarcimento dei danni che resta, invece, oggetto di un giudizio di cognizione da introdursi nelle forme ordinarie e secondo ordinaria competenza.

6.3. Il motivo, nel resto, non censura puntualmente la decisione impugnata là dove la Corte di merito qualifica come “prive di riscontro” le maggiori spese che il privato assume necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi e non allega una tempestiva deduzione delle circostanze di fatto dinanzi alla Corte di appello di Venezia (spese per le opere di assestamento del suolo nella zona interessata dal passaggio del metanodotto), in tal modo chiamando questa Corte di legittimità ad un inammissibile nuovo giudizio sul fatto.

7. Il motivo introdotto con il ricorso incidentale con cui Snam Rete Gas S.p.A. denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

Snam RG deduce che ai sensi del D.P.R. n. 327 cit., art. 52-octies, l’Autorità espropriante ha disposto sia l’asservimento che l’occupazione temporanea delle aree necessarie alla realizzazione del metanodotto dopo aver riconosciuto il carattere di urgenza dei lavori agli effetti dell’art. 22 D.P.R. cit. e che pertanto, ciò posto, erroneamente la Corte di merito aveva calcolato l’indennità di occupazione temporanea in applicazione invece dell’art. 50, comma 1, richiamato dall’art. 22-bis D.P.R. cit. relativo invece alla diversa ipotesi dell’occupazione in cui l’avvio dei lavori dell’opera di pubblica utilità rivesta “particolare urgenza” che risulta preordinata ed anticipata rispetto all’esproprio-asservimento di aree ancora non attinte dal provvedimento ablativo-impositivo.

Il provvedimento di asservimento del 25 marzo 2011 era stato emanato in forza dell’art. 22 cit. relativo ad ipotesi in cui il decreto di esproprio-asservimento viene emesso in via di urgenza sulla base della determinazione di una indennità provvisoria di espropriazione-asservimento su cui il proprietario è chiamato ad esprimere la propria condivisione.

In tal modo l’occupazione interessa i terreni sui quali è già stata imposta la servitù e l’occupazione temporanea non anticipa la perdita del bene che è già asservito. L’evidenza che solo l’art. 22-bis richiami l’art. 50 D.P.R., ai fini della stima dell’indennità temporanea fa sì che tale norma trovi applicazione nel caso di beni che non sono già aggetto di procedura ablativa.

La Corte di appello avrebbe al fine previsto in ordine al medesimo fatto due indennità: l’una in base ai parametri dell’art. 50 cit., e quindi in misura fissa senza nulla dire in ordine agli eventuali danni causati dall’occupazione, così riconoscendo la somma di Euro 907,37; l’altra per il ristoro dei danni cagionati nello stesso periodo di occupazione per costi di ripristino, minori redditi futuri e riposizionamento dei tombini, per la somma di Euro 1.430,64.

Il ricorrente chiede quindi la cassazione del provvedimento impugnato in via incidentale con l’eliminazione della relativa voce aggiuntiva.

7.1 L’art. 52-octies, inserito nel Capo II del D.P.R. n. 32 del 2001, contenente “Disposizioni in materia di infrastrutture lineari energetiche”, rubricato “Decreto di imposizione di servitù” stabilisce che: “Il decreto di imposizione di servitù relativo alle infrastrutture lineari energetiche, oltre ai contenuti previsti dall’art. 23, dispone l’occupazione temporanea delle aree necessarie alla realizzazione delle opere e la costituzione del diritto di servitù, indica l’ammontare delle relative indennità, e ha esecuzione secondo le disposizioni dell’art. 24”.

Si tratta di disciplina precipuamente che riferita all’istituto della servitù per la realizzazione delle opere lineari energetiche, come i gasdotti e gli elettrodotti, vale ad ampliare i riferimenti di cui all’art. 23 D.P.R. cit., dettato a definizione di contenuti ed effetti del decreto di esproprio e del diverso fenomeno dell’ablazione del diritto di proprietà.

La disposizione precisa infatti che il decreto di imposizione della servitù per la realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche, oltre ai contenuti di cui all’art. 23, prevede l’occupazione temporanea delle aree necessarie alla realizzazione delle opere e la costituzione del diritto di servitù.

Il decreto indica quindi, segnatamente, secondo l’art. 52-octies cit., le indennità che si accompagnano all’asservimento dell’area e che consistono: nella indennità dovuta per l’occupazione temporanea dei fondi, ovverosia del tempo intercorrente tra l’esecuzione dei lavori e la riconsegna delle aree a ripristini effettuati; nel risarcimento del danno cagionato alle colture ed a quanto insista sul Fondo; nella indennità di servitù.

Non viene utile pertanto al riconoscimento dell’indicata posta la differente disciplina di cui all’art. 22-bis che dettata in materia di esproprio riconosce l’indennità di occupazione solo là dove, in ipotesi di particolare urgenza, l’occupazione preceda l’ablazione del bene.

7.2. Il motivo sortisce pure l’effetto di non confrontarsi con la motivazione impugnata là dove la Corte veneziana valorizza che l’area occupata temporaneamente era più estesa del sedime su cui era stata apposta la servitù e che il bene era stato “assolutamente indisponibile per il privato” per sette mesi (pp. 6 e 7).

Il primo rilevante argomento dà infatti conto della diversa consistenza tra le aree occupate in via temporanea per l’esecuzione dell’infrastruttura e quelle invece asservite.

Il successivo rilievo circa l’assoluta indisponibilità del bene durante il periodo di occupazione temporanea vale a segnare la diversa e più pregnante consistenza rispetto a quella propria dell’asservimento – cui risulta sovrapponibile nei contenuti di limitazione del diritto del privato e distinta invece per il tempo di incidenza – che viene, come tale, ritenuta meritevole di una diversa e separata stima.

Il motivo di ricorso incidentale va pertanto rigettato.

8. In ragione degli esiti della lite le relative spese devono trovare compensazione tra le parti nella misura del 50% e devono essere liquidate, per il residuo, in favore di Snam Rete Gas S.p.A. come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi proposti in via principale ed incidentale rispettivamente da C.P. e Snam Rete Gas S.p.A. e compensate le spese di lite nella misura del 50%, condanna, per il residuo, il ricorrente principale a rifonderle in favore di Snam Rete Gas S.p.A. nella misura di Euro 1.500,00 comprensiva di esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a

norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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