Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18580 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. II, 09/09/2011, (ud. 24/01/2011dep, . 09/09/2011), n.18580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LEARCO GUERRA 45, presso lo studio dell’avvocato

GIAMBELLUCA FRANCESCA, rappresentata e difesa dall’avvocato MICELI

EMANUELE;

– ricorrente –

contro

A.M. (OMISSIS);

– intimato –

sul ricorso 19284-2005 proposto da:

A.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VILLA GRAZIOLI 29, presso lo studio dell’avvocato BAVARO

ANTONIO, rappresentato e difeso dagli avvocati AVELLONE ROBERTO,

TAMBURELLO GIROLAMA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 941/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 03/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avv. Miceli Emanuele difensore del ricorrente che si riporta

agli atti;

udito l’Avv. Ranieri Massimo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Tamburello Girolama difensore del resistente che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso incidentale, il rigetto degli altri motivi dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato in data 28 luglio 1985, C. M.R. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo M.J. e A.M., esponendo che la propria madre adottiva, F. C.P. (prozia dell’ A. e zia di M.J.), a fine gennaio-inizio febbraio del 1993 si era trasferita nell’abitazione dell’ A. e vi era rimasta fino alla sua morte, avvenuta il (OMISSIS); che, in occasione di alcune visite compiute presso l’abitazione del convenuto, l’attrice aveva notato alcuni mobili di pregio appartenenti alla madre adottiva; che nel febbraio del 1993 la madre aveva trasferito la nuda proprietà dell’appartamento di sua proprietà in (OMISSIS) a A.S. al prezzo di L. 250.000.000; che, alla morte della madre, aveva riscontrato che ben pochi mobili erano rimasti nella predetta abitazione, nè aveva rinvenuto alcuno dei gioielli della de cuius. Ciò premesso, l’attrice chiese la condanna dei convenuti a restituire i mobili e i gioielli della madre, ed inoltre la condanna dell’ A. alla restituzione della somma di L. 250.000.000, oltre ad interessi, nonchè di altre somme spettanti alla defunta, trattenute dallo stesso.

I convenuti, costituitisi nel giudizio, eccepirono che i mobili loro donati erano di modico valore, e che il ricavato della vendita non era stato loro donato.

2. – Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, condannando l’ A. al pagamento in favore dell’attrice della somma di L. 259.391.160. Il giudice di primo grado, qualificata la domanda di consegna dei beni come rivendicazione, ritenne che la stessa fosse infondata in quanto basata su di un elenco non versato tempestivamente in atti, così come infondata fu ritenuta la domanda di restituzione dei gioielli, non avendo l’attrice dimostrato che tali beni fossero nella disponibilità dei convenuti.

Dalla istruttoria compiuta – osservò il primo giudice – era, invece, emerso che l’ A. si era appropriato del ricavato della vendita dell’immobile e della somma di L. 20.000.00, portata da un assegno tratto il 10 maggio 1993 dalla de cuius sulla Banca di Roma a favore del convenuto. All’attrice spettava dunque la somma complessiva di L. 270.000.000, dalla quale dovevano essere detratti gli esborsi sostenuti dall’ A. per conto della C..

3. – Quest’ultimo propose gravame, che fu parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza depositata il 3 agosto 2004.

Il giudice di secondo grado rilevò che andava inclusa nel relictum, ai fini del computo della quota di legittima spettante all’appellata, in quanto costituente una donazione, la somma di L. 50.000.000 consegnata dalla de cuius all’ A., per mancanza di prova che essa fosse stata utilizzata, come dallo stesso sostenuto, per il pagamento delle spese notarili relative all’atto di compravendita dell’appartamento della zia, e per il completamento dell’impianto di riscaldamento dell’immobile dell’appellante ove all’epoca viveva anche la zia. Non essendo la donazione avvenuta per atto pubblico, essa era nulla, e conseguentemente la relativa somma doveva essere restituita. Le stesse considerazioni valevano per la ulteriore somma di L. 20.000.000, portata da un assegno tratto da C.F. sulla Banca di Roma a favore dell’ A., utilizzata, secondo lo stesso, per il pagamento delle spese funerarie e per il trattamento di fine rapporto del domestico della zia, senza che fosse stata prodotta alcuna prova. Anche tale dazione, priva della necessaria forma scritta, risultava nulla. Dalla somma determinata a titolo di relictum andava detratto l’importo di L. 10.558.840, corrispondente ad alcuni debiti ereditar. A tale somma andava aggiunta quella di L. 250.000.000, corrispondente alla donazione della somma ricavata dalla vendita dell’appartamento della de cuius. Al riguardo, la Corte condivise la prospettazione dell’appellante, relativa alla natura indiretta di quella donazione. Premesso che i due assegni di L. cento milioni intestati alla C., costituenti parte del prezzo della compravendita, negoziati per cassa, non avevano dato luogo ad un materiale esborso di danaro, ma erano stati utilizzati per una operazione di acquisto di titoli intestati all’ A., osservò il giudice di secondo grado che l’utilizzo del ricavato della vendita dell’appartamento di cui si tratta per l’acquisto dei titoli costituiva una donazione indiretta, avendo le parti utilizzato un mezzo diverso da quello tipico al fine di realizzare una liberalità.

Tale donazione andava quindi aggiunta all’importo precedentemente determinato in L. 59.411.160, rappresentato dal relictum meno i debiti ereditari, e la somma così ottenuta costituiva costituiva il valore della massa ereditaria sul quale calcolare la quota disponibile e quella di legittima. La Corte ritenne, in definitiva, che la donazione di L. 200.000.000 compiuta dalla de cuius a favore dell’ A. ledeva la quota di riserva di M.C.R. e, conseguentemente, doveva essere ridotta fino all’importo di L. 70.294.420, e che l’appellante andava condannato a restituire alla erede legittima della de cuius l’importo di L. 70.000.000 donatogli senza il rispetto delle forme, nonchè la somma di L. 129.705.580, spettante per effetto della descritta riduzione all’erede legittimarla C..

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.R. M. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l’ A., che ha altresì proposto ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, procedersi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., alla riunione del ricorso principale e di quello incidentale siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale, si deduce violazione dell’art. 782 cod. civ. e falsa applicazione dell’art. 809 cod. civ..

Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la operazione di acquisto di titoli con danaro proveniente dalla vendita dell’appartamento della de cuius costituisse una fase di un negozio complesso comprendente, con unica ed univoca volontà, la vendita dell’immobile ed il consequenziale acquisto dei titoli, con lo scopo di arrecare tale utile economico all’ A., laddove, per un verso, non si era trattato di una operazione eseguita in un contesto unitario, per l’altro, la volontà della signora C.F. M. di donare era esclusa dalla circostanza che ella non conosceva, o non aveva compreso, l’evento della vendita dell’appartamento a terzi, e che, inoltre, le modalità della operazione non consentivano di ritenerla una valida donazione indiretta, ma, se mai, un ulteriore atto di liberalità, che, per la sua entità, era nullo per difetto del requisito di forma imposto dall’art. 782 cod. civ. Infatti, era stata trasferita all’acquirente la nuda proprietà dell’immobile e l’ A. si era direttamente impossessato del ricavato della vendita. L’operazione di acquisto dei titoli non poteva qualificarsi come perfezionamento della donazione indiretta sia perchè l’atto di disposizione delle somme da parte dell’ A. dimostrava come egli fosse nella piena disponibilità delle stesse, e come, quindi, lo scopo della liberalità fosse già stato raggiunto con la materiale e diretta percezione del danaro; sia perchè l’acquisto titoli non è che un diverso e più proficuo modo di “mettere i soldi in banca”. Nella specie, difettava il requisito del collegamento tra l’elargizione del danaro e l’acquisto, necessario per la configurabilità della donazione indiretta.

Il negozio di cui si tratta doveva, pertanto, qualificarsi, se mai, come donazione diretta, nulla per mancanza della forma dell’atto pubblico.

3.1. – La doglianza è infondata.

3.2. – Corretta sul piano logico e giuridico risulta la qualificazione di donazione indiretta data dalla Corte territoriale alla operazione portata a termine dalla signora C.F., che dopo aver proceduto alla vendita dell’appartamento di sua proprietà, aveva inteso beneficiare il nipote intestandogli i titoli acquistati con i due assegni da L. cento milioni con i quali l’immobile era stato pagato dall’acquirente. E proprio la circostanza della avvenuta intestazione dei titoli all’ A. conferma che costui non avesse, prima di tale operazione, la disponibilità delle somme ricavate dalla vendita, come sostiene la ricorrente, senza fornire alcuna motivazione di tale convincimento, nè, più in generale, di una ipotetica mancata partecipazione della donna alla stipula dell’atto di compravendita.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, non è sindacabile la qualificazione come donazione indiretta della intestazione dei titoli all’ A., perfettamente valida, in quanto tale atto non richiede la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass., sent. n. 5333 del 2004).

4. – Con il secondo motivo, si lamenta illogicità manifesta, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione. La Corte di merito, che correttamente aveva giudicato nulle per difetto dei requisiti di forma le donazioni in favore dell’ A., aveva poi considerato pienamente efficace, secondo i criteri ermeneutici della donazione indiretta, il conferimento di L. 200.000.000 all’ A., nonostante l’analogia delle operazioni, senza fornire motivazione adeguata del collegamento negoziale tra la vendita dell’appartamento e l’acquisto dei titoli, e limitandosi a dedurre “intuitivamente” che, in mancanza di ragioni che giustificassero il conferimento di somme all’ A., queste non potevano che essere state oggetto di donazione, senza minimamente prendere in considerazione l’ipotesi che, avuto riguardo alle condizioni di età e di salute della de cuius, l’appropriazione delle somme potesse essere stata una iniziativa dello stesso A..

Al riguardo, nessun rilievo era stato attribuito dalla Corte di merito alla circostanza che i tre assegni di cento, cento e cinquanta milioni fossero stati negoziati nella stessa data, e che l’ A. avesse diversamente disposto degli stessi, intascando cinquanta milioni ed investendone duecento, a dimostrazione delle proprie determinazioni e della libera disponibilità delle somme. La Corte era poi incorsa in una evidente contraddizione nel dichiarare nulli, sul presupposto che tutte le somme fossero state donate all’ A., i primi due conferimenti e ritenere efficace la dazione di due assegni per L. cento milioni ciascuno sulla base della considerazione che detti titoli non avevano dato luogo a materiale esborso di danaro, dimenticando che essi erano stati “negoziati per cassa”, peraltro contestualmente ad altro assegno della de cuius. In sostanza, l’ A. si era impossessato direttamente delle somme, disponendone come credeva.

5.1. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.

5.2. – Essa sostanzialmente censura ancora una volta la qualificazione di donazione indiretta data dalla Corte di merito alla operazione di intestazione dei titoli all’ A., qualificazione, invece, corretta per quanto esposto sub 3.2.

5.3. – Quanto, poi, alla pretesa contraddittorietà tra la dichiarazione di nullità per difetto del requisito di forma delle donazioni di trenta e L. venti milioni – così qualificate le dazioni di tali somme dalla C. all’ A. – e la configurazione come donazione indiretta, perfettamente valida, della intestazione di titoli per L. duecento milioni all’ A., non è riscontrabile la carenza di motivazione denunciata, a fronte del rilievo, operato dalla Corte di merito, della mancanza di prova in ordine alle allegazioni dello stesso circa la avvenuta utilizzazione della complessiva somma di L. cinquanta milioni per pagamenti per conto della zia, nella misura di trenta milioni per spese notarili attinenti alla vendita dell’appartamento, e di venti milioni per il completamento dell’impianto di riscaldamento dell’immobile nel quale essa viveva prima di trasferirsi presso il nipote.

6. – Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo dello stesso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 537 e 555 cod. civ.. Avrebbe errato la Corte di merito nel calcolare la riduzione da operare sulla donazione indiretta a favore dell’ A. a norma dell’art. 555 cod. civ. come se attraverso tale riduzione dovesse essere recuperato l’intero valore della donazione e non già la sola parte dello stesso eccedente la quota di cui la defunta poteva disporre: sicchè il ricorrente incidentale avrebbe dovuto restituire solo la somma di Euro 30835,36, e non la maggiore somma alla cui restituzione lo aveva condannato la Corte.

7.1. – La doglianza è fondata nei termini che seguono.

7.2. – L’art. 555 cod. civ. dispone che le donazioni il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione fino alla quota medesima.

Nella specie, la Corte territoriale, dopo aver determinato la quota di legittima spettante alla signora C.R. nella misura di L. 129.705.580, corrispondente alla metà del patrimonio ereditario, al terzo capo del dispositivo ha condannato l’ A., a titolo di riduzione della donazione indiretta di cui era stato beneficiario, al pagamento di identica somma a favore dell’appellata, senza considerare che la C. recuperava già circa 36.000,00 Euro per effetto della dichiarazione di nullità delle donazioni di L. 50.000.000 e di L. 20.000.000 di cui al primo capo del dispositivo, sicchè, sommando le cifre di cui ai capi primo e terzo del dispositivo della sentenza impugnata, si perveniva ad una cifra superiore a quella corrispondente alla quota di riserva. Invece, la somma da porre complessivamente a carico dell’ A. sarebbe dovuta equivalere alla misura necessaria per integrare la quota riservata alla legittimarla.

8. – Con il secondo motivo, si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La Corte di merito, dopo aver riconosciuto che l’ A. aveva sostenuto alcune spese per la zia (spese funerarie, trattamento di fine rapporto del collaboratore domestico, spese condominiali), per un totale di L. 10.588.840, correttamente sottratto al relictum, nell’ambito della operazione di calcolo della massa ereditaria, avrebbe poi contraddittoriamente escluso che dette spese fossero state affrontate dall’ A. con l’assegno di L. 20.000.000 consegnatogli dalla zia a questo scopo, e che quindi l’importo corrispondente dovesse essere dallo stesso trattenuto. Una omissione o grave carenza di motivazione viene ravvisata poi con riguardo all’altro assegno di L. cinquanta milioni che l’ A. aveva sempre sostenuto essere stato integralmente utilizzato per esigenze della defunta zia, ed in particolare, quanto a trenta milioni, per il pagamento dell’INVIM relativa alla compravendita della nuda proprietà dell’appartamento della stessa, e, quanto a L. venti milioni, per il completamento dell’impianto di riscaldamento. Con riguardo alla prima somma, la Corte di merito aveva sostenuto che l’unico elemento di prova fornito sarebbe stato rappresentato da un assegno bancario intestato ad un notaio, dal quale non sarebbe stato possibile, in mancanza di specifica quietanza, ricavare alcun elemento per ritenere che si trattasse del titolo con il quale erano state pagate le spese notarili di cui si tratta. Al riguardo, il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare la prima pagina del contratto di compravendita dell’immobile della C., nella quale era indicato il nome del notaio rogante, lo stesso soggetto beneficiario dell’assegno, ed inoltre si leggeva la dicitura relativa al pagamento dell’INVIM. 9.1. – Il motivo è fondato nei limiti di cui di seguito si dirà.

9.2. – Con riferimento alle allegazioni dell’ A. relative alle spese sostenute per il pagamento delle spese funerarie e di liquidazione del trattamento di fine rapporto del collaboratore domestico della zia defunta, la Corte di merito, una volta detratto dal relictum l’importo complessivo di L. 10.588.840 (pari a L. 6.200.000 per spese funerarie, L. 2.933.000 per il collaboratore domestico, L. 755.840 per spese condominiali, L. 700.000 a favore di Ortopedia Canciglia), avrebbe dovuto fornire una adeguata motivazione del percorso logico che la aveva condotta ad escludere ciononostante ogni credibilità alle allegazioni dell’ A. che, a fondamento della dazione dell’assegno di L. venti milioni tratto da F. C.P. a suo favore il 10 maggio 1993, aveva addotto la destinazione del danaro proprio al pagamento delle spese funerarie e alla liquidazione del trattamento di fine rapporto del collaboratore domestico della zia. Sul punto, il giudice di secondo grado si è limitato, eludendo il proprio obbligo motivazionale, a dichiarare la nullità di tale dazione, qualificandola come una donazione priva del requisito di forma.

9.3. – Quanto, invece, alle ulteriori somme elargite all’ A., la Corte ha adeguatamente motivato il proprio convincimento che si trattasse di atti di liberalità, mancando la prova della utilizzazione delle stesse per il pagamento di spese facenti capo alla defunta.

10. – Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato, mentre va accolto, per quanto di ragione, il ricorso incidentale. La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata ad altro giudice, che viene designato in una diversa sezione della Corte d’appello di Palermo – cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la questione della qualificazione della dazione della somma di L. 20.000.000 portata dall’assegno tratto il 10 maggio 1993 da C.F.P. a favore dell’ A., fornendo in relazione ad essa adeguata motivazione, tenendo conto dei rilievi svolti sub 9.2., e provvedere al calcolo della somma che lo stesso A. è tenuto a restituire a C.M.R. per reintegrare la quota di riserva alla stessa spettante, secondo il criterio chiarito sub 7.2.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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