Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1858 del 21/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 21/01/2022, (ud. 20/10/2021, dep. 21/01/2022), n.1858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6898-2020 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di BOLOGNA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3539/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 13/12/2019 R.G.N. 1863/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di appello di Bologna ha confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria di B.M., cittadino del Bangladesh;

2. dalla sentenza impugnata si evince che il Badai ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il timore per le conseguenze connesse al furto dell’automezzo da lui noleggiato per svolgere attività di autista; in seguito al furto era infatti rimasto debitore di una somma nei confronti del proprietario del mezzo il quale pensando che il veicolo fosse stato venduto lo aveva minacciato di morte in caso di mancata restituzione del corrispettivo del valore del mezzo; temendo per la vita del figlio, il padre aveva venduto un pezzo di terra per pagargli il viaggio in Libia ma anche dopo la sua partenza le minacce da parte dei proprietari erano proseguite;

3. la Corte territoriale ha ritenuto che le circostanze narrate dal ricorrente non consentivano di ricondurre la vicenda al parametro normativo delineato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, in materia di riconoscimento dello status di rifugiato dovendosi escludere la sussistenza di atti persecutorii così come definiti dal citato D.Lgs., art. 7; in relazione alla domanda di protezione sussidiaria ha escluso l’esposizione a pericolo di un danno grave ai sensi del citato D.Lgs., art. 14, comma 1, lett. a) e b), evidenziando che anche il timore per l’incolumità dei familiari del richiedente appariva frutto di percezione personale dello stesso, atteso che nulla risultava essere mai accaduto ai detti familiari, anche a distanza di molti anni; erano inoltre da escludere i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del citato D.Lgs., art. 14, lett. c), perché le più autorevoli fonti informative non attestavano nella regione di presumibile rientro una situazione di violenza indiscriminata nell’ambito di un conflitto armato interno o internazionale; le criticità esistenti nel Bangladesh, a prescindere da quelle collegate a catastrofi naturali, attenevano a limitazioni, di matrice politica, della libertà di espressione, ad arresti arbitrari da parte delle forze di polizia, a corruzione e abusi su donne e su persone LGBT, a limitazione dei diritti dei lavoratori ma non a conflitti armati interni o internazionali; la domanda di asilo ex art. 10 Cost., era inammissibile in quanto il diritto costituzionale di asilo ex art. 10 Cost., ha trovato la sua espressione nell’attuazione attraverso il sistema pluralistico della protezione internazionale; non sussistevano le condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto il distretto di provenienza del richiedente si connotava tra quelli in più rapida crescita del Bangaldesh il quale negli ultimi anni aveva mostrato di avere conseguito un forte sviluppo economico e compiuto notevoli progressi nella riduzione del tasso di povertà; in particolare, il richiedente non aveva allegato condizioni di vulnerabilità legate alla salute psico fisica o all’età; le attività di formazione e lavorative svolte nel periodo di accoglienza non erano prova di un particolare radicamento in Italia ma andavano ricondotte al contesto fattuale e giuridico nell’ambito del quale erano state espletate;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Mohammed Bada sulla base di tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalla esistenza in Bangladesh di una situazione di violenza generalizzata; omessa consultazione di fonti informative attualizzate; errata applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova e omessa cooperazione istruttoria. Si censura la sentenza impugnata in punto di verifica delle condizioni generali del paese di provenienza sulla base di fonti informative attualizzate;

2. con il secondo motivo deduce: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, omesso esame di fonti informative attualizzate; denunzia inoltre contraddittorietà tra le informazioni tratte dalle fonti citate nel provvedimento e le conclusioni raggiunte in merito; richiama un rapporto di Amnesty International che asserisce attestare un basso livello di tutela dei diritti umani;

3. con il terzo motivo deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; denunzia omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e mancata effettuazione della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella alla quale sarebbe esposto in caso di rientro nel Paese di provenienza; richiamati i principi in tema di protezione umanitaria assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto estendere l’indagine alla situazione socio politica del Bangladesh;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente critica la sentenza impugnata in punto di mancato riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), sulla base di allegazioni – in tema di pericolo di fuga dal paese di origine per la consapevolezza di non trovare protezione da parte dell’autorità – che non dimostra essere state ritualmente e tempestivamente formulate nel giudizio di merito; in questa prospettiva si rivelano non pertinenti in relazione alla vicenda narrata, le informazioni sul sistema sociale e giudiziario tratte dalle fonti citate in ricorso a sostegno della esposizione ad un grave pericolo in caso di rientro; deve inoltre evidenziarsi con specifico riguardo al riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), che il motivo presenta un ulteriore profilo di inammissibilità non avendo il ricorrente nemmeno prospettato il rischio di subire la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o ancora la possibilità di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo paese di origine.

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto anche in questo caso le censure alla decisione impugnata appaiono generiche; le informazioni tratte dal report richiamato in ricorso non risultano pertinenti alla vicenda personale del richiedente quale emergente dallo storico di lite della sentenza di secondo grado, in quanto evidenziano piuttosto criticità relative alla limitazione di diritti politici ed alla mancata tutela di alcune minoranze, in coerenza con quanto osservato dalla Corte distrettuale;

5.1. le censure articolate avuto riguardo alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), sono inammissibili perché volte a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Bangladesh, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo la sentenza impugnata specificato che nella zona di provenienza del richiedente non si assisteva ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata e richiamando sul punto fonti aggiornate;

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. parte ricorrente non si confronta specificamente con le ragioni sulla cui base la Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda di protezione umanitaria – ragioni riconducibili all’assenza di specifici profili di vulnerabilità- ma incentra le proprie doglianze sulla generica allegazione e deduzione di compromissione dei diritti umani in Bangladesh e sulla generale situazione di povertà del Paese, senza sviluppare alcuno specifico collegamento con la vicenda personale del richiedente e con le ragioni dichiarate del suo allontanamento dal paese di origine, come invece prescritto (Cass. n. 22274 del 2021, Cass. n. 2039 del 2021);

7. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo il Ministero dell’Interno, tardivamente costituitosi, svolto attività difensiva;

8. si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

 

 

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