Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18578 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.26/07/2017),  n. 18578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24534-2012 proposto da:

R.M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALLISNERI 11, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PACIFICI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GIUA;

– ricorrente –

contro

R.S. (OMISSIS), R.C. (OMISSIS), R.G.

(OMISSIS), S.M. (OMISSIS), R.M.I. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso

lo studio dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI ADRIANO;

– controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 169/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

sezione distaccata di SASSARI, depositata il 11/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e per l’assorbimento del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato PACIFICI Chiara con delega orale dell’Avvocato

Antonio GIUA difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento

delle difese in atti, rileva inoltre la nullità della notifica;

udito l’Avvocato GNISCI Leonardo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato ANGELETTI Alberto, difensore dei resistenti che si è

riportato alle difese depositate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La vicenda oggetto del giudizio trae origine dalla scrittura privata del 12.5.1966, in forza della quale R.D. vendette alla sorella R.C. un appartamento facente parte di un edificio sito in (OMISSIS) costruito per i dipendenti delle Poste e Telegrafi, amministrazione cui apparteneva il venditore.

2. – Dopo la morte di R.D., i suoi eredi – S.M., R.C., R.G., R.M.I. e R.S. – convennero in giudizio R.C., chiedendo che fosse dichiarata la nullità della vendita e che la convenuta fosse condannata alla restituzione dell’immobile nonchè al risarcimento del danno; in subordine, chiesero la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta in relazione all’obbligo di pagare il prezzo.

La convenuta resistette alla domanda; chiese, in via riconvenzionale, di essere dichiarata proprietaria dell’immobile; in subordine, che fosse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c.; chiese comunque che gli attori fossero condannati a pagarle la somma corrispondente ai frutti indebitamente percepiti.

Il Tribunale di Sassari rigettò la domanda di declaratoria di nullità del contratto stipulato tra le parti e dichiarò tale contratto risolto per inadempimento dell’acquirente nel pagamento del prezzo; condannò inoltre R.M., costituitosi in giudizio quale erede di R.C. (nel frattempo deceduta), al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

3. – Sul gravame proposto da R.M. in via principale e dagli originari attori in via incidentale, la Corte di Appello di Cagliari (Sezione distaccata di Sassari), in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarò la nullità del contratto di vendita stipulato inter partes per violazione di norma imperativa, in relazione al divieto di alienazione dell’immobile per dieci anni dalla data di acquisto della proprietà da parte dei dipendenti dell’Amministrazione postale, e confermò nel resto l’impugnata sentenza.

4. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre R.M. sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso S.M., R.C., R.G., R.M.I. e R.S., che propongono altresì ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso principale si articola in cinque motivi.

1.1. – Col primo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello violato i criteri legali di interpretazione dei contratti, erroneamente ritenendo che la scrittura privata stipulata tra le parti costituisse un contratto definitivo di compravendita e non un contratto preliminare di compravendita.

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

Innanzitutto, il motivo si risolve in censure di merito relative alla interpretazione del contratto, la quale, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, quando – come nella specie – non risultano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., e segg., e la motivazione della sentenza impugnata (nella specie esaustiva: cfr. p. 5 e seg.) è esente da errori logici e giuridici (cfr., ex multis, Cass., Sez. L, n. 17168 del 2012; Sez. 2, n. 13242 del 2010).

In ogni caso, poi, il motivo non coglie la ratto decidendi della sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale spiegato che la conclusione non muterebbe anche se il contratto dovesse essere ritenuto un preliminare, che sarebbe comunque nullo.

1.2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di esaminare le clausole del contratto, erroneamente ritenendo che la vendita di cosa altrui avesse efficacia reale e non obbligatoria e non considerando che il contratto prevedeva testualmente che “la compravendita dovrà essere perfezionata con atto notarile entro e non oltre il termine di sei anni dalla data odierna”.

La censura non è fondata.

Va innanzitutto rilevato che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte territoriale non ha attribuito efficacia reale alla vendita di cosa altrui. La Corte di merito ha spiegato (p. 5), invece, che il contratto stipulato tra le parti era una vendita di cosa altrui perchè al momento della vendita (12.5.1966) l’immobile non era di proprietà del venditore, ma sarebbe divenuto tale con atto del 10.6.1966; ed ha spiegato ancora (p. 6) che solo in tale momento ossia con l’acquisto della proprietà da parte del venditore – si sarebbe potuto perfezionare l’effetto traslativo ex art. 1478 c.c., comma 2.

In ogni caso, la Corte territoriale ha tenuto conto della clausola richiamata col motivo in esame, specificamente motivando sul punto senza incorrere in vizi logici e giuridici e spiegando che, fermo restando l’effetto traslativo da collocarsi – nell’intenzione delle parti al momento dell’acquisto della proprietà da parte del venditore, la ritardata riproduzione della compravendita nelle forme dell’atto pubblico (necessaria ai fini della trascrizione) era stata convenuta per aggirare il divieto di alienazione, erroneamente ritenuto dai contraenti di durata quinquennale.

1.3. – Col terzo motivo, si deduce poi la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello rilevato la nullità del contratto per violazione del divieto decennale di alienazione dell’immobile costruito dall’Amministrazione delle Poste e telegrafi, violando così il giudicato interno formatosi per acquiescenza parziale e pronunciando in assenza di domanda di parte attrice, non avendo nessuna delle parti dedotto che il divieto di alienazione fosse decennale, avendo sempre sostenuto che fosse quinquennale.

La censura non ha fondamento.

Invero, parte attrice, sia con la domanda introduttiva sia con l’appello incidentale (che esclude la formazione del preteso giudicato interno), ha chiesto la declaratoria di nullità del contratto per violazione del divieto di alienazione.

Quanto al contenuto di tale divieto (con riferimento alla sua durata), non è dubbio che – trattandosi di determinare l’estensione di un precetto normativo – esso deve essere individuato dal giudice, a prescindere dalle deduzioni delle parti. Invero, il potere dispositivo della parte investe il petitum e la causa petendi della domanda, ma non l’applicazione della norma, che compete al giudice, al quale spetta la qualificazione giuridica dei fatti dedotti e la loro sussunzione nella fattispecie normativa (“iura novit curia”). E l’applicazione della norma, con la relativa interpretazione della stessa, nulla hanno a che vedere – come pretenderebbe il ricorrente – con la causa petendi, che attiene invece alla deduzione dei fatti giuridicamente rilevanti.

In ogni caso, poi, a prescindere dall’avvenuta deduzione – nella specie – della nullità del contratto da parte degli attori, il giudice ben avrebbe potuto rilevare detta nullità d’ufficio, in quanto l’accertamento della validità del contratto era implicato dall’esame della domanda con la quale la convenuta R.C. aveva chiesto in via riconvenzionale di essere dichiarata proprietaria dell’immobile (cfr. Cass., Sez. U, n. 7294 del 22/03/2017).

1.4. – Col quarto motivo, si deduce ancora la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte di Appello ritenuto che “anche qualora le parti avessero concluso un preliminare, lo stesso sarebbe nullo, atteso che il termine (sei anni) per la conclusione del contratto definitivo sarebbe comunque caduto all’interno del periodo decennale di divieto”, sostituendo così – in violazione dell’art. 112 c.p.c. – la causa petendi dedotta dagli attori con altra.

Il motivo è inammissibile, perchè attacca una ratio decidendi ad abundantiam della sentenza impugnata, relativa alla possibile qualificazione del contratto stipulato inter partes come “preliminare”, che non costituisce la ratio principale su cui si fonda l’impugnata sentenza (avendo la Corte territoriale ha ritenuto in via principale che il contratto non era un preliminare, ma un definitivo).

In ogni caso, il motivo è infondato, dovendosi escludere il dedotto vizio di ultrapetizione per le ragioni evidenziate nell’esame del precedente motivo.

1.5. – Col quinto motivo, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello violato la giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento al principio di diritto secondo cui “Il contratto preliminare stipulato dall’assegnatario di un alloggio costruito da una cooperativa edilizia con il contributo dello stato prima dello scadere del decennio dall’assegnazione, con il quale l’assegnatario si obbliga a concludere il contratto di trasferimento della proprietà dell’alloggio con il promissario acquirente, non ha efficacia reale ma meramente obbligatoria e pertanto non è nullo per contrasto con le norme imperative contenute nelle leggi sull’edilizia residenziale sovvenzionata, anche quando sia convenuto l’anticipato trasferimento del possesso del bene” (ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 1701 del 27/01/2010; Sez. 2, n. 12749 del 26/09/2000).

Anche questo motivo è inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi della sentenza impugnata. Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto che il contratto stipulato inter partes è un contratto definitivo e non un preliminare; cosicchè il principio di diritto richiamato dal ricorrente risulta non pertinente.

2. – Dovendosi, per le ragioni dianzi dette, rigettare il ricorso principale, il ricorso incidentale condizionato rimane assorbito.

3. – In definitiva, va rigettato il ricorso principale e va dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Il ricorrente principale, risultato soccombente, va condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna il ricorrente in via principale al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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