Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18578 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.R. e R.R., in proprio e quali eredi della

madre Grilli Lidia, elettivamente domiciliate in Roma, via Spalato n.

11, presso lo studio dell’avv. Barbara D’Agostino rappresentate e

difese dall’avv. Calì Carmelo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sez. 14^, n. 109, depositata il 27 novembre

2007.

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore Dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Che le contribuenti proposero ricorso avverso avviso di liquidazione invim derivante, come da loro richiesta, dall’attribuzione di valore ai sensi del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 (convertito in L. n. 154 del 1983), ad immobile venduto con atto 29.1.1999;

– che, a fondamento del ricorso, le contribuenti deducevano il difetto di motivazione dell’atto impositivo e contestavano l’entità del valore accertato;

che l’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello delle contribuenti, dalla commissione regionale;

rilevato:

che, avverso la decisione di appello, le contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, in due motivi;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

che, con il primo motivo di ricorso, le contribuenti deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, censurando la decisione impugnata per non aver rilevato l’inosservanza della procedura di cui al D.L. n. 70 del 1988, art. 12 (convertito in L. n. 154 del 1988), con riferimento alla mancata indicazione, nella motivazione dell’atto impugnato, dei presupposti e dei motivi di classamento;

considerato:

– che la doglianza è infondata, giacchè, in tema di imposta di registro, qualora l’acquirente di un immobile non ancora iscritto in catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita abbia dichiarato nell’atto di acquisto di volersi avvalere della valutazione automatica, avanzando contestuale richiesta per l’attribuzione della rendita catastale, ed il valore dichiarato risulti, dopo l’attribuzione di questa, inferiore a quello determinabile in base alla nuova rendita secondo il criterio automatico, l’Ufficio, senza essere tenuto ad emettere avviso di accertamento, deve riscuotere la maggiore imposta dovuta con avviso di liquidazione, che deve riportare i dati del classamento (zona censuaria, categoria, classe, consistenza e rendita), in modo da consentire al contribuente la sua conoscenza e l’eventuale impugnazione unitamente all’avviso di liquidazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, ma non, necessariamente, i criteri ed i parametri adottati per la correlativa adozione (cfr. Cass. 15751/06, 1472/05, 13241/03, 7123/03);

osservato:

che, con il secondo motivo di ricorso, le contribuenti deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, in relazione all’art. 2 del medesimo testo di legge, censurando la decisione impugnata per non aver rilevato che la determinazione del valore dell’immobile (trattandosi di vendita avvenuta successivamente) andava effettuata con riferimento alla data del 31.12.1992;

considerato:

che la doglianza è inammissibile, giacchè integrante motivo “nuovo”, almeno in prospettiva di autosufficienza, posto che la questione ad esso immanente non risulta dibattuta, alla luce della sentenza impugnata, e che le contribuenti non indicano modalitità e tempistica delle relativa introduzione nei pregressi gradi di merito;

considerato inoltre:

– che entrambi i motivi appaiono, peraltro, non rispondenti alla previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, che impone al ricorrente, pena l’improcedibilità del ricorso, l’onere di depositare gli atti, anche processuali e i documenti, su cui il ricorso si fonda; onere che questa Corte ha puntualizzato dover essere necessariamente osservato entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, (cfr. Cass., S.u., 24787/09, 24940/09, 2855/09, 28547/08);

ritenuto:

che, pertanto, il ricorso va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

– che, per la soccombenza, le contribuenti vanno condannate al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: respinge il ricorso; condanna le contribuenti al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessivi Euro 700,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

 

 

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