Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18576 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/07/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 10/07/2019), n.18576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16711/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 52, presso lo studio

dell’avvocato J.S.A., che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.E., C.A., B.P., in proprio e nella

qualità di eredi di B.F., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA GREGORIO VII 426, presso lo studio dell’avvocato SARMATI

ALESSANDRA, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

G.G., G.S., in proprio e nella qualità

di eredi di I.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4937/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 02/03/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 07/03/2019 dal Consigliere Dott. DE STEFANO Franco.

Fatto

RILEVATO

Che:

il Condominio di Roma, vicolo d’Orfeo 7 ricorre, affidandosi ad un ricorso articolato su almeno tre motivi – alcuni dei quali comprendenti diverse censure – e notificato a partire dal 24/05/2018, per la revocazione della sentenza n. 4937 del 02/03/2018 di questa Corte suprema di cassazione, con cui è stato accolto uno dei motivi del ricorso principale proposto da C.A., B.E. e B.P. (in proprio e quali eredi di B.F.) avverso il rigetto, in sede di accoglimento dell’appello di quel Condominio contro la parziale condanna nei suoi confronti pronunciata in primo grado, della domanda da queste proposte per il risarcimento dei danni da occupazione di un bene di loro proprietà per il tempo dell’esecuzione di lavori ad una scala condominiale;

in particolare, questa Corte ha accolto il solo quinto motivo del ricorso principale delle C.- B., rilevando di ufficio che il Condominio non aveva correttamente appellato la ratio decidendi del tribunale basata sul riconoscimento del danno c.d. figurativo da illegittima occupazione dell’immobile, per avere contestato invece (con il relativo motivo di appello) la carenza di prova concreta di un danno da mancata locazione: poichè da tanto doveva evincersi la conseguente inammissibilità dell’appello, seppur non rilevata dalla corte territoriale, questa Corte ha qualificato assorbite le altre doglianze delle ricorrenti principali e le doglianze sulla domanda risarcitoria prospettate col ricorso incidentale subordinato dal Condominio, per poi dichiarare inammissibili gli altri motivi di quest’ultimo: il secondo, per inosservanza del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6; il terzo, per la sussistenza di motivazione sulla genericità dell’appello del Condominio sul rigetto della sua domanda risarcitoria per le opere abusive delle controparti;

al ricorso resistono con controricorso C.A., B.E. e B.P., in proprio e nella qualità, chiedendo di dichiararlo inammissibile o, in subordine, di accogliere comunque gli originari motivi di ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 5885 del 26/09/2014 della corte di appello di Roma;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il ricorrente deposita memoria ai sensi del comma 2, ultima parte, del medesimo art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

preliminarmente, non rileva alcun ulteriore approfondimento sulla ritualità o completezza delle notifiche del ricorso per cassazione anche agli intimati diversi dai controricorrenti, risultando superflua una loro eventuale rinnovazione (in applicazione dell’art. 331 c.p.c.) per i principi generali affermati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. ord. 22/03/2010, n. 6826 (seguita, tra moltissime, da Cass. Sez. U. 22/12/2015, n. 25772), per l’evenienza della inammissibilità del ricorso (estesi a quella di manifesta infondatezza, tra molte, da Cass. 21/09/2015, n. 18478, ovvero da Cass. 21/05/2018, n. 12515);

ciò posto, il ricorrente prospetta quali errori revocatori, rilevanti ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4:

– con un motivo rubricato “I” (da pag. 13 a pag. 21 del ricorso per revocazione), l’erroneità della qualificazione della causa petendi azionata dagli attori in primo grado ed al contenuto ed all’ambito del motivo di appello delle C.- B.: ed in particolare contestando il ricorrente, richiamati gli atti di causa, che la prima riguardasse il risarcimento danni da occupazione senza titolo;

– con un motivo rubricato “I B” (da pag. 22 a pag. 26 del ricorso per revocazione), l’erroneità della conseguente qualificazione di assorbimento dei motivi di ricorso principale dal primo al quarto e del primo motivo di ricorso incidentale di esso Condominio: invocando come corretto l’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale e comunque la necessità di statuire sull’imputabilità dell’occupazione senza titolo, con conseguente erroneità dell’omesso rinvio alla corte d’appello sul punto;

– con un motivo rubricato “II” (alle pagine 26 e 27 del ricorso per revocazione), l’erroneità dell’indicazione del motivo di appello ritenuto inammissibile, quello dovendo correttamente essere individuato nel terzo, ma nel quinto;

– con un motivo rubricato “III” (alle pagine 27 e 28 del ricorso per revocazione), l’errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto della ritenuta inammissibilità del motivo di appello;

– con un motivo rubricato “II B” (da pag. 28 a pag. 30 del ricorso per revocazione), l’errata indicazione dei motivi di appello tutti accolti dalla Corte di appello di Roma rispetto al solo motivo di gravame ritenuto inammissibile e l’omessa applicazione dell’art. 383 c.p.c.;

– con un motivo rubricato “II C” (da pag. 30 a pag. 32 del ricorso per revocazione), l’erroneità dell’annullamento della sentenza di appello gravata;

– con un motivo rubricato “III” (da pag. 32 a pag. 34 del ricorso per revocazione), l’erroneità dell’omissione della valutazione del secondo motivo del ricorso incidentale di esso Condominio: ricordando di avere puntualmente trascritto il verbale e di averne indicato pure la sede di produzione;

a tutti i motivi va premesso che (Cass. Sez. U. 16/11/2016, n. 23306, ove ulteriori ed ampi richiami):

– l’errore revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sè favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici;

– pertanto, l’errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione di un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (integrando tale inesatto apprezzamento, semmai, il detto vizio logico deducibile secondo il previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5);

– del resto, una valutazione implica di per sè sola una decisione e quindi una ponderazione o scelta tra più possibilità od alternative, tanto escludendo la configurabilità dell’errore revocatorio: l’errore di percezione deve invece riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicchè l’errore che cade sugli atti e i documenti della causa non è rilevante in se stesso, ma solo nella misura in cui si risolve in un errore di percezione di un fatto;

– ora, l’art. 395 c.p.c., n. 4 si premura di dare la definizione di errore “di fatto”: questo ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare in contrasto rilevante è quindi quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra;

– ciò che rileva è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l’una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l’altra da quella che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa; pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettivo, riferita a fatti univocamente ed incontestabilmente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento: e mai può allora rilevare, a questi fini, un errore che implichi un benchè minimo margine di apprezzamento o di valutazione o di giudizio per la sussunzione del fatto;

– la rappresentazione del fatto (o del complesso di fatti) materiale è – in altri termini – qualificabile come univoca quando è evidente, quando cioè non implica giudizio, sia pure elementare, inteso ad eliminare potenziali o effettive divergenze; mentre la supposizione deve comportare valutazione di causalità tra fatto presupposto e suo diretto accertamento da parte del giudice;

– inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicchè non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice;

ciò posto, è evidente che – ridotta ad un irrilevante o non decisivo errore materiale ogni eventuale erronea individuazione della numerazione delle censure di volta in volta proposte, ove il contenuto di quelle sia stato comunque preso in considerazione non uno dei motivi di pretesa revocazione può ricondursi alla nozione di errore di fatto come sopra ricostruita:

– non il primo, poichè la qualificazione del contenuto della domanda giudiziale costituisce appunto l’oggetto di una attività di lettura, interpretazione e qualificazione degli atti di causa e così un giudizio essa stessa e non già una erronea percezione di fatti insuscettibili di diversa estimazione;

– non il secondo, perchè la conclusione della qui gravata sentenza di non necessità di specifico esame degli altri motivi per reputato loro assorbimento implica un’evidente valutazione di rito e quindi di diritto;

– non il terzo, perchè perfino ove l’erroneità dell’indicazione del motivo di appello valutato come inammissibile sussistesse, essa sarebbe radicalmente priva di qualunque decisività sulla conclusione dell’inammissibilità e quindi sulla sentenza qui gravata;

– non il quarto, perchè fin dalla sua prospettazione si tratta di censura di valutazioni giuridiche, operate quanto al contenuto di atti processuali o di fatti a tal fine rilevanti/esaminato e valutato già nei gradi precedenti, così non direttamente da questa Corte: e non perciò di riscontro di dati insuscettibili di diversificata estimazione;

– non il quinto, perchè si rivolge a circostanze irrilevanti ai fini della decisione di questa Corte o comunque integranti valutazioni di atti processuali diversi da quelli del giudizio di legittimità, a loro volta presupposti dell’applicazione di norme processuali da parte di questa Corte;

– non il sesto, perchè censura l’esito finale delle valutazioni in fatto e in diritto di questa Corte e quindi non certo un riscontro di dati insuscettibili di diversificata estimazione;

– non il settimo, perchè vorrebbe criticare la definizione non già di carenza, ma di lacunosità – e quindi di imperfezione, a sua volta implicante una valutazione ponderata e non un rilievo di dati di fatto insuscettibili di diversificata estimazione – della trascrizione degli atti indispensabili e dell’indicazione delle sedi processuali di produzione, evidentemente alla stregua dell’insufficienza degli atti a disposizione;

il ricorso va allora dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, tra loro in solido per l’evidente pari interesse in causa;

va dato infine atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.050,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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