Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18575 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. II, 09/09/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 09/09/2011), n.18575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.D., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale

a margine del ricorso, dagli Avv. Campaner Claudio e Paolo Maldari,

elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, via

Filippo Corridoni, n. 4;

– ricorrente –

contro

F.N., rappresentato e difeso, in virtù di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Buran Franco e

Francesco Caffarelli, elettivamente domiciliato nello studio di

quest’ultimo in Roma, via Tigre, n. 37;

– controricorrente –

e nei confronti di:

M.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1112 del 26

giugno 2009.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avv. Giuseppe Cornalba, per delega dell’Avv. Claudio

Campaner, e l’Avv. Francesco Caffarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il Tribunale di Venezia, con sentenza depositata il 5 luglio 2004, ha accertato la linea di confine tra la proprietà dell’attore F.N. e quella della convenuta C.D., poi acquistata in corso di causa da M.S., secondo la dividente che, con andamento nord-sud, è parallela al, e ad una distanza di ml. 2,00 dal, fronte ovest del fabbricato di proprietà C.- M. e che con andamento est-ovest dista ml. 1,75 e ml.

1,25 dagli spigoli nord-ovest dello stesso fabbricato, secondo le indicazioni rappresentate nell’allegato 10 della consulenza tecnica depositata l’8 gennaio 2001; ha ordinato l’immediata rimozione della porzione di fabbricato della convenuta ricadente per una superficie di mq. 5,5, ed una volumetria di mc. 27,5 nella proprietà attorea;

ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi precedente e la conseguente ricollocazione di due manufatti abbattuti dalla convenuta, nonchè la rimozione delle tubazioni degli scarichi fognari realizzati all’interno della proprietà dell’attore; ha respinto la domanda di risarcimento dei danni avanzata dall’attore e disposto l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite;

che la Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 26 giugno 2009, ha rigettato il gravame principale interposto dalla C. e dal M. e, in accoglimento di quello incidentale del F., ha condannato gli appellanti principali al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 5.000, ed al pagamento delle spese del primo grado;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 novembre 2009, sulla base di un motivo;

che il F. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, mentre l’altro intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che l’unico mezzo (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per ultrapetizione, con conseguente nullità della sentenza, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4) si conclude con il seguente quesito di diritto: “se l’art. 112 cod. proc. civ. imponga di pronunciarsi unicamente entro i limiti delle richieste formulate nella domanda svolta in atto di citazione o se l’organo giudicante possa attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda”;

che il motivo è inammissibile per assoluta genericità, e quindi inidoneità, del quesito che lo accompagna;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della cen-sura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che nella specie la questione dell’ultrapetizione della sentenza di primo grado era già stata avanzata in appello e risolta dalla Corte territoriale con il rigetto del motivo di gravame sulla base delle seguenti argomentazioni: (a) la domanda del F. va senz’ altro qualificata come azione di regolamento di confini, come tra l’altro riconosciuto dagli stessi appellanti, i quali nell’atto di citazione in appello danno atto che detta qualificazione della domanda non è mai stata contestata; (b) non può dubitarsi che la domanda del F., sulla premessa di una linea di confine contenuta nella convenzione stipulata dalle parti il 30 maggio 1986, fosse volta ad eliminare l’incertezza venutasi a creare in conseguenza del comportamento della C. che, secondo la prospettazione dell’attore, aveva eseguito interventi di ristrutturazione in violazione di detta linea di confine; (c) la domanda appare riconducibile all’actio finium regundorum, che presuppone appunto l’assenza di una demarcazione visibile (incertezza oggettiva) o la sua inidoneità a separare i fondi in modo certo e definitivo (incertezza soggettiva) ed ha ad oggetto l’accertamento della effettiva estensione dei fondi limitrofi, non essendo in contestazione i rispettivi titoli di proprietà; (d) la natura dell’azione non muta per il fatto che l’attore chieda il rilascio dell’area di sua proprietà occupata dal convenuto, essendo l’effetto recuperatorio una conseguenza dell’accertamento del confine;

che il quesito di diritto con cui si chiude la censura non coglie la ratio che informa la sentenza impugnata e, anzichè confrontarsi con la specifica ragione di rigetto del corrispondente motivo di appello (la riconducibilità della domanda ad un’actio finium regundorum, non scalfita dalla richiesta, come conseguenza, di condanna al rilascio dell’area illegittimamente occupata), propone un interrogativo astratto, privo di alcun riferimento alla fattispecie controversa;

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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