Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18575 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9032/2015 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri

n. 5, presso lo studio dell’avvocato Coglitore Emanuele, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mazzarolli Francesco,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 376/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/07/2020 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 17 febbraio 2014, la Corte d’appello di Venezia ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 46.386,60 e quella di occupazione in Euro 29.467,09, oltre interessi, ordinando ad Anas s.p.a. il versamento presso la Cassa Depositi e Prestiti, detratto quanto già eventualmente versato.

A fondamento della decisione, la Corte ha fatto proprie le conclusioni del c.t.u., il quale ha rilevato essere l’area a destinazione agricola, priva di capacità legale ed effettiva di edificazione, e ricercato il prezzo di mercato per terreni di analogo uso della zona ed all’epoca dell’esproprio. In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso la maggiorazione L. n. 865 del 1971, ex art. 17, in difetto di allegazione e di prova della qualità di coltivatrice diretta in capo all’attrice.

Avverso la predetta sentenza P.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso l’Anas s.p.a..

La ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo e con il secondo motivo, la ricorrente denuncia rispettivamente la violazione e la falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 17, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui fatti decisivi per il giudizio, negando sia mancata l’allegazione e la prova della sua qualità di coltivatrice diretta.

Con il terzo motivo, essa deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui fatti decisivi per il giudizio, per non essere stata l’indennità determinata con riguardo all’effettivo valore del bene.

2. – Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto involgono la medesima questione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 6.

2.1. – Invero, la sentenza impugnata non ha riconosciuto la qualità di coltivatrice diretta in capo all’attrice, esponendo una duplice motivazione: vale a dire, l’assenza di allegazione ed il difetto di prova dell’assunto.

A fronte di tale motivazione, la ricorrente non assolve all’onere di specificità del motivo, sulla medesima gravante, in ordine alla effettiva deduzione della circostanza nel proprio atto di opposizione. Al contrario, essa si limita ad una generica affermazione di avere senz’altro “sin da subito affermato la sua qualità”, ma non deduce il tempo ed il luogo di tale deduzione.

Invero, la parte, contravvenendo al principio di specificità, non indica il contenuto degli specifici atti dei giudizi di merito, da cui desumere la fondatezza della doglianza: pertanto, deve farsi applicazione del consolidato principio (e plurimis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405) secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di error in procedendo, in relazione al quale la corte è anche giudice del fatto potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, esige che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo.

Ciò in quanto l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un errore processuale, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare – a pena, appunto, di inammissibilità – il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzioni.

2.2. – Giova altresì ricordare, in generale, come questa Corte abbia puntualizzato che occorre la deduzione specifica ed una prova rigorosa dei presupposti per l’indennità aggiuntiva: infatti, il proprietario che chieda la determinazione dell’indennità sulla base di detta natura deve fornire la prova rigorosa della sussistenza delle condizioni previste dalla legge ed, in particolare di condurre i terreni stessi e che su questi persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale (cfr. Cass. 25 settembre 2007, n. 19925), in quanto l’erogazione concreta dell’indennità aggiuntiva in favore dei fittavoli, mezzadri e coloni è strettamente condizionata dalla utilizzazione diretta agraria del terreno, ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare avviene con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia, nonchè dall’esistenza di uno dei rapporti agrari tipici, la cui prova deve essere fornita da chi da esso intenda trarre conseguenze favorevoli, atteso il disposto dell’art. 2697 c.c. (Cass. 9 novembre 2018, n. 28788).

Nella specie, il difetto financo dell’allegazione della circostanza esclude, infine, in radice l’applicazione del principio di non contestazione.

2.3. – Il secondo motivo, che denunzia un vizio di cui al precedente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vecchio testo, è del pari inammissibile.

3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Esso, infatti, da un lato menziona il vizio di cui al precedente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prima della modifica apportatavi dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134; dall’altro lato, intende ripetere un giudizio sul fatto, che non trova ingresso in sede di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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