Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18574 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/07/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 10/07/2019), n.18574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20884/2017 R.G. proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO

10/A, presso lo studio dell’avvocato DE MURO MAURO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 855/2017 della CORTE D’APPELLO di

CATANZARO, depositata il 09/05/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 07/03/2019 dal Consigliere Dott. DE STEFANO Franco;

Fatto

RILEVATO

Che:

P.P. chiede, affidandosi ad un ricorso articolato su

due motivi notificato tra il di 01 ed il 07/09/2017, la cassazione della sentenza n. 855 del 09/05/2017 della Corte di appello di Catanzaro, di accoglimento dell’appello di D.E. contro la propria condanna al risarcimento del danno dalla diffamazione dal primo ascrittagli come compiuta in un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Crotone in data 11/11/2011;

non espleta attività difensiva l’intimato;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

non sono depositate memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, u.p., del medesimo.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il ricorrente si duole: col primo motivo, di “nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 158,161,275 e 276 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 “, per l’insanabile divergenza tra la composizione del Collegio che aveva trattenuto la causa in decisione e quello che la ha decisa, secondo le risultanze rispettivamente – del verbale di udienza e della stessa sentenza; col secondo motivo, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p.(esimente del “diritto di critica”) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″, con particolare riguardo alla falsità delle affermazioni contenute nell’esposto diffamatorio (prima fra tutte quella sulla perorazione della propria nomina da parte dell’avv. Pirruccio) ed alla non configurabilità dell’esimente del diritto di critica dinanzi a tali falsità;

il Collegio non condivide la proposta del relatore, formulata in termini di manifesta fondatezza del primo motivo;

è ben vero che questa Corte ha più volte affermato (v., tra le altre, Cass. 06/12/2016, n. 24951) che, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendo la nullità della sentenza al mutamento della composizione del collegio medesimo (e salvo che la divergenza consistente nell’indicazione, nell’intestazione della sentenza, di un magistrato diverso da quello indicato nel verbale dell’udienza collegiale dipenda da un errore materiale, allora emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c.: infatti, pur non avendo efficacia probatoria a sè stante l’intestazione e possedendo pubblica fede invece il verbale di udienza, in ogni caso l’assenza da questa del magistrato che sottoscrive quale estensore la sentenza è sicuro indice della non corrispondenza del Collegio decidente con quello che ha assunto la causa in decisione e, pertanto, causa di nullità della sentenza stessa);

ed è altrettanto vero che, nella specie, la composizione del Collegio a cui è originariamente intestato il verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni e quella del Collegio che ha in concreto deciso l’appello risultano differenti: nel primo risultando presidente la Dott.ssa M.R. e giudici a latere le Dott.sse R.F. e M.G. e nel secondo risultando presidente la Dott.ssa M.G. e giudici a latere il Dott. S.A. e, quale giudice ausiliario e relatore, la Dott.ssa A.G.;

e tuttavia la meticolosa disamina degli atti di causa ed in particolare del verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni, possibile per la natura del vizio denunciato ed adeguatamente descritto nel ricorso, consente di rilevare che la trattazione in udienza era iniziata sì da parte del Collegio composto dalla presidente Dott.ssa M.R. e dai giudici a latere Dott.sse R.F. e M.G., ma altresì che, sicuramente prima di adottare il provvedimento conclusivo di assegnazione della causa in decisione (si vedano le righe ultima e penultima prima della penultima intestazione “Il Collegio” nel relativo foglio del verbale: le quali precedono l’assegnazione della causa in decisione, verbalizzata alla quart’ultima riga prima dell’ultima intestazione “Il Collegio”), quella stessa Corte, con separato provvedimento a firma del presidente del Collegio, aveva previamente modificato la composizione di questo, nominando presidente la Dott.ssa M.G., relatore la Dott.ssa A.G. e giudice a latere il Dott. S.S.;

orbene, pur dovendosi in effetti intendere il provvedimento di sostituzione (nella specie, di due componenti del Collegio su tre) come logicamente premesso alla formale precisazione delle conclusioni onde consentire agli effettivi componenti del Collegio chiamato a decidere di acquisire contezza delle attività defensionali svolte fino all’ultima udienza, l’unitarietà del contesto di udienza in cui i fatti si sono, nella specie, svolti consente di riferire utilmente ogni attività espletata anche prima del trattenimento della causa in decisione appunto al Collegio come designato per la medesima; e solo sarebbe stata preclusa la modifica della composizione del Collegio giudicante a verbale conclusivamente e definitivamente chiuso – e quindi al di fuori del contraddittorio tra le parti appunto sul mutamento dell’Organo giudicante – ed a causa quindi assegnata o trattenuta a sentenza;

infatti, la sostituzione è avvenuta allorchè era ancora in pieno corso lo svolgimento dell’udienza stessa e pienamente operante l’onere delle parti di essere presenti e fare constare ogni loro contestazione od osservazione, anche sul reso provvedimento di sostituzione, nello stesso verbale di udienza: con la conseguenza che, nella specie, ogni eventuale irritualità derivante dalla invertita scansione della sequenza procedimentale resterebbe sanata per l’evidente raggiungimento dello scopo di quei provvedimenti;

la pubblica fede che assiste quel verbale impone di concludere nel senso che il Collegio, subito prima dell’introito della causa in decisione ed in unitario contesto con la precisazione delle conclusioni, fosse allora ritualmente composto appunto dalla detta presidente e dai due giudici a latere da ultimo designati: e, così, con ogni evidenza in composizione corrispondente a quella dell’intestazione della sentenza ed a quella del Collegio che questa ha deliberato, con conseguente esclusione della fondatezza della doglianza qui svolta;

nè rileva – se non altro, di per sè sola – la circostanza che le conclusioni fossero state già precisate prima di tale sostituzione, non avendo l’odierno ricorrente allegato (nè tanto meno provato) specifiche lesioni del suo diritto di difesa in dipendenza di tale invertita scansione, neppure certo preclusa dall’omessa menzione nell’intestazione del verbale di udienza della presenza dei consiglieri poi designati, atteso che per notoria prassi l’intestazione di quello è riferita al presidente, al consigliere più anziano e ad altro, generalmente – ma non certo necessariamente – il relatore;

infatti, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione: sicchè è inammissibile l’impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18/12/2015, n. 26831); o, in altri termini, in virtù del generale principio di diritto processuale, elaborato da questa Corte (Cass. 22/02/2016, n. 3432; Cass. 24/09/2015, n. 18394; Cass.16/12/2014, n. 26450; Cass. 13/05/2014, n. 10327; Cass.22/04/2013, n. 9722; Cass. 19/02/2013, n. 4020; Cass. 14/11/2012, n. 19992; Cass. 23/07/2012, n. 12804; Cass. 09/03/2012, n. 3712; Cass. 12/09/2011, n. 18635; Cass. Sez. U. 19/07/2011, n. 15763; Cass. 21/02/2008, n. 4435; Cass. 13/07/2007, n. 15678), per il quale nessuno ha diritto al rispetto delle regole del processo in quanto tali, ma solo se, appunto in dipendenza della loro violazione, ha subito un concreto pregiudizio;

il motivo è quindi infondato, alla stregua del seguente principio di diritto: “nel corso dell’udienza di precisazione delle conclusioni dinanzi a giudice collegiale (nella specie, corte d’appello), la sostituzione di due componenti del Collegio è rituale anche se avvenga dopo la formale enunciazione delle parti delle conclusioni stesse, purchè prima del trattenimento della causa in decisione e si tratti del medesimo contesto di udienza in cui le parti ancora avevano facoltà ed onere di presenziare e fare constare a verbale osservazioni o contestazioni, ove quelle non deducano e provino una specifica lesione del loro diritto di difesa in dipendenza di tale scansione”;

all’infondatezza del primo si accompagna l’inammissibilità del secondo motivo: a prescindere dalla non configurabilità di un fatto il cui omesso esame fondi la censura ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – come nella specie – quello non si esaurisca un fatto storico o materiale ancorchè secondario (Cass. Sez. U. 8053 e 8054 del 2014), è evidente che con la censura si tende a conseguire una rimeditazione degli apprezzamenti di fatto ed in concreto compiuti dalla corte territoriale anche quanto alla dedotta falsità di alcune delle circostanze di fatto;

ma tali apprezzamenti delle espressioni addotte come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica costituiscono oggetto di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione (giurisprudenza costante; da ultimo: Cass. ord. 14/03/2018, n. 6133; Cass. ord. 23/03/2018, n. 7242);

il ricorso, infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo, va pertanto rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendovi svolto attività difensiva l’intimato;

va dato infine atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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