Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18572 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9468/2015 proposto da:

COMUNE DI MONTALBANO ELICONA, elettivamente domiciliato in Roma

presso lo studio dell’avvocato Francesco Favi, rappresentato e

difeso dall’avvocato Giuseppe Aveni, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.V., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Rocco Bruzzese, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

SC.EN.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 376/2010 e 131/2014 della CORTE D’APPELLO di

MESSINA depositato il 16/06/2010 e il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 9/07/2020 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Montalbano Elicona ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi di ricorso, cui replica l’intimata con controricorso, avverso le sentenze 376/10 del 16.6.2010 e 131/14 del 19.2.2014 con le quali la Corte d’Appello di Messina, pronunciando con la prima in via non definitiva e con la seconda in via definitiva, ha accolto l’appello di S.V. ed, in riforma dell’impugnata decisione di primo grado, ha condannato il Comune a ristorare il danno patito dall’appellante in conseguenza dell’occupazione acquisitiva di un fondo di sua proprietà e a corrisponderle l’indennità dovuta per l’occupazione legittima.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Montalbano Elicona lamenta la violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4 e art. 159 c.p.c., poichè il decidente d’appello pronunciando nel merito, sarebbe incorso nel medesimo error in procedendo in cui era caduto il giudice di primo grado, che, pur dando atto che la domanda attrice non contenesse l’indicazione dei fatti costitutivi, aveva, tuttavia, statuito sulla medesima, giudicandola infondata, anzichè dichiarare la nullità della citazione.

2.2. Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello, richiamati correttamente i termini essenziali della questione (“l’art. 163, comma 3, n. 4) prevede che la citazione debba contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi costitutivi del diritto costituenti ragioni della domanda con le relative conclusioni: secondo l’opinione prevalente tale elemento si identifica con la causa petendi, precisandosi in giurisprudenza che va dato preminente rilievo alle circostanze di fatto, essendo compito del giudice individuare gli effetti giuridici da esse derivati”), ha motivatamente respinto il rilievo rimarcando nel merito, in dissenso da quanto divisato dal deducente, che sebbene l’atto in parola sia certamente laconico, nondimeno “da esso emergono i dati identificativi del fondo occupato e la natura dell’opera pubblica che lo ha interessato, vi si accenna all’avvio della procedura espropriativa (se pure risultano omessi tanto i riferimenti temporali quanto il richiamo di atti formali), al mancato completamento della procedura medesima e dell’opera e all’omessa corresponsione di somma alcuna”. In ragione di ciò si è ritenuto che “non possa parlarsi di nullità essendo pur sempre indicati il fatto costitutivo della domanda (l’occupazione del fondo in vista della realizzazione di un’opera di pubblica utilità – divenuta successivamente illegittima) e le pretese che da essa si fanno derivare (risarcimento dei danni e pagamento dell’indennità di occupazione legittima e di quella aggiuntiva per il coltivatore diretto”.

La censura, alla luce delle riferite considerazioni, non ha perciò alcuna pregnanza cassatoria.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il Comune di Montalbano Elicona lamenta la violazione degli artt. 159 e 345 c.p.c., poichè il decidente d’appello avrebbe accolto il proposto gravame assumendo come base ed unica fonte di prova la documentazione prodotta in grado d’appello dall’appellante.

3.2. Analogamente con il terzo motivo di ricorso il Comune lamenta ancora la violazione degli artt. 345,88 e 92 c.p.c., poichè il decidente d’appello, nell’atto di liquidare le spese, avrebbe omesso di considerare che i documenti versati in appello potevano essere prodotti sin dal giudizio di primo grado.

3.3. I motivi esaminabili congiuntamente, in quanto strettamente avvinti, sono affetti da pregiudiziale inammissibilità, giacchè, a fronte del rilievo consegnato alla motivazione secondo cui la Corte d’Appello si è pronunciata in base a quanto risultante “dagli atti di causa (documenti prodotti dalle parti e c.t.u.)”, la doglianza esternata dal ricorrente si risolve in una denuncia del tutto generica, difettando con ciò della necessaria specificità che valga a porla al riparo dalla preclusione sancita dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e ciò perchè il deducente si astiene dall’indicare quali, tra i documenti vagliati dal giudice d’appello, siano stati prodotti solo in quella sede e perchè di certo non possono ritenersi tali quelli da cui la Corte d’Appello ha tratto il proprio convincimento, non costandone infatti ex actis la tardività della produzione.

4.1. Con il quarto motivo di ricorso il Comune di Montalbano Elicona lamenta “violazione di legge e motivazione mancante” circa un fatto decisivo del giudizio, poichè il decidente d’appello, ancorchè sul punto il giudice di primo grado non si fosse potuto esprimere per difetto di idonee produzioni documentali, avrebbe ritenuto di poter individuare nel caso di specie i requisiti dell’occupazione acquisitiva sulla base della delibera di giunta municipale che aveva approvato il progetto e dell’ordinanza sindacale di proroga, quantunque da essi non risultasse alcun termine e l’opera fosse stata ultimata solo nel 2003 e quindi ben dopo che il fatto fosse stato dedotto in giudizio nel 1998.

4.2. Il motivo non ha pregio.

Posto, invero, che la Corte d’Appello si è data cura di rimarcare che “il progetto relativo alla realizzazione della strada di collegamento, in vista della quale fu programmata l’espropriazione, fu approvata dalla Giunta Comunale nel giugno 1989” e “che l’ordinanza sindacale di occupazione fu emessa in data 5.1.91 per la durata di anni 5, prorogata di un ulteriore bienni con ordinanza del 27.12.95”, la declinata censura, da un lato, urta contro la preclusione discendente dal fatto che l’apprezzamento probatorio condotto dal decidente di merito non è rivedibile in questa sede, tanto più che riguardo ad esso non è evidenziabile alcuna anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, essendo l’apprezzamento in parola sorretto da congrua ed adeguata motivazione; dall’altro, in disparte dalla considerazione che il rilievo in punto di irreversibile trasformazione del fondo ha nell’economia della decisione valenza puramente euristica, la censura non si accorda con il quadro di riferimento messo a punto dalle SS.UU. con la sentenza 735/2015, alla luce del quale, una volta chiarito che l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorchè il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente, la pretesa risarcitoria che su di esso si radica si ricollega al mero fatto dello spossessamento, divenuto indebito una volta che siano decorsi i termini di occupazione legittima, ed è intesa a ristorare il pregiudizio sofferto dal privato per effetto dell’intervenuta perdita del possesso, di talchè l’irreversibile trasformazione del fondo costituisce un post-factum irrilevante ai fini del perfezionamento della fattispecie risarcitoria, già di per sè perfetta in conseguenza dell’avvenuta apprensione e della protratta permanenza del bene nella disponibilità della P.A..

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore della parte costituita in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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