Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1857 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 23/01/2019), n.1857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21342-2017 proposto da:

COMPAGNIA AEREA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– ricorrente –

Contro

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FERDINANDO PERONE, ANDREA BORDONE, PAOLO

PERUCCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 477/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06 marzo 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06 novembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 6 marzo 2017, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del Tribunale in sede che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato da Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a. con M.D. (per lo svolgimento di mansioni di Pilota “Primo Ufficiale”) in data 4 maggio 2012 e costituito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna della società al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

che, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede, ai fini della verifica dell’osservanza da parte della società della cd. “clausola di contingentamento” occorreva stabilire (e quindi la società doveva provare) quanti lavoratori a termine fossero in forza con contratto stipulato ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, al momento dello svolgimento del rapporto di lavoro e che il loro numero non superasse mai il 15% degli assunti a tempo indeterminato e tale prova non era stata fornita non essendo la documentazione prodotta all’uopo dalla società attendibile;

che per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Compagnia Aerea Italiana s.p.a. (già Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a.) affidato a tre motivi cui resiste il M. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’integrale accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,420 e 437c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte d’appello erroneamente applicato il disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001 cit., art. 2, – secondo il quale la percentuale del 15% dell’organico aziendale fissata come limite per il ricorso ai contratti a termine deve essere calcolata con riferimento all’organico aziendale al 1^ gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono – e consistendo, dunque, l’onere gravante sulla società nella indicazione del numero dei contratti a termine stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, cit. art. 2, dall’inizio dell’anno e fino alla sottoscrizione del contratto in questione dato da raffrontare, poi, all’organico aziendale al 1^ gennaio;

– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione violazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,420 e 437c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto la Corte territoriale: aveva omesso di considerare che la prova del rispetto della “clausola di contingentamento” doveva ritenersi pacifica stante la mancata contestazione entro il termine della prima udienza da parte del lavoratore della documentazione prodotta dalla società, con riferimento all’anno 2012, unico anno rilevante ai fini della decisione;

non aveva tenuto conto della copiosa documentazione prodotta dalla società (in particolare dei documenti 7 e 9 allegati alla memoria difensiva, ovvero il libro unico del lavoro -“LUL”- per l’anno 2012 contenente i cedolini paga integrati con il dettaglio delle presenze di tutto il personale assunto a tempo determinato ed a tempo indeterminato, le liste nominative del personale assunto a tempo determinato) il cui contenuto era stato anche confermato dal teste escusso benchè già sufficiente a dimostrare il rispetto della “clausola di contingentamento”; non aveva esercitato i poteri istruttori ufficiosi per integrare la prova già fornita dalla società, se reputata insufficiente, disponendo la prosecuzione della prova testimoniale ed una consulenza tecnica d’ufficio onde verificare il rispetto del limite percentuale del 15% sulla scorta della documentazione prodotta agli atti;

– con il terzo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo il giudice del gravame del tutto omesso di esaminare i documenti contrassegnati dai nn. 7 e 9 della produzione della società contenenti la lista di tutti i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 cit., art. 2, con la data di decorrenza e di cessazione di ciascun rapporto nonchè il libro unico del lavoro (“LUL”) per l’anno 2012;

che il primo motivo è inammissibile alla luce del principio secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano, sicchè è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U., n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U., n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, nel caso in esame, a prescindere dalla interpretazione fornita del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, in ordine al criterio da applicare per verificare l’osservanza della “clausola di contingentamento”, la Corte territoriale ha ritenuto che la documentazione prodotta dalla società fosse nel suo complesso inattendibile e, dunque, non idonea a comprovare il rispetto di detta clausola, ratio decidendi questa non inficiata dagli altri motivi di ricorso come appresso si dirà;

che il secondo motivo è infondato. In primo luogo va rilevato come il lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio avesse eccepito la nullità dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per violazione della “clausola di contingentamento” sicchè non era suo onere contestare le contrarie allegazioni aziendali o fornire la prova contraria alle allegazioni di controparte avendo egli già espresso la propria posizione al riguardo così fissando quello che era il thema probandum (Cass. n. 6183 del 14/03/2018; Cass. 18046 del 20 agosto 2014); peraltro, è stato anche precisato che “Il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, nè tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi.” (Cass. n. 22055 del 22/09/2017; Cass. n. 12748 del 21/06/2016; Cass. n. 6606 del 06/04/2016; Cass. n. 18046 del 20 agosto 2014) e, nel caso in esame, ciò che viene lamentata è proprio la mancata contestazione del contenuto dei documenti prodotti dalla società. Riguardo alla circostanza che i contratti prodotti dal lavoratore concernendo l’anno 2011 non potevano valere ad inficiare anche la documentazione relativa all’anno 2012 prodotta dalla società si osserva che, sul punto, la censura è inammissibile finendo con il sollecitare una rivisitazione del merito della causa non consentita in questa sede. Ed infatti è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, ex plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003); nel caso in esame il Tribunale prima e, poi, la Corte d’appello hanno ritenuto che la non coincidenza dei nominativi fra i contratti depositati e l’elenco dei dipendenti deponesse a sfavore della attendibilità dei dati forniti dalla società. L’aver ritenuto inattendibile la documentazione prodotta dalla società ha evidentemente indotto tanto il primo giudice che la Corte d’appello a non disporre una consulenza tecnica che si sarebbe dovuta fondare proprio su detta documentazione e a non proseguire nella prova testimoniale;

che il terzo motivo è inammissibile perchè non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, nella formulazione “ratione temporis” applicabile alla presente controversia come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte (S.U. n. 8053 del 7 aprile 2014) in quanto finisce il denunciare l’omessa o carente valutazione della documentazione acquisita agli atti e non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Peraltro, la Corte, come già esposto nel corso della disamina del secondo motivo, ha valutato inattendibile la documentazione prodotta dalla società nel suo complesso, ivi compresi i documenti il cui esame, qui, si assume omesso;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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