Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18568 del 09/09/2011
Cassazione civile sez. I, 09/09/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 09/09/2011), n.18568
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11115-2009 proposto da:
C.S. (c.f. (OMISSIS)), CA.SO.
(c.f. (OMISSIS)), C.M. (c.f.
(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA STOPPANI
1, presso l’avvocato SCUDERI ANDREA, che li rappresenta e difende,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ IRREGOLARE COSTITUITA TRA S.S.
E B.N., in persona del Curatore Avv. T.
V., NONCHE’ DEI SOCI MEDESIMI S.S. E B.
N., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA
CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato SPADARO ANTONINO, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 829/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,
depositata il 17/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
30/06/2011 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato MARCO SPADARO, per delega,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 18 maggio 2004 il Tribunale di Siracusa, in accoglimento della domanda proposta dalla curatela del fallimento della società irregolare costituita tra S.S. e B.N., nonchè dei fallimenti personali dei predetti soci, dichiarava l’inefficacia, ex art. 67, comma 1, L. Fall., del contratto di compravendita stipulato il 15 maggio 1990, con cui la società in bonis aveva alienato ai signori C.S. e D.M. R. un locale commerciale sito nel comune di (OMISSIS) al prezzo di L. 60 milioni, largamente inferiore al valore di mercato, stimato dal consulente tecnico d’ufficio in L. 100 milioni.
Il successivo gravame dei sigg. C.S., Ca.
S. e C.M. (queste ultime, quali eredi Di M. R.) era rigettato dalla Corte d’appello di Catania con sentenza 17 giugno 2008.
La corte territoriale motivava che le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio apparivano sorrette da diversi metodi di stima e tenevano conto delle carenze costruttive dell’immobile, nonchè delle irregolarità tecnico-amministrative; e che per contro gli acquirenti non avevano fornito la prova liberatoria della loro inscientia decoctionis.
Avverso la sentenza, notificata il 2 marzo 2009 i sigg. C. proponevano ricorso per cassazione notificato il 2 maggio 2009 e articolato in quattro motivi.
Resisteva con controricorso la curatela del fallimento della società irregolare costituita tra il S. e la B., nonchè dei soci in proprio.
Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza del 30 giugno 2011 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Il collegio disponeva la motivazione semplificata della decisione.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
La corte territoriale ha congruamente motivato le ragioni di condivisione della stima dell’immobile alienato, il cui valore commerciale era superiore di oltre un quarto al prezzo pattuito per la vendita: percentuale, che viene considerata dirimente ai fini della sproporzione delle prestazioni corrispettive, presupposto della revocatoria ex art. 67, comma 1, L. Fall.. Ne consegue che gravava sugli acquirenti la prova liberatoria della propria inscientia decoctionis, che non poteva non essere dotata di particolare specificità e concludenza in considerazione della presunzione di diritto da superare. Il motivo di censura fa invece riferimento generico a circostanze inidonee a dimostrare positivamente l’ignoranza dello stato di insolvenza, nonostante l’indizio fortemente rivelatore costituito dalla vistosa inadeguatezza del prezzo, ed è pertanto inammissibile.
Anche il secondo motivo è inammissibile, risolvendosi in una difforme valutazione di merito di circostanze già apprezzate dalla corte sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
Il terzo motivo tende ad introdurre un riesame delle risultanze probatorie – ed in particolare, della CTU – estraneo ai limiti del giudizio di legittimità.
L’ultimo motivo non è neppure articolato in forma di argomentata censura, limitandosi a chiedere un diverso regolamento delle spese di giudizio in caso di accoglimento del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 30 Giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011