Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18568 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26365/2015 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliata in Roma, Corso del

Rinascimento n. 11, presso lo studio dell’avvocato L’Abbate Amina,

rappresentata e difesa dall’avvocato Gallo Cirino, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia del Demanio, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 518/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 03/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 518/2015, depositata in data 23/4/2015, – in controversia promossa, nel marzo 2000, dall’Amministrazione finanziaria dello Stato nei confronti di R.M. e B.F. per sentire condannare i convenuti, abusivi occupanti di un tratto di terreno demaniale, in (OMISSIS), distinto con il comp. 12 dell’Isolato 73 del N.P.R. di Acquedolci, facente parte di area espropriata in conseguenza di un importante evento franoso che aveva causato, negli anni ‘20, lo spostamento a valle del centro abitato di (OMISSIS), al rilascio dell’immobile ed al pagamento dell’indennità di occupazione dovuta dall’1/1/1970, quantificata in Lire 29.656.000, pari ad Euro 15.316,05, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, – ha confermato la decisione di primo grado, del 2007, che aveva condannato, in solido, i convenuti, rimasti contumaci, al rilascio immediato del bene demaniale ed al pagamento della somma di Euro 15.316,05, a titolo di residua indennità di occupazione abusiva dovuta, dal gennaio 1970 al 23/11/1994, data in cui l’Amministrazione finanziaria dello Stato aveva venduto il compendio denominato nuovo piano regolatore di Acquedolci, di cui fa parte l’immobile in oggetto, al Comune di Acquedolci (il quale Ente aveva poi, con atto pubblico del 31/10/2001, registrato il 16/11/2001, venduto l’immobile agli occupanti).

In particolare, i giudici d’appello – respinta l’eccezione degli appellanti B. e R. di inesistenza/nullità della notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado – hanno sostenuto che la somma versata (Lire 5.807.169) all’Agenzia del Demanio nel 2001 (oggetto di una certificazione liberatoria, che richiamava un provvedimento direttoriale del 24/09/2001), determinata secondo i parametri della L. n. 615 del 1982 (dettati per la determinazione del prezzo di vendita delle aree, essendo stata disposta con detta legge la vendita dell’intero compendio dall’Amministrazione finanziaria al Comune di Acquedolci, con obbligo di quest’ultimo di trasferire i singoli lotti ai relativi occupanti, previa esibizione di certificazione attestante il soddisfacimento del debito erariale per la pregressa occupazione), lasciava salva la diversa determinazione del dovuto per l’occupazione sine titulo dell’mmobile, secondo il valore venale, in sede giudiziale.

Avverso la suddetta pronuncia, R.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia del Demanio (che resiste con controricorso). La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, su punto decisivo della controversia, rappresentato dalla certificazione liberatoria rilasciata nel settembre 2001 dall’Agenzia del Demanio, prodotta in giudizio ed allegata all’atto pubblico del 2001 – intervenuto nelle more del giudizio di primo grado – di compravendita del terreno, con la quale l’Amministrazione finanziaria aveva certificato la corresponsione, ai sensi della L. n. 615 del 1982, art. 2, della somma dovuta fino al 23/11/1994; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 615 del 1982, nonchè l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia, sempre in ordine alla quantificazione del canone di occupazione dovuto per il terreno demaniale dal 1970 al 23/11/1994.

2. La prima censura è infondata, in quanto non sussiste il vizio dedotto di omesso esame di fatto decisivo, avendo la Corte di merito espressamente motivato sulla certificazione liberatoria del 27/09/2001, interpretandola sulla base del suo contenuto letterale, affermando che, con una dichiarazione dei coniugi R. – B., richiamata nel provvedimento direttoriale dell’Agenzia del Demanio del 24/9/2001, espressamente citato nella certificazione liberatoria, gli occupanti si impegnavano, in relazione al giudizio di cognizione ordinaria pendente, “in caso di eventuale soccombenza, a corrispondere all’Amministrazione Finanziaria dello Stato tutte le somme che il Tribunale dovesse ritenere dovute”, con ciò dimostrando “di essere a conoscenza del giudizio di primo grado”) nel senso di una ricevuta di corresponsione di somma di denaro, a titolo di canone di occupazione dell’area, salvo conguaglio con quanto determinato in

sede giudiziale. Solo in memoria, si eccepisce un fatto nuovo,

rappresentato dalla mancata sottoscrizione da parte della R. della dichiarazione richiamata nel provvedimento direttoriale dell’Agenzia, senza dedurre dove, come e quando tale circostanza sarebbe stata dedotta nel merito.

Quanto poi al vizio della decisione impugnata in punto di conferma della statuizione di primo grado anche sull’ordine di rilascio dell’immobile (divenuto invece, già nelle more del giudizio di primo grado, di titolarità degli occupanti), si sarebbe dovuto denunciare un vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omesso esame di un motivo di appello, non un vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5 o, generico, di “violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

3. La seconda censura, quanto al vizio di violazione di legge, è, in parte, infondata ed, in parte, inammissibile.

Il quadro normativo di riferimento è stato ricostruito nel precedente di questa Corte n. 7444/2012, nel quale si è dato atto che: a) la L. n. 615 del 1982, che ha disposto la vendita da parte dell’Amministrazione del demanio dello Stato in favore del Comune di Acquedolci, del compendio già oggetto del decreto d’espropriazione n. 30486, emesso in data 19 giugno 1934 dal prefetto di Messina, dopo che a seguito del D.P.R. n. 30 settembre 1955, n. 1097, l’abitato di (OMISSIS), esclusa una zona appositamente delimitata, era stato cancellato dalla tabella di quelli sottoposti a trasferimento e compreso invece in quella degli abitati da consolidare; b) la legge, infatti, intendeva sanare una situazione assai complessa e difficile, che involgeva interessi e posizioni di carattere pubblico e privato, che si erano determinate dopo che a seguito del menzionato D.P.R. n. 1097 del 1955, numerosi terreni resi liberi erano stati investiti da opere private di costruzione non a scopo speculativo, ma per l’esigenza primaria di un ricovero abitativo, cosicchè tutti coloro che ne avevano fatto richiesta, avevano ottenuto dall’Intendenza di finanza di Messina concessione di singole aree site in dati comparti ed isolati del piano di ampliamento del 1929, “corrispondendo, peraltro, un canone, che per la misura del prezzo stabilito, era conforme al valore edilizio delle aree stesse”; c) detta finalità venne raggiunta attraverso il trasferimento dei beni dallo Stato al comune di Acquedolci, e quindi attraverso una modifica ope legis della loro titolarità in capo all’amministrazione comunale, condizionata agli adempimenti prescritti a carico del comune acquirente fra cui la regolarizzazione dei rapporti pendenti con i predetti occupanti, mediante vendita a loro favore della proprietà delle aree da ciascuno occupate, previa esibizione, da parte di ciascuno di essi, di certificazione dell’amministrazione finanziaria dello stato da cui risulti il soddisfacimento del debito erariale per la pregressa occupazione; d) restava estraneo alla disciplina della legge il rapporto di concessione delle aree intercorso tra questi ultimi e l’Amministrazione del demanio, “significativamente non menzionato dalla L. n. 615”, e perciò regolato dal provvedimento o dal titolo che lo aveva istituito e comunque dalla legge che per qualsiasi occupazione di un bene altrui prevede il pagamento di un corrispettivo, nel caso correttamente parametrato dall’amministrazione finanziaria al 5% annuo del valore edilizio dell’immobile.

I ricorrenti si limitano in ricorso, per lo più, a dolersi della mancata considerazione del ritardo con cui l’Amministrazione finanziaria ha provveduto a trasferire il compendio immobiliare al Comune per il trasferimento agli occupanti.

Nel motivo di ricorso, non è dato comprendere, con conseguente difetto di autosufficienza, perchè il canone dovuto sarebbe solo quello determinato secondo i parametri della L. n. 615 del 1982, nella certificazione liberatoria del 2001.

La L. n. 615 del 1982, non si è occupata dei canoni di occupazione ma delle modalità di determinazione del prezzo di vendita delle aree, prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato, subordinando la vendita alla prova del pagamento dei canoni per l’occupazione.

Il vizio motivazionale è inammissibile, in quanto non formulato in conformità al nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Riguardo poi al vizio, riportato nella parte finale del secondo motivo di ricorso, di “omessa motivazione” sull’eccezione di nullità o inesistenza della notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, perchè eseguita in luogo diverso da quello di residenza dei destinatari, lo stesso, quand’anche ammissibile malgrado non sia stato svolto specificamente come vizio di omessa pronuncia su motivo di appello, risulta inammissibile sotto altro profilo, in quanto la ricorrente non ha colto la ratio decidendi, avendo la Corte territoriale accertato che la citazione, come risultante “dalle cartoline di ricevimento”, è stata consegnata in data 16/3/2000 “a mani proprie” per il B. ed a mani del predetto quale “marito convivente” per la R..

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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