Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18564 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. I, 09/09/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 09/09/2011), n.18564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20472-2005 proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso il dott. PLACIDI ALFREDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CONSALES CLAUDIO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 1/E, presso l’avvocato

COGO GIAMPAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSARI NICOLA,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

COMUNE DI BRINDISI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 307/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il ricorrente l’Avvocato CONSALES CLAUDIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato COSSU BRUNO, con delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’architetto C.G. ha chiesto ed ottenuto dal Presidente del Tribunale di Brindisi decreto ingiuntivo nei confronti del Comune di Brindisi per competenze professionali relative ad incarico per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria del quartiere (OMISSIS). In fatto, l’incarico gli era stato conferito con Delib. giunta comunale 15 luglio 1981, n. 1664/3 che rinviava quanto alla regolamentazione del rapporto al disciplinare allegato in copia; lo schema della convenzione gli era stato rimesso in copia con missiva del 25 settembre dello stesso anno con cui l’assessore competente, comunicandogli il conferimento dell’incarico, lo aveva invitato a firmare la convenzione. La specifica delle competenze infine era stata approvata con Delib. 30 aprile 1992, n. 1157.

L’ente intimato ha proposto opposizione al Tribunale di Brindisi che, con sentenza n. 922/2003, ne ha disposto l’accoglimento, provvedendo alla revoca dell’ingiunzione, ed ha compensato le spese di lite anche nei confronti di G.P., assessore ai lavori pubblici del Comune, intervenuto volontariamente nel giudizio per sollevare questione di nullità del contratto, titolo fondante la pretesa attorea, essendo stato diffidato dall’ente a risarcirgli i danni arrecatigli dalla vicenda.

La statuizione, impugnata dal C. innanzi alla Corte d’appello di Lecce, ha ricevuto conferma, con sentenza n. 307/2005, avverso cui il predetto ha proposto ricorso per cassazione in base a quattro motivi ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ha resistito con controricorso G.P..

L’ente intimato non ha invece spiegato difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col 1^ motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1326, 1350, 1418, 2222, 2230 e 2233 cod. civ. e correlato vizio di motivazione. Ripercorsa la vicenda fattuale, originata dalla Delib. giunta comunale 15 luglio 1981, n. 1664/3 con la quale il Comune di Brindisi ebbe a conferirgli l’incarico cui si riferisce la somma pretesa in giudizio, cui seguirono la sottoscrizione del disciplinare che regolava i reciproci rapporti economici, e numerose altre delibere di Giunta e del Consiglio comunale, il ricorrente, lamenta omesso esame di tutte le attività relative alla sottoscrizione del contratto ed ascrive alla Corte del merito d’aver applicato l’enunciato espresso nel precedente citato n. 14570/2004, facendone malgoverno in relazione al caso concreto, in cui l’intera produzione documentale dimostra la valida instaurazione del rapporto contrattuale. Alla menzionata delibera fecero infatti seguito l’attività relativa alla sottoscrizione del disciplinare articolato in 17 articoli, attestata dalla missiva 25 settembre 1981 n. 65621 firmata dall’assessore ai LL.PP. del Comune di Brindisi contenente l’invito a presentarsi presso l’ufficio presso l’ufficio il giorno 1.10.1981 per firmare la convenzione, il cui schema, approvato, gli era stato rimesso in copia, cui seguì la Delib. 30 aprile 1992, n. 1157 che approvò la specifica delle competenze, nonchè numerose altre delibere dei competenti organi comunali attestanti la formazione di valido consenso. La garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa sarebbe insonnia attestata dalla convenzione accettata e voluta dalle parti pur in assenza della sottoscrizione, e la validità del titolo fondante la pretesa azionata emergerebbe dalla certezza della convenzione, ammessa in causa dallo stesso ente convenuto e regolarmente acquisita agli atti del giudizio, nonchè dalla sua pacifica esecuzione attestata dai documenti allegati.

Incorrendo in vizio di motivazione, la Corte del merito avrebbe infine qualificato la convenzione prodotta in atti mero standard senza esaminarne aggiunte e correzioni relative all’incarico in discussione.

Il resistente deduce l’infondatezza del motivo rilevando la contraddittorieta dell’avversa difesa laddove assume la sussistenza di convenzione scritta per poi ammettere l’assenza della sua sottoscrizione.

Il motivo esprime censura priva di pregio.

Il giudice d’appello, concordando sul rilievo, correttamente qualificato officioso dal primo giudice, ha escluso la valida conclusione del contratto d’opera, fonte dell’obbligazione dell’ente convenuto, attesa l’incontroversa assenza della sottoscrizione dei contraenti – Sindaco e professionista – del disciplinare contenente la convenzione che, rappresentando requisito prescritto ad substantiam dal disposto del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17 ne aveva comportato la nullità per difetto di forma. In assenza di un valido contratto, erano sprovvisti di rilevanza gli ulteriori dati probatori allegati dall’istante, rappresentati dall’esistenza della deliberazione comunale di conferimento dell’incarico che, avendo efficacia solo interna, non rappresentava proposta contrattuale, nonchè della liquidazione, disposta con Delib. G.M. n. 1157 di un acconto sul compenso spettante al professionista.

Conforme all’esegesi del dettato normativo che governa il caso di specie consacrata nella giurisprudenza di questa Corte, l’approdo è immune da critica. In assenza della convenzione relativa alle opere de quibus munita di regolare sottoscrizione, secondo il ricorrente, il coacervo di atti e documenti ufficiali menzionati e riprodotti nel contenuto attesterebbe il regolare perfezionamento del contratto sottostante il credito dedotto in causa, tenendo luogo dell’atto scritto, postulato a pena di nullità dai giudici del merito, ed in questa prospettiva attesterebbe sia l’incontro delle volontà che l’esecuzione del contratto stesso. Nella medesima chiave, andrebbero valorizzati comportamenti e difesa giudiziale che dimostrerebbero l’esistenza della convenzione, di cui vi sarebbe riferimento negli atti difensivi di controparte specificamente riprodotti, tenendo conto del fatto che la sottoscrizione della convenzione non necessariamente deve essere contestuale alla sua stesura.

L’argomento, pur non confutando l’esigenza della forma scritta, mira insomma a surrogarne l’assenza attraverso la valorizzazione dei risultati dell’attività amministrativa dell’ente comunale, configurandoli in termini di proposta contrattuale cui seguì l’accettazione del privato, dunque la conclusione del contratto d’opera.

Suggestiva ma palesemente infondata, la tesi non scalfisce la correttezza dell’approdo impugnato che ha escluso il valido perfezionamento del contratto in difetto della formalizzazione della collaborazione delle parti interessate prescritta ex lege aderendo all’enunciato citato, ulteriormente ribadito ed in questa sede condiviso senza necessità di rivisitazione, secondo cui anche in relazione ai contratti jure privatorum” la f pubblica amministrazione non può assumere impegni o concludere contratti se non nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti (vale a dire nella forma scritta), il cui mancato rispetto produce la nullità assoluta dell’atto, rilevabile anche d’ufficio, in quanto la forma scritta prescritta ad substantiam rappresenta strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa pubblica amministrazione, rispondendo all’esigenza di identificare con precisione l’obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell’atto e, specularmente, di rendere possibile l’espletamento della indispensabile funzione di controllo da parte dell’autorità tutoria, si che in questo senso, il requisito in parola può considerarsi espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dalla carta costituzionale (art. 97)” (Cass. nn. 22537/2007, 12032/2010, 8000/2010). La fase pubblicistica, estrinsecatasi nella delibera dell’organo competente e nella relativa approvazione dell’organo tutorio, ed attestata dai documenti richiamati dal ricorrente, non ha esaurito il processo di formazione della fattispecie, che postulava la successiva indefettibile fase di natura privatistica che, concretizzandosi nella stipulazione del contratto che la delibera aveva autorizzato (Cass. n. 10123/2007), consacrasse, nel documento scritto e regolarmente sottoscritto dal rappresentante dell’ente e dal privato, la specifica regolamentazione del rapporto contrattuale. Fatti ed atti ascrivibili all’ente pubblico, ancorchè regolarmente assunti e concludenti nel contenuto (Cass. n. 7913/2002, S.U. n. 6827/2010), senz’altro idonei a dimostrare la regolarità dell’attività amministrativa, non valgono pertanto a dimostrare la formalizzazione dell’incontro delle volontà, che rappresenta l’elemento costitutivo e necessario della fattispecie negoziale, nè, pur attestando la collaborazione delle parti, possono rappresentare valido equipollente della convenzione scritta prescritta dal R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17 recante l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso. Tanto più che nella materia in oggetto “non è ammissibile la stipula mediante atti separati sottoscritti dall’organo che rappresenta l’ente e dal professionista, prevista esclusivamente per i contratti conclusi con imprese commerciali” (Cass. n. 15296/2007).

La nullità del titolo dedotto in giudizio dall’odierno ricorrente, insanabile, comporta l’inesigibilità del credito da lui azionato in sede monitoria e quindi coltivato in giudizio fondato su titolo contrattuale.

Il motivo deve perciò essere rigettato.

Col 2^ motivo il ricorrente, denunciando analogo vizio, ascrive al giudice del merito omesso rilievo della formazione giudiziale del contratto emersa dalle stessa difesa spiegata dal Comune di Brindisi che ha fondato la sua opposizione all’ingiunzione sulla base del disciplinare prodotto agli atti, seppur privo del requisito formale, in tal modo riconoscendo il vincolo contrattuale.

Richiamati gli scritti difensivi di controparte, invoca l’enunciato di questa Corte n. 1414/1999 che ammette il valido perfezionamento di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta, laddove il contraente che non abbia sottoscritto lo produca in giudizio al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente sottoscrittore.

Il motivo merita la sorte del precedente. L’impossibilità di surrogare l’assenza del requisito formale prescritto ad substantiam dalle norme in rubrica attingendo a facta concludentia si riferisce ovviamente anche all’ipotesi in cui gli atti o i fatti che rileverebbero a tal fine siano stati assunti in sede processuale dalle parti interessate. Oltre che inutilmente, il principio richiamato dal ricorrente è peraltro impropriamente evocato applicandosi nel caso in cui chi non abbia sottoscritto il contratto nondimeno intenda farlo valere nei confronti dell’altro, che però lo ha sottoscritto, si che la fattispecie, non esaurita sul piano negoziale, si perfeziona in giudizio. Ipotesi palesemente divergente dal caso di specie in cui la convenzione è priva della sottoscrizione di entrambe le parti.

Col 3^ motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 268 c.p.c.. Lamenta errata soluzione della questione, sollevata con tempestiva eccezione, riguardante la tardività dell’intervento dell’assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Brindisi G. P., che eccepì l’invalidità della convenzione, sino ad allora contestata solo nel merito dal Comune, a suo dire, erroneamente scrutinata con riguardo all’udienza di precisazione delle conclusione fissata dal giudice della sezione stralcio, anzichè rispetto all’originaria udienza fissata dal giudice istruttore. La reiterazione dell’udienza, seguita all’assegnazione della causa al g.o.a., non rende ammissibile l’intervento del terzo che si era costituito dopo la rimessione della causa al collegio per la decisione, siccome occorre aver riguardo all’udienza originariamente fissata per le conclusioni, rispetto alla quale l’intervento è sicuramente tardivo.

La Corte del merito ha respinto l’istanza d’estromissione del G. considerandone l’intervento tempestivo in quanto, dopo l’assegnazione della causa alla sezione stralcio e io svolgimento di numerose udienze, la definitiva precisazione delle conclusioni è avvenuta all’udienza del 12.3.2003 tre anni dopo l’intervento spiegato con comparsa del 30.10.2000, prima della definitiva precisazione delle conclusioni innanzi al g.o.a..

Il G. deduce l’infondatezza del motivo. La censura espressa nel motivo in esame è priva di pregio.

Assegnata alla sezione stralcio secondo il disposto della L. n. 276 del 1997, la scansione processuale ha seguito il percorso tracciato dall’art. 13 – tentativo di conciliazione, indi precisazione delle conclusioni, ed è indubbio che la preclusione stabilita dall’art. 268 c.p.c, che non consente l’intervento del terzo dopo la rimessione della causa al collegio, non può che riferirsi all’udienza fissata dal g.o.a., non certo a quella precedentemente fissata dal giudice istruttore. La restituzione della causa al giudice onorario ne ha riproposto necessariamente la trattazione nelle sue successive fasi che hanno assorbito, reiterandole, quelle già svolte, si che rispetto ad esse va condotto lo scrutinio su eventuali preclusioni di legge – v. Cass. n. 2614/1988.

La decisione impugnata ha risolto la questione in questo senso e non merita per l’effetto critica.

Col 4^ motivo il ricorrente deduce l’incostituzionalità degli del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17 per eccesso di delega rispetto alla L. n. 1601 del 1922. La delega concessa al Governo riguardò il solo settore tributario cui è estranea la materia dei contratti con gli enti pubblici, si che l’art. 17 del R.D. interviene in materia non delegata, violando l’art. 77 Cost., e la stessa legge delega sarebbe incostituzionale siccome violerebbe il disposto dell’art. 76 Cost..

Il resistente deduce l’inammissibilità della censura rilevando l’anteriorità delle norme in esame rispetto alla Costituzione.

Il motivo è privo di pregio.

Occorre rilevare anzitutto l’ammissibilità della denuncia d’incostituzionalità delle leggi precedenti l’entrata in vigore della Costituzione, già scrutinata dal giudice delle leggi, sia a lume del disposto dell’art. 134 Cost. e della Legge Costituzionale 9 febbraio 1948, art. 1, n. 1 che non pongono distinguo tra leggi anteriori e posteriori, sia in ragione del fatto che la gerarchia delle fonti non subisce deroga in relazione alle leggi anteriori che comunque mantengono grado secondario rispetto alla carta fondamentale (Corte Cost. sent. n. 1 del 1956).

Nel merito la questione è manifestamente infondata. Sollecitata allo scrutinio circa i limiti della delega contenuti nella 3 dicembre 1922 n. 1601, seppur con riguardo ad altro testo normativo, la Corte Costituzionale con sentenza n. 95 del 1968 (v. Cass. n. 2090 del 1978 ha rilevato che la delegazione attribuiva al Governo pieni poteri per il riordinamento non solo del sistema tributario ma anche della pubblica Amministrazione. L’art. 1 specificava che al Governo era attribuita la facoltà di emanare disposizioni aventi vigore di legge anche per una generale riorganizzazione della pubblica amministrazione, e “la vastità della delega e gli scopi di essa implicavano una revisione, nelle materie indicate, dell’ordinamento normativo allora vigente. Pertanto, nei limiti delle predette materie, il Governo poteva emanare norme, aventi vigore di legge, innovative, abrogative, o modificative delle norme preesistenti”.

Il raffronto tra il perimetro della delega e l’ambito attuativo segnato dal R.D. n. 2440 del 1923 rende conto della conformità di tale ultimo intervento normativo all’estensione della delega, che non segnava limite nella materia del riordino della pubblica amministrazione. Del resto quale sia la linea di demarcazione travalicata dal Governo nell’introdurre le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 del R.D. in esame rispetto alla legge delega neppure viene chiarito nel motivo, la cui prospettazione non regge neppure al vaglio della necessaria specificità. Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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