Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1856 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. II, 28/01/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 28/01/2021), n.1856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23497/2019 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO BORSERI

12, presso lo studio dell’avvocato ANGELO AVERNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEDERICO DONEGATTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.D., cittadino della (OMISSIS) proveniente dal Delta State, chiese alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona, Sezione di Treviso, la protezione internazionale nelle forme del riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine della protezione sussidiaria e, in ulteriore subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. Espose di aver lasciato il proprio Paese per il timore di subire atti di persecuzione o ritorsione da parte dei vicini di casa in quanto aveva picchiato la loro congiunta, che non sopportava il pianto continuo della madre dopo la morte del padre; fuggito a (OMISSIS), aveva lavorato come muratore e, nel corso dell’attività, aveva accidentalmente ucciso il suo datore di lavoro; poichè temeva la vendetta del figlio del suo ex datore di lavoro e dei vicini di casa, era fuggito dal proprio paese transitando per la Libia, ove aveva subito violenza e minacce.

1.2. La domanda, rigettata in via amministrativa, venne respinta dal Tribunale di Venezia, che rinnovò l’audizione del ricorrente.

1.3. Nel motivare il rigetto, il Tribunale ritenne che le dichiarazioni non fossero credibili e che il ricorrente si fosse ulteriormente contraddetto durante l’audizione in relazione ad alcuni aspetti centrali del suo racconto, ovvero sulla vicenda personale posta a fondamento della fuga dal paese d’origine. Escluse, sulla base delle fonti internazionali – rapporti UNHCR e Country Guidance Asylum Support Office – l’esistenza in Nigeria di un conflitto armato nel versante del Delta State e rigettò la richiesta di protezione umanitaria in quanto la patologia da cui era affetto il ricorrente – Mycobatterium tubercolosis – risaliva al (OMISSIS) ed il medesimo non aveva allegato documentazione più recente attestante la necessità di sottoporsi a cure mediche nè aveva dato prova di aver avviato un percorso di integrazione.

1.4. Per la cassazione del decreto S.D. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi.

1.5. Ha resistito con controricorso il Ministero degli Interni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e dell’art. 32 del medesimo testo normativo; si contesta che la valutazione della carenza di credibilità sia avvenuta sulla base di motivi secondari, come il pianto della madre e la vicenda relativa all’incidente sul luogo di lavoro, nel corso del quale sarebbe rimasto ucciso il suo datore di lavoro. Si duole della valutazione di implausibilità del suo racconto, affermando la persistenza del timore di rientrare in Nigeria per il rischio di subire la vendetta da parte del figlio del suo datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), artt. 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza di un danno grave – nella specie la condanna a morte o grave forma di tortura – che avrebbe subito da parte del figlio militare dell’ex datore di lavoro e dalla sua banda a causa dell’inaffidabilità delle Forze di Polizia in Nigeria. Il Tribunale avrebbe omesso di svolgere accertamenti sul Paese di provenienza e non avrebbe considerato l’inaffidabilità della Polizia, delle autorità locali e del sistema giudiziario, secondo le informazioni provenienti da Amnesty e dall’EASO riguardanti anche la zona del Delta del Niger.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), artt. 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per non avere il Tribunale ritenuto che nel Delta State fosse sussistente una situazione di violenza indiscriminata, al fine della concessione della protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e degli artt. 3 e segg. della Convenzione di Ginevra, per avere Tribunale fondato il diniego di riconoscimento della protezione umanitaria sull’assenza di credibilità del ricorrente, senza tener conto della documentazione attestante il percorso di integrazione, consistente in un contratto di lavoro a tempo determinato, nelle attestazioni relative alla frequenza di un corso di lingua e di altri corsi.

5. I motivi, che per la loro connessione, meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

5.1. Secondo il principio costantemente affermato da questa Corte, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (ex multis Cassazione civile, sez. I, 07/08/2019, n. 21142).

5.2. Nell’applicare i summenzionati parametri, il Tribunale ha ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione sostenuta da parte ricorrente in ragione del carattere generico ed implausibile delle informazioni rese, con particolare riferimento alla circostanza che la “faida” con i vicini di casa sarebbe stata generata dal pianto della madre per la morte del padre, avvenuto otto anni prima, nonchè in relazione alla presunta vendetta del figlio dell’ex datore di lavoro per la morte accidentalmente avvenuta sul luogo di lavoro.

5.3. La valutazione della credibilità è avvenuta su aspetti essenziali del racconto sui quali aveva fondato la richiesta di protezione internazionale, che il giudice di merito ha ritenuto inverosimili ed inattendibili, facendo corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

5.4. Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale non rende operante il dovere di cooperazione istruttoria, che presuppone sempre un racconto credibile (Cassazione civile, sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354).

5.5. All’assenza di credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale consegue l’insussistenza di un danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria nelle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

5.6. Quanto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Tribunale ha escluso, sulla base delle fonti internazionali rapporti UNHCR e Country Guidance Asylum Support Office – che in Nigeria, nel versante del Delta State, fosse ravvisabile una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, facendo applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018). Con le citate pronunce, la Corte di Giustizia ha affermato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c) della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

5.7. Quanto alla censura relativa al diniego della protezione umanitaria, si osserva che il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un., 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

5.8. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

5.9. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile, Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459).

5.10. Il Tribunale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha escluso sia la condizione di vulnerabilità atteso che la patologia da cui era affetto il ricorrente era risalente al (OMISSIS) e non vi era allegata ulteriore documentazione medica – sia l’esistenza di un effettivo radicamento nel territorio nazionale.

5.11. Nel contestare la decisione del Tribunale, il ricorrente fa riferimento a documentazione successiva alla decisione impugnata (contratto di lavoro dal 29.6.2019 al 31.12.2019) e ad atti di cui non allega la produzione nel giudizio di merito (corso di lingua per stranieri presso il CPA di Belluno nell’anno scolastico 2017-2018 ed altri attestati di frequenza a svariati corsi), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Ebbene, nel giudizio di legittimità è ammissibile la produzione di nuovi documenti solo in quanto diretti a far valere la nullità della sentenza o la nullità del ricorso.

5.12. L’assenza di ragioni di vulnerabilità e di un percorso di integrazione rendono conforme la decisione ai principi di diritto affermati da questa Corte, indipendentemente dall’erronea affermazione del Tribunale circa la rilevanza della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente nell’ambito della valutazione della protezione umanitaria (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21/04/2020, n. 8020 secondo cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, poichè la statuizione su questa domanda è frutto di una valutazione autonoma e non può conseguire automaticamente al rigetto di quella concernente la protezione internazionale).

5.13. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

5.14. Non deve provvedersi sulle spese, atteso che il controricorso contiene affermazioni di stile ed argomentazioni stereotipate, prive di riferimenti alla vicenda processuale.

5.15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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