Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18558 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. II, 07/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 07/09/2020), n.18558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20115/2019 proposto da:

G.V., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO

ALESSANDRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimata –

avverso il decreto n. cron. 7170/2019 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 30.5.2019, il Tribunale di Ancona rigettò il ricorso di G.V. avverso la decisione della Commissione Territoriale di Ancona di diniego della domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio del permesso umanitario.

1.1. G.V., cittadino (OMISSIS) proveniente da (OMISSIS), aveva dichiarato di aver vissuto con lo zio, leader del (OMISSIS), che si occupava della gestione dei finanziamenti del partito. Ingiustamente accusato di un ammanco, tutta la famiglia subì ritorsioni e minacce di morte nonostante il furto al partito fosse stato commesso dalla moglie dello zio. Insieme con lo zio abbandonò il proprio Paese per raggiungere la Libia, dove subì violenze sessuali e psicologiche, fino a quando un amico arabo non lo aiutò a fuggire in Italia.

1.2. Il Tribunale reputò inattendibili le dichiarazioni del G. ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs.; quanto alla situazione generale della Nigeria, accertò, sulla base delle fonti internazionali, che non sussisteva una situazione di conflitto indiscriminato, nè che sussistessero i presupposti per la protezione umanitaria.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso G.V. sulla base di quattro motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero degli Interni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere il Tribunale omesso di valutare la circostanza che egli fosse giunto in Italia dalla Libia, ove si era fermato per un determinato periodo ed era stato esposto a violenze sessuali e psicologiche.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. In disparte il giudizio negativo espresso sulla credibilità del ricorrente, per assenza dei requisiti di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21142), il ricorrente non ha allegato il fatto decisivo della provenienza dalla Libia.

1.3. Per giurisprudenza costante di questa Corte, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21145; Cassazione civile sez. I, 06/12/2018, n. 31676; Cassazione civile sez. I, 06/12/2018, n. 31676).

1.4. Il giudice di merito non ha omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, in quanto risulta dalle stesse allegazioni del ricorrente che era transitato in Libia prima di giungere in Italia ma non risulta che in tale Paese vi dimorasse e chè in Libia dovesse tornare in caso di rimpatrio.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale avrebbe ritenuto erroneamente ritenuto che il danno grave, presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria, dovesse provenire esclusivamente dai soggetti statuali mentre sarebbe prevista anche se proveniente da soggetti non statuali quando lo Stato non è in grado di garantire la protezione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, sancite nelle direttive comunitarie e dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sostenendo di aver fatto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e per aver fornito una versione attendibile, sicchè il giudizio sull’assenza di credibilità sarebbe stato affidato all’opinione soggettiva del giudice.

3. I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

3.1. La disposizione richiamata, al comma 5, disciplina il procedimento cui l’organo giudicante è tenuto ad attenersi al fine di valutare la credibilità del ricorrente nel caso in cui lo stesso non fornisca adeguato supporto probatorio alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale.

3.2. Ebbene, tra i criteri di valutazione menzionati, la disposizione de qua contempla espressamente quello della coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – lett. c) – e quello dell’attendibilità del richiedente la protezione internazionale – lett. e).

3.3. Nell’applicare i summenzionati parametri, il Tribunale ha ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione di parte ricorrente in ordine alle ragioni che avevano determinato l’espatrio (pag. 2 del decreto).

3.4. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cassazione civile sez. VI, 31/07/2019, n. 20582).

3.5. Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca ed attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale inibisce l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354).

3.6. A fronte di tanto, considerata l’assenza di credibilità ravvisata dal giudice di merito nella versione resa dal ricorrente, risulta infondata la censura volta a denunciare il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte del Tribunale di Ancona.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 5, comma 6, in relazione all’omesso riconoscimento della protezione umanitaria nonostante le condizioni della Nigeria, caratterizzata da una grave violazione dei diritti umani fondamentali e la sussistenza di un grado di integrazione raggiunto in Italia.

4.1. Il motivo non è fondato.

4.2. Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 – rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

4.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

4.4. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

4.5. Nella specie, il Tribunale ha valutato le condizioni del paese di origine alla stregua delle fonti internazionali e, considerando l’assenza di sei motivi di salute e di un effettivo radicamento nel territorio dello Stato, ha escluso, all’esito del giudizio comparativo, che sussistessero le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

5.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

5.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

5.3 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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