Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18557 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. II, 07/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 07/09/2020), n.18557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

C.O.L., rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO ALMIENTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

LECCE;

– intimata –

avverso il decreto relativo al RG 9215/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 21.5.2019, il Tribunale di Lecce rigettò il ricorso di C.O. avverso il diniego della Commissione Territoriale di Lecce della domanda di protezione internazionale nelle diverse forme.

1.1. C.O., cittadino nigeriano di religione cristiana proveniente dall'(OMISSIS), aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese per timore di essere ucciso per motivi religiosi, perchè coinvolto nell’omicidio di un musulmano.

1.2. Il Tribunale aveva fissato l’udienza senza procedere all’ascolto, in quanto non erano stati allegati fatti e documenti nuovi che rendessero necessaria l’audizione personale.

1.3. La domanda venne rigettata poichè le dichiarazioni vennero reputate vaghe, imprecise e contraddittorie, nè il Tribunale accertò una situazione di violenza generalizzata. Non vennero altresì ravvisati i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari; il ricorrente si era stabilito in Italia dal 2016 ed aveva lavorato per tre mesi, nel 2018, senza produrre buste paga, sicchè non sussisteva una stabile integrazione. La febbre di Lassa, da cui era affetto, nonostante la sua diffusione nel 2018, era stata efficacemente contrastata dal sistema sanitario nigeriano.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso C.O. sulla base di sei motivi.

2.1. Il Ministero degli Interni non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va, per ragioni di priorità logico-giuridica, esaminato il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale sarebbe pervenuto ad un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese innanzi alla Commissione Territoriale senza procedere all’audizione del ricorrente, pur non essendo disponibile la videoregistrazione.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. Dall’esame degli atti processuali, consentito in ragione del vizio in procedendo, fatto valere dal ricorrente, risulta che il Tribunale aveva fissato l’udienza di comparizione delle parti in data 7.5.2019 e, in tale sede, la parte non aveva chiesto di essere sentito, nè aveva allegato fatti e documenti nuovi che rendessero necessaria l’audizione personale.

1.3. Il Tribunale ha correttamente interpretato i principi di diritto affermati da questa Corte in materia di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, in quanto ha correttamente fissato l’udienza per la comparizione delle parti. Tale interpretazione risulta non solo dalla lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 -bis, commi 10 ed 11, che distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l’udienza, da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, ma anche dalla valutazione delle intenzioni del legislatore, che ha previsto la videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, per consentire al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, anche in ragione della natura camerale non partecipata della fase giurisdizionale (Cassazione civile sez. VI, 27/09/2019, n. 24112).

1.4. Non sussiste, pertanto, il dedotto vizio di nullità che va ravvisato, in mancanza di videoregistrazione del colloquio, nell’ipotesi in cui il giudice non fissi l’udienza di comparizione delle parti, nella quale si realizza lo scopo del pieno dispiegamento del principio del contraddittorio, in seguito alla fase amministrativa innanzi alla Commissione Territoriale (Cassazione civile sez. I, 05/07/2018, n. 17717).

1.5. Resta salva la facoltà del giudice di esimersi dalla audizione del richiedente qualora siano stati resi disponibili il verbale della audizione, ovvero, la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio attuata secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui all’art. 35-bis, comma 8 dello stesso decreto; ciò può avvenire, salva la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, quando l’audizione si palesi del tutto inutile perchè il ricorso era inammissibile per difetto di procura al difensore o perchè proposto oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma. Parimenti, fermo restando l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione personale delle parti, il Tribunale può omettere l’audizione in caso di domanda manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi aventi alla commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato aventi al tribunale medesimo (Cassazione civile sez. I, 28/02/2019, n. 5973).

2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale erroneamente escluso la credibilità del richiedente asilo sulla base di mere discordanze ed imprecisioni, violando il principio dell’onere probatorio attenuato e del dovere di cooperazione.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, disciplina il procedimento cui l’organo giudicante è tenuto ad attenersi al fine di valutare la credibilità del ricorrente nel caso in cui lo stesso non fornisca adeguato supporto probatorio alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale.

2.3. Tra i criteri di valutazione menzionati, la disposizione de qua contempla espressamente quello della coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale.

2.4. Secondo il principio costantemente affermato da questa Corte, infatti, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21142).

2.5. Alla luce di quanto esposto, risulta, quindi, che il giudice di merito abbia fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, valorizzando, a tal fine, i criteri espressamente contemplati dell’inattendibilità del ricorrente e della genericità del suo racconto in ordine ai motivi ed alla modalità della fuga (pag. 5 del decreto impugnato).

2.6. Il ricorso si limita a dissentire, in modo apodittico, dalla ricostruzione dei fatti ed all’apprezzamento da parte del Tribunale sul giudizio di inattendibilità senza indicare in che termini si sarebbe estrinsecato.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la nullità del decreto per violazione del dovere officioso del giudice di merito di acquisire informazioni in relazione al paese d’origine in relazione alla allarmante diffusione della febbre di Lassa.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Il Tribunale dedica un’ampia disamina alla Febbre di Lassa, alle modalità di trasmissione ed alla diffusione in Nigeria; attraverso le informazioni reperite su siti specializzati, non specificamente contestati dal ricorrente, ha accertato che l’epidemia è stata efficacemente fronteggiata dal sistema sanitario nigeriano, con la collaborazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso una campagna di prevenzione dei contagi e di cura dei sintomi.

4. Con il quarto motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostiene che nell’Anambra State vi sia una situazione di violenza indiscriminata.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. In disparte la genericità della censura, che omette di individuare sulla base di quali fonti internazionali, diverse e più aggiornate di quelle utilizzate dal giudice di merito risulti una situazione di conflitto generalizzato, va osservato che il Tribunale ha accertato che non vi era una situazione di violenza indiscriminata nell’Anambra State.

4.3. Tale valutazione è avvenuta sulla base dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018), secondo cui il danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE) ricorre solo se gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati raggiungano un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

5. Con il quinto motivo di ricorso, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 19, in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28 comma 1, L. n. 110 del 2017, all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU, si duole della mancata concessione della protezione umanitaria nonostante in Nigeria non vi sia una adeguata tutela dei diritti umani nonchè per le problematiche ambientali e sanitarie, con particolare riferimento alla febbre di Lassa.

6. Con il sesto motivo di ricorso, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 della CEDU, il ricorrente si duole della mancata concessione della protezione umanitaria, in considerazione delle condizione del paese di provenienza e del percorso di integrazione intrapreso.

7. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.

7.1. Quanto alla censura relativa al diniego della protezione umanitaria, si osserva che il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

7.2. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298-01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

7.3. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

7.4. Il Tribunale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha puntualmente valutato entrambe le condizioni menzionate, ritenendo non sussistente un’effettiva integrazione sociale nel territorio italiano, poichè risultava allegata un contratto di lavoro per n. 50 lavorative, senza nemmeno la produzione della busta paga. Inoltre, non ha ravvisato nelle condizioni del ricorrente una situazione integrante la condizione dei “seri motivi” di carattere umanitario, derivante dalla compromissione dei diritti umani fondamentali, il cui accertamento è presupposto indefettibile per il riconoscimento della misura citata (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

8. Il ricorso va pertanto rigettato.

8.1. Non deve provvedersi alle spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

8.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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