Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18555 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 10/07/2019), n.18555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22075-2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

C.C., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato LEONARDO

CRISCUOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 123/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/03/2015 R.G.N. 421/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito l’Avvocato LEONARDO CRISCUOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza del 12.3.2015 la corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame di Telecom Italia spa avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accertato il diritto di C.C. di osservare l’orario di lavoro parziale, dal lunedì al venerdì, con i turni precisati nell’accordo stipulato tra le parti in data 1.12.1999, in occasione della trasformazione a tempo parziale del rapporto di lavoro originariamente sorto a tempo pieno.

2.La corte territoriale ha ritenuto infondato l’assunto della società secondo cui l’accordo sull’articolazione dell’orario di lavoro doveva essere riferito esclusivamente alla turnazione all’epoca vigente, perchè la circostanza che la pattuizione avesse per oggetto la “durata della prestazione fissata nei tre quarti del normale orario settimanale (pari a cinque ore e 43 minuti al giorno dal lunedì al venerdì) nell’arco di tempo dalle ore 7,50 alle 20,10 – in relazione alla rotazione dei turni di lavoro – con monte ore di 28 ore e 35 minuti -, non consentiva di ritenere solo esemplificativa o dichiarativa l’indicazione dei giorni settimanali, indicazione che invece doveva intendersi come un parametro rigido e non modificabile unilateralmente da parte della società. Pertanto per la corte di merito il richiamo testuale ai turni aveva solo valore di specificazione dell’inserimento della prestazione lavorativa in detti turni.

3.Secondo la corte d’appello l’applicabilità, ratione temporis, della disciplina di cui alla L. n. 726 del 1984, art. 4 con la conseguente necessità di specificazione, a pena di nullità, dei giorni della prestazione lavorativa, portava a ritenere la natura conservativa della pattuizione di cui all’accordo del 1999, non essendo peraltro indicativi i precedenti giurisprudenziali a cui la società aveva fatto riferimento, relativi a fattispecie regolate dal D.Lgs. n. 61 del 2000 e neanche erano rilevanti le dedotte necessità organizzative sopravvenute.

4.Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Telecom Italia spa affidato a due motivi, a cui ha opposto difese con controricorso la C.; Telecom Spa ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 1 bis c.p.c.

Diritto

RAGIONE DELLA DECISIONE

5.Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 1362 e 1366 c.c. in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: per la società ricorrente la corte distrettuale avrebbe disatteso i criteri interpretativi dettati dal codice civile in tema di contratti non tenendo conto della effettiva volontà dei contraenti (art. 1362 c.c.) ed effettuando comunque un’interpretazione di tale volontà contraria a buona fede (art. 1366 c.c.), avendo cristallizzato, in modo irreversibile, la collocazione temporale della prestazione della lavoratrice. In particolare la ricorrente con la richiesta del 30.11.1999 ha richiesto il passaggio a part time, dichiarando di essere disponibile ad effettuare la prestazione lavorativa, così ridotta secondo le esigenze di servizio in turnazione. La spa Telecom ha accolto la richiesta precisando che il diverso orario di lavoro si intendeva “in relazione alla rotazione dei turni di lavoro”. Pertanto, in primo luogo la corte non avrebbe tenuto conto della comune intenzione dei contraenti, come emergente dalle parole usate nel patto contrattuale, che fa espresso riferimento all’intenzione di ridurre la durata della prestazione lavorativa mantenendo fermo l’inserimento nei turni di lavoro predisposti dall’Azienda, con eventuale modifica nel tempo. In secondo luogo, il riferimento che le parti hanno espressamente fatto all’inserimento nei turni di lavoro in atto al settore di appartenenza comporta l’accettazione implicita delle possibili modificazioni alla collocazione oraria della prestazione.

6. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 863 del 1984, art. 5: la sentenza impugnata è errata nella parte in cui ha ritenuto che la previsione dei giorni di collocazione della prestazione, inserita nel patto modificativo dell’orario, vincoli la società a non adibire la C. a turni di lavoro nella giornata di sabato, perchè la corte territoriale ha di fatto dato prevalenza all’espressione utilizzata dalle parti che si riferisce alla distribuzione dell’orario dal “lunedi al venerdì”, rispetto al riferimento – anch’esso espressamente indicato nel patto – secondo cui l’attività lavorativa viene inserita in turnazioni orarie. La disposizione legislativa di cui all’art. 5 cit., invece, non ha escluso che l’obbligo di riduzione dell’orario sia rispettato anche mediante la trasposizione della turnazione in cui la lavoratrice è stata inserita, in quanto il riferimento alla turistica applicata al settore di riferimento determina un “rinvio dinamico”, ma sempre preventivamente determinabile, agli orari di lavoro ridotti, concordati con la lavoratrice.

7. I motivi, connessi e quindi esaminabili congiuntamente, sono infondati. L’indicazione della L. n. 863 citata, art. 5 è chiara nel prescrivere che la distribuzione dell’orario di lavoro ridotto va fatto con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno e che deve essere indicata per iscritto.

8.Le parti hanno convenuto una riduzione al 75% dell’orario settimanale distribuito su 5 giornate lavorative dal lunedì al venerdì – entro un arco temporale giornaliero dalle 7.50 alle 20.10 – in relazione alla rotazione dei turni di lavoro. La disponibilità alla modifica dei turni risulta pertanto chiaramente rivolta all’orario del turno giornaliero, non a quello settimanale.

9.Del resto se le parti avessero convenuto una possibilità di adattamento dell’orario non solo nell’ambito del turno giornaliero, ma anche in quello settimanale- ossia dei giorni che lo compongono – verrebbe meno anche la ratio sottesa alla norma in vigore all’epoca della sottoscrizione dell’accordo, che era quella di vietare una riduzione dell’orario di lavoro che non consentisse al lavoratore di programmare la prestazione lavorativa in base alle sue esigenze di vita, ove tale prestazione fosse assoggettata a modifiche non solo giornaliere, ma anche settimanali, dell’orario di lavoro.

10.L’interpretazione del contratto sottoscritto tra le parti, infatti, deve certamente ricercare la volontà espressa dalle stesse, secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1366 c.c., cui ha fatto espresso riferimento la società ricorrente, tuttavia tale interpretazione non può essere effettuata in violazione di quanto previsto da norme imperative di legge.

11. il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della società soccombente, alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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