Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18550 del 30/06/2021

Cassazione civile sez. II, 30/06/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 30/06/2021), n.18550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4111-2018 proposto da:

S.M.T., in proprio, rappresentata e difesa da sè

medesima giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.A., E.H.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFRED MUSLER,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 142/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

BOLZANO, depositata il 09/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2020 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DOMENICO COMITO, con delega scritta dell’Avvocato

S.M.T., che ha chiesto di riportarsi agli atti

depositati;

udito l’Avvocato FEDERICA MANZI, con delega scritta dell’Avvocato

LUIGI MANZI, difensore dei resistenti, che ha chiesto di riportarsi

al controricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Vettori Immobilien sas ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Bolzano il decreto n. 1708/2013, che ha ingiunto a S.M.T. il pagamento di Euro 96.800, quale penale prevista, per la violazione della clausola “mandato in esclusiva”, dal contratto di mediazione concluso tra le parti per la vendita di alcuni terreni agricoli.

S. ha proposto opposizione avverso il decreto. Il Tribunale di Bolzano, rilevato d’ufficio il difetto di rappresentanza di S., non essendo il contratto stato sottoscritto anche dalla figlia, comproprietaria dei terreni, con sentenza n. 622/2016 ha dichiarato la nullità del contratto e ha condannato l’opponente al pagamento di Euro 10.500, a titolo di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale (avendo V. confidato nel potere di rappresentanza dell’opponente, che si era dichiarata procurator della figlia).

2. La sentenza è stata impugnata da V. con appello principale. S. ha fatto valere appello incidentale, condizionato alla dichiarazione della, contestata, ammissibilità dell’appello, chiedendo la condanna di controparte a restituire 10.500 Euro.

La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza 9 dicembre 2017, n. 142, respinte le eccezioni di inammissibilità dell’appello principale, lo ha esaminato nel merito e ha, in particolare, ritenuto fondati il quarto e il sesto motivo, che censuravano la declaratoria di nullità del contratto: ha ritenuto che, pur in caso di più titolari del diritto di proprietà sul bene da porre in vendita, l’iniziativa di incaricare un mediatore perchè individui il futuro acquirente può provenire da uno solo o da alcuni dei comproprietari, ne vi è necessità, per la validità dell’incarico al mediatore, che vi sia coincidenza soggettiva tra chi lo conferisce e chi in seguito intervenga a stipulare il negozio, avendo ad oggetto l’incarico conferito solo il “mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare” (art. 1754 c.c.), il fatto che il bene sia in comproprietà non incide sulla validità del contratto di mediazione; la Corte d’appello ha così accertato che S. era effettivamente debitrice dell’appellante per l’importo di Euro 96.800, ossia l’importo indicato nella fattura posta alla base del decreto ingiuntivo.

3. Avverso la sentenza ricorre per cassazione S.M.T..

Resistono con controricorso A.A. e E.H.R., soci della cancellata società Immobilien sas, già V. Immobilien sas.

Memoria è stata depositata dai controricorrenti in prossimità dell’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Il ricorso è basato su dieci motivi.

1. Il primi due motivi sono tra loro strettamente connessi:

a) il primo motivo denuncia “violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. (pronuncia extra petitum)”; la Corte d’appello ha condannato la ricorrente a pagare una somma di denaro quando controparte non ha chiesto di pronunciare una sentenza di condanna, ma una sentenza di mero accertamento (nelle conclusioni controparte ha infatti chiesto di “accertare e dichiarare” il debito della ricorrente);

b) il secondo motivo fa valere “violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. (pronuncia extra/ultra petitum)”; solo in via subordinata controparte ha chiesto di condannare la ricorrente ai sensi dell’art. 1338 c.c., ma su tale domanda il Collegio non poteva pronunciarsi avendo accolto la domanda principale.

I motivi non possono essere accolti. Come risulta dall’estratto delle conclusioni riportato dalla stessa ricorrente (v. p. 10 del ricorso), controparte ha anzitutto chiesto l’integrale conferma del decreto ingiuntivo n. 1708/2013, che ha appunto condannato la ricorrente a pagare la somma di Euro 96.800, così che il giudice d’appello, nel condannare al pagamento di Euro 86.300 (ossia Euro 96.800 – Euro 10.500, importo pagato dalla ricorrente in ottemperanza alla provvisoria esecutività della sentenza di primo grado), non è incorso nel vizio di extra o ultra petizione.

2. Ai primi due motivi sono collegati il terzo, il quarto e il quinto motivo:

a) il terzo motivo contesta “violazione dell’art. 1338 c.c.”; se il giudice d’appello avesse voluto pronunciare la condanna ex art. 1338 c.c., “avrebbe potuto condannare S. al massimo (..) nella misura dell’interesse negativo”;

b) il quarto motivo denuncia “violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. (pronuncia ultra petitum)”; il giudice d’appello ha condannato la ricorrente a pagare la penale, quando controparte aveva chiesto soltanto il risarcimento ex art. 1338 c.c.;

c) il quinto motivo fa valere “violazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 1398 c.c.”; dato che ha considerato inefficace il contratto di mediazione, il giudice d’appello poteva solo dichiarare che la ricorrente è debitrice ex art. 1398 c.c. nella misura dell’interesse negativo,’ se invece avesse considerato il contratto inefficace nei soli confronti della figlia, avrebbe potuto dichiararla debitrice nella misura del 2% del valore di vendita del bene.

I motivi non possono essere accolti: il terzo e il quarto non considerano che il giudice d’appello ha accolto, come già detto, la domanda di conferma del decreto ingiuntivo, riconoscendo il credito al pagamento della somma prevista nella clausola penale; il quinto erroneamente presuppone che il giudice d’appello abbia considerato inefficace il contratto di mediazione, quando invece l’ha ritenuto valido e vincolante per la ricorrente, tenuta a rispettare le clausole da lei firmate ed accettate, così da essere debitrice per l’intera somma.

3. Il sesto motivo va valere “violazione dell’art. 113 c.p.c. (iura novit curia), artt. 1341 e 1342 c.c.”; anche se la ricorrente avesse dato l’incarico a controparte in qualità di imprenditore, avrebbe dovuto firmare separatamente le clausole vessatorie, quale la clausola penale e quella di rinnovo tacito, in quanto “la tutela della parte debole di fronte a clausole vessatorie vale anche per i rapporti business to business”.

Il motivo non può essere accolto. Quanto alla clausola penale, “in materia contrattuale le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o di inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano tra quelle di cui all’art. 1341 c.c. e non necessitano, pertanto, di specifica approvazione” (così Cass. 6558/2010). Quanto alla clausola di rinnovo tacito, la questione della sua eventuale nullità non ha rilievo nel caso in esame. La Corte d’appello ha infatti accertato che già in data 23 gennaio 2013 (quindi prima della scadenza dell’incarico, fissata il 30 marzo 2013, e del suo tacito rinnovo) la ricorrente aveva concluso, incassando il 10% dell’intero prezzo, le trattative per la vendita del compendio immobiliare (v. pp. 26 e 27 della sentenza impugnata), così che – come ha affermato il giudice d’appello – la “ritenuta nullità della clausola di proroga tacita non sortirebbe alcun effetto riguardo al già maturato diritto del mediatore a conseguire l’importo determinato quale penale”.

4. Il settimo motivo denuncia “violazione degli artt. 113 c.p.c. (iura novit curia), 1363, 1419 e 1420 c.c.”; “gli obblighi di pagamento della provvigione ovvero di una penale, che sono avvinti dal sinallagma, presuppongono la validità del contratto stesso”, il che non sarebbe nel caso in esame, in cui la ricorrente aveva concluso il contratto di mediazione in assenza del consenso della figlia.

Il motivo non può essere accolto: a quanto è dato comprendere, si contesta la validità del contratto di mediazione, nullo per non essere stato sottoscritto dalla figlia. Come ha affermato la Corte d’appello, il contratto di mediazione concluso tra le parti non è nullo, ma valido e vincolante per la ricorrente, non avendo avuto ad oggetto la vendita del bene, ma l’incarico conferito al mediatore “di mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare” (art. 1754 c.c.).

5. L’ottavo, il nono e il decimo motivo sono tra loro strettamente connessi:

a) l’ottavo motivo fa valere “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione, ex art. 360 c.p.c., n. 5”; il giudice d’appello non ha considerato le dichiarazioni di due testimoni, basando su indizi la decisione che il contratto non era stato unilateralmente predisposto da V.;

b) il nono motivo denuncia “il collegio ha omesso di considerare un fatto rilevante”, avendo erroneamente valutato un documento, da cui ha erroneamente ricavato che la ricorrente aveva agito nella sua veste di titolare d’impresa agricola;

c) il decimo motivo contesta “il collegio ha omesso di considerare un fatto rilevante”, ossia che controparte non ha fornito prova che il contratto di mediazione firmato dalla ricorrente sia stato predisposto sulla base di trattative.

I motivi non possono essere accolti, in quanto si sostanziano in una critica – inammissibile di fronte a questa Corte di legittimità alla valutazione degli elementi di prova che hanno portato il giudice d’appello ad affermare che il contratto oggetto di causa non rientra nell’ambito di operatività del codice del consumo, avendo la ricorrente agito nella sua veste di titolare di impresa individuale agricola e di essere, in ogni caso, la clausola penale stata oggetto di preventiva contrattazione.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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