Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1855 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1855 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: SCARPA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 18783-2017 proposto da:
BASSAN JILIO, BASSAN AIDA AURORA, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLI, 12/D SC.A INT8,
presso lo studio dell’avvocato RINALDO FAZI, rappresentati e
difesi dall’avvocato GIUSEPPE ERAMO;
– ricorrenti contro

CANGIAN

GIANNI

CNCGNN73B24713,

elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,
presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO
CESCUTTI;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1604/2017 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 20/01/2017;

Data pubblicazione: 25/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 07/12/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Aida Aurora Bassan e Julio Bassan hanno proposto ricorso
articolato in unico motivo (“in ordine al contenuto dei titoli di

cassazione n. 1604/2017, depositata il 20 gennaio 2017.
Gianni Cancian si difende con controricorso.
Su proposta del relatore, ai sensi degli artt. 391-bis, comma 4,
e 380-bis, commi 1 e 2, c.p.c., che ravvisava l’inammissibilità
del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della
Corte perché la controversia venisse trattata in camera di
consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
I ricorrenti hanno presentato memoria in data 5 dicembre
2017, senza perciò osservare il termine di cui all’art. 380 bis,
comma 2, c.p.c.
Aida Aurora Bassan e Julio Bassan, proprietari di un fondo nel
Comune di Rovereto in Piano, convennero in giudizio Severino
Cancian Severino e Graziella Vieceli, proprietari confinanti,
chiedendo che venisse accertato il reale confine tra i due fondi,
separati da un viottolo di cui era controversa la proprietà, e
che, inoltre, le parti convenute fossero condannate ad arretrare
il loro fabbricato fino al rispetto della distanza legale ed a
regolarizzare una luce aperta su di esso. I convenuti si
opposero alle domande. All’esito dell’istruttoria, in cui vennero
prodotti documenti, escussi testi e svolta consulenza tecnica
d’ufficio, il Tribunale di Pordenone dichiarò che la linea di
confine coincideva con la linea esterna del muro esistente sul
fondo degli attori, escludendo che esso si estendesse anche a
comprendere il viottolo controverso; respinse per il resto le
altre domande. Proposta impugnazione da Aida Aurora Bassan
Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 – ud. 07-12-2017
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proprietà”) per la revocazione della sentenza della Corte di

e Julio Bassan, con sentenza n. 351 del 26 settembre 2009 la
Corte di appello di Trieste confermò integralmente la pronuncia
di primo grado.
In particolare, la Corte di Trieste spiegò, con riguardo alla
delimitazione del confine, che l’indicazione dello stesso ad

luoghi, per la presenza della recinzione in muratura eretta dagli
attori sul proprio fondo, in mancanza di qualsiasi allegazione di
un titolo idoneo ad estendere la loro proprietà anche sul
viottolo; con riguardo alla domanda di arretramento della
costruzione dei convenuti per mancato rispetto delle distanze
legali, la Corte d’Appello affermò invece che, non risultando
all’epoca della costruzione vigenti strumenti urbanistici
comunali, la distanza legale doveva essere individuata in quella
di tre metri stabilita dall’art. 873 cod. civ. e che essa, sulla
base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, risultava
nella specie osservata.
Fu proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi
da Aida Aurora Bassan e Julio Bassan, e questa Corte, con
sentenza n. 8178 del 23 maggio 2012, accolse il secondo
motivo di ricorso (dichiarando assorbito il terzo e respingendo
il primo ed il quarto), cassò la decisione della Corte d’Appello di
Trieste e rinviò la causa ad altra sezione della stessa,
enunciando il seguente principio di diritto: “nel giudizio di
regolamento di confini, in cui le posizioni dell’attore e del
convenuto sono sostanzialmente uguali, incombendo su
ciascuno di essi l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di
prova idoneo all’individuazione della esatta linea di confine, la
base primaria dell’indagine del giudice di merito ai fini
dell’accertamento richiesto è costituita dall’esame e dalla
valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà, sicché
Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 – ud. 07-12-2017
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opera del primo giudice appariva conforme allo stato dei

solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sul confine
rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione in
giudizio, può giustificare il ricorso ad altri mezzi di prova, tra
cui vanno comprese le risultanze delle mappe catastali”. La
Corte d’Appello di Trieste, in sede di rinvio, dopo aver

confine. Venne quindi proposto nuovo ricorso per cassazione in
via principale da Gianni Cancia, erede di Severino Cancian
Severino e Graziella Vieceli, e ricorso incidentale articolato in
due motivi da Aida Aurora Bassan e Julio Bassan; questa
Corte, con la sentenza ora impugnata per revocazione n.
1604/2017 del 20 gennaio 2017, respinse entrambi i ricorsi,
così motivando in ordine all’impugnazione incidentale:
“Preliminare sul piano logico è l’esame del ricorso incidentale.
Il primo motivo richiede un riesame del merito dimenticando
che l’opera dell’interprete è tipico accertamento in fatto
istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in
sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali
d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre
che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto,
onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati
profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito
riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante
specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai
principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in
qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi
discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi
abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od
insufficienti.
Né giova contestare il mancato rispetto del principio enunciato
da questa Corte suprema che ha attribuito funzione primaria
Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 ud. 07-12-2017
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esaminato i titoli e richiamato la CTU, accertò la linea di

alla valutazione dei titoli perché la contestazione sembra
basarsi su una acritica adesione della sentenza alle conclusioni
del ctu sul punto, contrapponendo una diversa tesi.
La sentenza si è uniformata a quanto statuito da questa corte
avendo proceduto alla determinazione del confine esaminando i
ratione temporis

qualora non si risolva nella prospettazione di un vizio di
omesso esame di un fatto decisivo ove il fatto storico sia stato
comunque preso in considerazione ancorchè la sentenza non
abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S. U.
8053/2014, Cass. 14324/2015). Nella specie il motivo si
risolve nella censura della valutazione delle risultanze
istruttorie, sollecitando un inammissibile riesame del merito”.
Il ricorso per revocazione deduce l’errore addebitato alla
sentenza n. 1604/2017 “in ordine al contenuto dei titoli di
proprietà delle parti”, spiegando ed argomentando come “la
sentenza n. 721/14 resa dalla Corte d’Appello di Trieste
all’esito del giudizio di rinvio non è fondata sull’esame dei
titoli”, ed anzi le motivazioni del giudice del rinvio
“presuppongono l’inesistenza di un fatto la cui verità è
incontrovertibile perché … consacrato in un atto pubblico…”
Sicché l’errore della sentenza n. 1604/2017 di questa Corte
sarebbe nel non essersi avveduto del “salto logico/errore grave
in cui incorre la Corte di Trieste” nella disamina dei titoli di
proprietà.
Il motivo di ricorso è palesemente estraneo al parametro
dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391
bis c.p.c.
Per consolidata interpretazione, invero, in materia di
revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore di
fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. deve consistere in una
Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 – ud. 07-12-2017
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titoli. Il secondo motivo è inammissibile

disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale
conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi
per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente
percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale
da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della

esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso)
nella realtà del processo, che, ove invece esattamente
percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della
situazione processuale. E’ invece inammissibile il ricorso ex art.
395, n. 4, c.p.c., ove vengano dedotti errori dì giudizio
concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della
quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di
fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di
atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni
giuridiche non valutate (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass.
09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181;
Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass.
Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022).
In particolare, si è deciso da questa Corte come una sentenza
della Corte di cassazione non possa essere impugnata per
revocazione in base all’assunto che essa abbia male valutato i
motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe
un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art.
395, comma 1, numero 4, c.p.c. (Cass. Sez. 6 – L,
03/04/2017, n. 8615; Cass. Sez. 6 – 3, 15/06/2012, n. 9835).
L’inammissibilità

del

ricorso

discende,

quindi,

dalla

constatazione basilare che l’errore di fatto che può legittimare
la revocazione di una sentenza della Corte di cassazione deve
pur sempre riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità,

Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 – ud. 07-12-2017
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situazione processuale sulla supposta inesistenza (od

ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei
motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve
avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere
direttamente ed esclusivamente sulla sentenza medesima. Ne
consegue che, ove il dedotto errore sia stato causa

relazione agli accertamenti dei fatti di causa o alla ricostruzione
delle reciproche allegazioni difensive operata dal secondo
giudice (come si denuncia nel caso di specie), la parte che se
ne suole, sempre che risulti soccombente, potendole, cioè,
derivare effetti pregiudizievoli da tale errore, è tenuta a
proporre impugnazione contro la decisione di merito. In
particolare, Aida Aurora Bassan e Julio Bassan deducono che il
dedotto errore di fatto nella valutazione dei titoli di proprietà
sia stato causa determinante della sentenza pronunciata nel
giudizio di rinvio dalla Corte d’Appello di Trieste, in relazione a
documenti da essa esaminati, o che quest’ultima avrebbe
dovuto esaminare, sicché essi erano piuttosto tenuti a proporre
impugnazione, ex artt. 394, comma 1, n. 4, e 398, c.p.c.,
contro la decisione di merito, non essendole consentito addurre
tale errore in un momento successivo (Cass. 18/02/2014, n.
3820; Cass. 28/06/2000, n. 8803; Cass. 21/04/1999, n.
3928).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, in
ragione della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati a
rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di
revocazione, liquidate in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio
Ric. 2017 n. 18783 sez. M2 – ud. 07-12-2017
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determinante della sentenza pronunciata in grado di appello, in

2002, n. 115

– dell’obbligo di versamento, da parte dei

ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente
rigettata.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti
a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio
di revocazione, che liquida in complessivi C 2.200,00, di cui C
200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2
Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 7 dicembre
2017.
Il Pre
Dott. Felicsi Ma, na

P.Q.M.

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