Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1855 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 11/10/2018, dep. 23/01/2019), n.1855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1357-2017 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO N. 26,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SCETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati UMBERTO BALLABIO, ANDREA BALLABIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 586/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata l’08 luglio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11 ottobre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

LUCIA ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di J.A., ex dirigente della Telecom Italia s.p.a., al pagamento dell’importo di Euro 139.950,43 per spese legali sostenute nel procedimento penale cui era stato sottoposto;

2. la Corte territoriale riteneva decisiva la circostanza che delle spese in questione la società si fosse fatta carico in sede di conciliazione sindacale del 18 aprile 2007, sancendo l’accordo di cui al verbale di conciliazione, più che le semplici dimissioni del dipendente, una pattuizione complessa nella quale il dirigente e il datore di lavoro si erano accordati per la risoluzione consensuale a fronte di un corrispettivo che includeva anche la presa in carico delle spese del processo penale;

3. avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Telecom Italia s.p.a. sulla base di unico articolato motivo;

4. J.A. resiste con controricorso;

5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

1. La società ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 15 CCNL dirigenti azienda e degli artt. 1362 e 1363 c.c. Osserva che la sentenza è errata nella parte in cui ha ritenuto che la società avesse assunto l’obbligo del rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente a prescindere dall’esistenza dei presupposti applicativi di cui all’art. 15 CCNL, secondo il quale “ove si apra procedimento penale nei confronti del dirigente per fatti che siano direttamente connessi all’esercizio delle funzioni attribuitegli, ogni spesa per tutti i gradi del giudizio è a carico dell’azienda”. Rileva che non è stato correttamente interpretato il verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti, poichè l’esplicito richiamo alla predetta disposizione contrattuale collettiva stava incontestabilmente ad indicare che le parti avevano voluto riconoscere le spese del giudizio penale solo ed esclusivamente in presenza dei presupposti di cui all’art. 15 CCNL e non estendere la tutela anche al caso in cui i comportamenti illeciti fossero avvenuti con abuso della posizione aziendale e a danno dell’azienda. Osserva che, in ogni caso, la sentenza ha mancato di verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla citata disposizione contrattuale, ritenendo ogni questione di interpretazione del cit. art. 15 assorbita nell’ambito del verbale di conciliazione stipulato dalle parti. Rileva che l’interpretazione proposta dal Collegio – che esclude in radice ogni questione circa il significato da attribuire alla disposizione di fonte contrattuale collettiva, la quale impone la verifica dell’esistenza di un nesso causale tra le mansioni e il fatto di cui è imputato il dirigente – si pone in contrasto con l’interpretazione letterale, generando risultati illogici;

2. Il motivo non è fondato;

3. Va premesso che in tema di interpretazione del contratto, questa Corte ha in più occasioni affermato che la medesima, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione soltanto per violazione delle regole ermeneutiche o per vizio motivazionale; per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. 27 marzo 2007, n. 7500, Cass. 30 aprile 2010, n. 10554, Cass. 10/2/2015, n. 2465, Cass. 26/5/2016, n. 10891). Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539, 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016);

4. Risulta da tale pacifica giurisprudenza, alla quale questo Collegio intende dare continuità, che le doglianze limitate alla presunta violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti – peraltro formulate mediante richiamo agli artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento generico al criterio dell’interpretazione letterale – sono destituite di fondamento. La Corte d’appello, infatti, ha interpretato il contratto di transazione del 18 aprile 2007 ed è pervenuta alla conclusione che esso era finalizzato a sancire, anche mediante il richiamo alla vigenza dell’art. 15 CCNL dirigenti del settore (della quale, quindi, l’interprete ha tenuto conto, interpretandola nel contesto globale dell’accordo), più che le semplici dimissioni del dipendente, una pattuizione complessa nella quale il dirigente e il datore di lavoro si erano accordati per la risoluzione consensuale a fronte di un corrispettivo che includeva anche la presa in carico delle spese del processo penale. Detta interpretazione appare plausibile e conforme ai canoni ermeneutici, primo tra tutti quello letterale, poichè considera il richiamo nell’accordo alla menzionata norma collettiva, senza trascurare gli altri elementi idonei a indagare la comune intenzione delle parti, quali la piena contezza da parte della società del procedimento penale a carico del lavoratore e il comportamento tenuto dalle parti in epoca posteriore alla conclusione del contratto, quest’ultimo rilevante a termini dell’art. 1362 c.p.c., comma 2, consistente nell’avvenuto pagamento delle prime due fatture delle spese legali;

5. conseguentemente con la censura la ricorrente mira a sostituire la propria interpretazione a quella del giudice di merito e, in definitiva, a sollecitare questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito;

6. per quanto esposto in precedenza il ricorso deve rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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