Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18545 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. I, 10/07/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 10/07/2019), n.18545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 9234 – 2014 r.g. proposto da:

BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, (p.i. (OMISSIS)), con sede

(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a

margine del ricorso, dagli Avvocati Marco Pesenti e Luciana Cipolla,

presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via

Ombrone n. 14;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. in liquidazione, (P.I. – cod. fisc.

(OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore curatore fallimentare Dott.ssa

C.P..

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Varese, depositato in data

27.2.2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Dott. Cardini Alberto, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

ovvero, in via subordinata, la rimessione alle SS.UU.;

udita, per il ricorrente, l’Avv. Iolanda Boccia (per delega), che ha

chiesto accogliersi il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Varese – decidendo sulla domanda di opposizione allo stato passivo avanzata da BANCA ITALEASE s.p.a., in relazione al provvedimento di ammissione parziale emesso dal g.d. del medesimo tribunale (provvedimento con il quale il creditore istante era stato ammesso al passivo, limitatamente alla somma pari ad Euro 13.200,87 corrispondente ai canoni di locazione finanziaria scaduti e rimasti insoluti al momento del fallimento, in riferimento al contratto di leasing finanziario intrattenuto con la società (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, poi fallita) – ha confermato il provvedimento impugnato, rigettando, pertanto, la proposta opposizione.

Il tribunale ha ritenuto infondate le eccezioni di improcedibilità dell’opposizione per la mancata produzione in giudizio della copia autentica del provvedimento impugnato, non trovando applicazione la disciplina di cui agli artt. 339 c.p.c. e segg., e di inopponibilità del contratto di leasing per mancanza di data certa, trattandosi di eccezione nuova; nel merito, ha ritenuto non condivisibile la tesi dell’opponente in merito alla generale applicabilità del disposto normativo di cui alla L. Fall., art. 72 quater anche al contratto di leasing già risolto prima della dichiarazione di fallimento, negando alla disposizione normativa in esame, in ragione della specialità della sedes materiae in cui la norma stessa è collocata, una portata generale o “sostanziale” ed osservando che la disciplina in questione prescinde dalla problematica della qualificazione giuridica delle prestazioni non eseguite a causa dell’inadempimento del contratto di leasing; ha specificato, dunque, che, nel caso della risoluzione del contratto di leasing prima del fallimento, trova applicazione la tradizionale distinzione tra leasing finanziario (in cui il rapporto negoziale persegue essenzialmente una funzione di finanziamento a scopo di godimento) e leasing traslativo (in cui il rapporto contrattuale è indirizzato anche a tale trasferimento, in quanto le parti, in relazione al permanere, a detta scadenza, di un apprezzabile valore residuo del bene, assegnino ai canoni anche la consistenza di un corrispettivo del trasferimento medesimo). Il tribunale, sulla base della menzionata distinzione, ha puntualizzato che, nel primo caso, trattandosi di un contratto ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione non poteva incidere retroattivamente sulle prestazioni eseguite, mentre, nel secondo caso, si verificava tale retroattività, con il conseguente diritto delle parti di ottenere la restituzione di quanto prestato, salvo il riconoscimento di un equo compenso per il godimento del bene, trovando applicazione, in via analogica, le regole dettate dall’art. 1526 c.c., in materia di risoluzione della vendita con riserva di proprietà; ha, dunque, ritenuto, sulla base delle menzionate premesse, che, anche in considerazione della natura del bene (trattandosi di un bene immobile atto a conservare, alla scadenza del contratto, un apprezzabile valore economico residuo), il contratto intercorso tra le parti dovesse essere ricondotto nella fattispecie applicativa del leasing traslativo, assolvendo lo stesso alla funzione di finanziamento volto al trasferimento dell’immobile, con la conseguenza che la parte opponente non poteva pretendere l’ammissione al passivo per un importo pari al capitale residuo, oltre ai canoni scaduti e non pagati, ma esclusivamente l’ammissione ad un importo liquidato a titolo di “equo compenso”, salva la consegna del bene da parte del fallimento, previa restituzione alla curatela dei canoni percepiti, come previsto dall’art. 1526 c.c..

2. Il decreto, pubblicato il 27.2.2014, è stato impugnato da BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, quale procuratrice speciale di BANCA ITALEASE S.P.A. con ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

La curatela intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 72 quater. Osserva la parte ricorrente che, nella fattispecie in esame, il giudice delegato e il tribunale la avevano ammessa al passivo solo limitatamente alla rate scadute ed insolute sino alla data di risoluzione del contratto, avendo fatto applicazione dell’art. 1526 c.c. in ragione dell’intervenuta risoluzione del contratto antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e non ritenendo pertanto fondata la domanda di ammissione anche per i canoni attualizzati ancora a scadere. Si evidenzia invece come la L. Fall., art. 72 quater abbia introdotto una disciplina unica per i contratti di leasing e come, invero, in caso di scioglimento del contratto di leasing, il concedente abbia diritto ad insinuarsi al passivo per l’intero credito e, contestualmente alla restituzione del bene, debba versare alla procedura l’eventuale differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita o altra allocazione rispetto al credito residuo in linea capitale, con la conseguenza che, dopo l’introduzione della L. Fall., art. 72 quater, non è più predicabile la distinzione tra leasing finanziario e leasing traslativo, e con l’ulteriore corollario dell’applicabilità, in via analogica, della L. Fall., art. 72 quater anche al contratto di leasing sciolto prima del fallimento.

2. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate.

2.1.1 Occorre ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia recentemente affermato (cfr. Cass. n. 8980/2019) che – a seguito della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) – il leasing finanziario ha assunto una fisionomia unitaria, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., con la conseguenza che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.

Ne consegue che, in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito dai valori di stima, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra; si legga anche: Cass. 12552/2019).

2.1.2 Occorre ricordare che, fino all’emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benchè esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. n. 183 del 1976, art. 17 (relativa all’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980).

Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.

In assenza di una disciplina organica del leasing, com’è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con la sentenza delle Sez. Un. 65/1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo”, quest’ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).

Si è inoltre consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c.in materia di risoluzione del contratto ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa, con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti (Cass. 19732/2011).

Va aggiunto che anche a seguito dell’introduzione nell’ordinamento (tramite il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 59) della L. Fall., art. 72 quater, che ha dettato un’unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (Cass. 1.3.2010 n. 4862), questa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (Cass. n. 8687/2015; 2538/2016), affermando che la disposizione dell’art. 72 quater si applicava ad una situazione particolare (scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti (per la ricostruzione dell’istituto, cfr. sempre: Cass. 8980/2019, cit. supra).

La disciplina della L. Fall., art. 72 quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all’affermarsi dell’indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riconducibili a due diversi tipi contrattuali, ricompone ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell’art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria (così, Cass. 8980/2019, cit. supra).

Successivamente, la L. n. 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell’ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l’utilizzo del leasing per l’acquisizione dell’abitazione principale) prevedendo anche in tal caso un’unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento.

Anche in questo caso, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.

Da ultimo, però, come sopra evidenziato, la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, all’art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

2.1.2 La nuova normativa ha, dunque, tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L. Fall., art. 72 quater.

Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.

In tale prospettiva, la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L. Fall., art. 72 quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come evidenziato, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.

Da ciò consegue l’applicabilità alla fattispecie in esame, in via analogica, della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72 quater in conformità ad un indirizzo interpretativo che, pur disatteso da questa Corte, era stato affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.

2.1.3 La norma da ultimo citata, pur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitivamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall’art. 1526 c.c. (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità. E ciò, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo “tipo” negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale.

Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.

2.1.4 Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che, peraltro, ha anche carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra). La disciplina della L. n. 124 del 2017 ed il procedimento di realizzazione sul bene ivi regolato consente di superare i dubbi interpretativi sorti in ordine al trattamento, in ambito concorsuale, del credito del concedente all’esito della risoluzione negoziale per inadempimento dell’utilizzatore.

Come già rilevato nella pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, l’applicazione della disciplina della L. Fall., art. 72 quater anche al caso di risoluzione del contratto verificatasi prima della dichiarazione di fallimento implica che, anche in questo caso, il concedente dovrà evidentemente insinuarsi al passivo fallimentare per poter allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. Alla stregua di quanto previsto per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale L. Fall., ex art. 53, la vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene, disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, pari alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, corrispondente all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di fallimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale (in coerenza con la previsione della L. Fall., art. 55), oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione; eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita dei bene, potranno farsi valere in sede di riparto.

Alla luce della chiara indicazione della novella, del tutto coerente con l’indirizzo già sostenuto dalla citata pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, va dunque esclusa, in quanto del tutto superflua, l’insinuazione in via tardiva della differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata, pure affermato da un precedente arresto di questa Corte (Cass. 21213 dei 2017) o l’ammissione di detto credito con riserva.

2.1.5 Peraltro, anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 pubblicato nella G.U. del 14 febbraio 2019) all’art. 177 detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina della L. Fall., art. 72 quater e della L. n. 124 del 2017, prevedendo che nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell’utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all’ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto. La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato. Viene dunque espressamente prevista la stima del giudice delegato quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dall’attuale sistema della legge fallimentare, seppure non esplicitata nella disposizione della L. Fall., art. 72 quater.

Dunque, anche la nuova regolazione della crisi d’impresa, che nonostante la (ampia) vacatio legis, fa ormai parte dell’ordinamento vigente, conferma la scelta del legislatore, che ha trovato costante espressione in tutti i più recenti interventi in materia, univocamente ispirati alla configurazione unitaria del leasing finanziario e della previsione di una disciplina sostanzialmente omogenea della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e dello scioglimento (per scelta del curatore) di quello che è ormai, a tutti gli effetti, un contratto tipico (cfr. sempre Cass. 8980/2019, cit. supra).

Deve, dunque, anche in questa ulteriore sede decisoria, riaffermarsi il principio secondo cui gli effetti della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore sono regolati dalla disciplina della L. Fall., art. 72 quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.

7. Il ricorso va dunque accolto ed il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Varese, che si conformerà al principio di diritto sopra enunciato. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Varese, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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