Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18544 del 26/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 26/07/2017, (ud. 31/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9269-2016 proposto da:

C.G., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. ANGELO MARZO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO LOMBARDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO RUSSO in virtù di

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 270/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 27/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/05/2017 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Trieste con la sentenza n. 270 del 27 aprile 2015 rigettava l’appello proposto da C.G. nei confronti della sentenza non definitiva del Tribunale di Trieste n. 327/2011 con la quale erano state rigettate sia la domanda di simulazione dell’atto di compravendita dell’immobile sito in (OMISSIS) effettuata dalla defunta genitrice M.C. in favore dell’altro figlio C.L., sia quella di annullamento dell’atto per incapacità naturale della venditrice.

Rilevava la Corte distrettuale, quanto al primo motivo di appello, volto appunto a far accertare che in realtà la vendita dissimulava una donazione, suscettibile di essere provata anche a mezzo testi e presunzioni, e come tale idonea a ledere la quota di legittima dell’attrice, che in realtà, sebbene nelle conclusioni contenute nell’atto di citazione si facesse riferimento alla necessità di ridurre l’atto nei limiti della quota di legittima dell’attrice, tuttavia nelle successive conclusioni rese all’udienza dell’11 gennaio 2011 non vi era alcun riferimento all’azione di riduzione.

Pertanto la richiesta di ridurre la pretesa donazione costituiva una domanda nuova, e che, per l’effetto, la richiesta di considerare il bene ai fini della formazione della massa era stata proposta dall’attrice non nella qualità di terza, ma quale erede della de cuius.

In merito al secondo motivo di appello, concernente il rigetto della domanda di annullamento per incapacità del venditrice, la Corte distrettuale reputava che non fosse stata offerta la prova delle minorate capacità psichiche, e che non potevano trarsi argomenti di prova dal fatto che a distanza di circa tre anni dall’atto la defunta fosse stata dichiarata interdetta.

Infine, in relazione alla mancata prova del pagamento del prezzo della compravendita, la sentenza gravata rilevava che la questione avrebbe avuto rilevanza solo ai fini della richiesta di accertamento della simulazione assoluta dell’atto, richiesta che era stata disattesa dal Tribunale senza che sul punto fosse stato spiegato un motivo di impugnazione.

C.G. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di un motivo (in tal senso deve rilevarsi che sebbene a pag. 2 si preannunzi la proposizione di un secondo motivo di ricorso, il medesimo non risulta poi effettivamente articolato).

C.L. ha resistito con controricorso.

Il ricorso è manifestamente fondato.

Il motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 189 e 190 c.p.c., in relazione alla ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sebbene, in ragione della specificità del vizio dedotto, sia più corretto l’inquadramento nella diversa fattispecie di cui al n. 4 della norma in questione, quale cioè ipotesi di error in procedendo.

La Corte di merito avrebbe in sostanza reputato che la domanda di riduzione fosse stata abbandonata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, sicchè la sua riproposizione in appello costituiva a bene vedere una domanda nuova.

Si lamenta che trattasi di affermazione priva di fondamento, tenuto conto del fatto che all’udienza di conclusioni dell’11 gennaio 2011 la difesa della ricorrente si era limitata a ribadire le conclusioni di cui all’atto di citazione, tra le quali vi era appunto anche quella di sottoporre a riduzione la pretesa donazione dissimulata dall’atto di vendita.

Ed, invero, come appunto consentito dalla specificità del vizio denunziato, dalla diretta visione degli atti di causa, e precisamente dalla lettura delle conclusioni formulate dalle parti dinanzi al giudice di primo grado, avendo la sentenza del Tribunale di Gorizia n. 327/2011, analiticamente riportato le stesse, emerge la fondatezza della censura.

Dalla lettura delle medesime conclusioni, risulta che se è vero che, con riferimento a quanto richiesto alla lettera B), la parte stessa si è limitata solo a richiedere la declaratoria di simulazione assoluta dell’atto, alla successiva lettera D) ha chiesto accertarsi la simulazione relativa, precisando tuttavia alla successiva lettera E) che l’atto andava dichiarato inefficace (effetto questo tipico del vittorioso esercizio dell’azione di riduzione), disponendosi che il bene facesse parte della massa ereditaria (effetto anche questo scaturente dall’intervenuto accertamento della effettiva natura del trasferimento, attesa la operatività del meccanismo della collazione).

Orbene, combinando il tenore delle conclusioni, con quanto riportato nella stessa sentenza gravata, laddove si fa menzione del fatto che nelle ultime quattro righe della pag. 3 della citazione, si chiedeva procedersi alla riduzione della donazione dissimulata, appare evidente alla Corte che sia stata effettivamente proposta un’azione di simulazione spendendosi la qualità di legittimaria, e ciò ancorchè il risultato finale, in virtù dell’operare della collazione possa risultare più ampio della mera riduzione della donazione nei limiti della lesione prodotta.

Il richiamo alle conclusioni di cui all’atto di citazione, così come riportate nel verbale di udienza dell’11/1/2001, e come trascritte nella sentenza del Tribunale, non consente di ritenere che la parte non avesse inteso anche far valere la natura lesiva della donazione rispetto ai propri diritti di legittimaria (per la superfluità del ricorso a formule sacramentali per la proposizione dell’azione in esame, si veda Cass. n. 14473/2011), ovvero che vi abbia rinunziato in sede di conclusioni.

Il semplice rinvio alle conclusioni di cui all’atto di citazione non permette peraltro di ravvisare un abbandono delle domande originariamente proposte, valendo a tal fine il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 1603/2012) affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata della parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, in quanto invece è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (conf. Cass. n. 15860/2014).

Per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26luglio 2017

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