Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18543 del 13/07/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18543 Anno 2018
Presidente: OLIVIERI STEFANO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29585/2015 R.G. proposto da
Imperato Domenica e Bello Cosima, rappresentati e difesi dal Prof.
Avv. Antonio De Mauro e dall’Avv. Fernando Amoroso, con domicilio
eletto in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24, presso lo studio del dr.
Marco Gardin;
– ricorrenti contro
Bello Antonio, rappresentato e difeso dall’Avv. Cosimo Calsolaro;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 706/15,

Data pubblicazione: 13/07/2018

depositata il 23 settembre 2015;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 marzo 2018 dal
Consigliere Emilio Iannello;
uditi gli Avv.ti Fernando Amoroso e Antonio T. De Mauro;
udito l’Avv. Cosimo Calsolaro;

generale Carmelo Sgroi, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Domenico Imperato e Cosima Bello ricorrono con tre mezzi, nei
confronti di Antonio Bello (che resiste con controricorso), avverso la
sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Lecce ne ha
rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado che aveva
accolto la domanda di riscatto agrario da quest’ultimo proposta, quale
proprietario coltivatore diretto di due fondi agricoli confinanti, in
relazione a immobile oggetto di compravendita tra Cosima Bello
(alienante) e Domenico Imperato (acquirente).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art.
360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello
omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità della domanda
di riscatto agrario, per difetto di interesse ex art. 100 cod. proc. civ.,
non avendo l’attore formulato anche una domanda di annullamento
del contratto di compravendita o altra equipollente.
2. Con il secondo motivo essi inoltre deducono, ai sensi dell’art.
360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ.: violazione e falsa
applicazione dell’art. 2, commi 36 e 37, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262,
convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, con cui è stato
imposto l’obbligo di dichiarare al N.C.E.U. tutti i fabbricati non
accatastati o che avessero perso i requisiti di ruralità; violazione e
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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. per il mancato rilievo
del difetto di interesse dell’attore in mancanza di impugnazione
dell’accatastamento; l’errata e/o falsa applicazione dell’art. 8 legge 26
maggio 1965, n. 590, sulla prelazione agraria (estesa al coltivatore
diretto ai sensi della legge 14 agosto 1971, n. 817); l’errata e/o falsa

all’accertamento, contenuto in sentenza e basato sugli esiti della
espletata c.t.u., della natura agricola del fondo oggetto di riscatto.
Lamentano che la Corte di merito ha ritenuto che l’iscrizione in
catasto dell’immobile quale fondo urbano non corrisponda allo stato
dei luoghi, omettendo di considerare che, ai sensi delle citate
disposizioni, l’obbligo di accatastamento degli immobili sussiste non
solo quando il fondo ha perduto le caratteristiche oggettive di ruralità
ma anche quando il proprietario abbia perduto quelle soggettive e
non risulti pertanto iscritto quale imprenditore agricolo nel registro
delle imprese.
Sostengono che, conseguentemente, erroneamente e inutilmente
i giudici di merito hanno disposto una c.t.u. al fine di verificare la
natura del fondo e, sotto altro profilo, che difettava l’interesse ad
agire in capo a controparte, non avendo questi richiesto alcun
provvedimento per elidere gli effetti di quell’accatastamento.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono infine, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., dell’omesso
esame dei rilievi del consulente tecnico di parte alla relazione del
c.t.u.
4. Il primo motivo è inammissibile.
L’eccezione sulla quale si lamenta omessa pronuncia non risulta
infatti formulata nell’atto d’appello o, quanto meno, i ricorrenti non ne
allegano, nel rispetto degli oneri di specificità e autosufficienza, la
proposizione.
Gli stralci delle pagg. 4 – 6 dell’atto d’appello riportati in ricorso
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applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.; tutto ciò in relazione

ne attestano infatti una diversa prospettazione riferita alla
catastazione dell’immobile come urbano, non anche all’asserito rilievo
preclusivo della mancata impugnazione dell’atto di compravendita,
per la prima volta dedotto nel ricorso per cassazione.
Si tratterebbe in ogni caso, ad ammettere l’esistenza della

nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 384 cod. proc. civ., e
manifestamente priva di pregio.
La tesi secondo cui il riscatto agrario non potrebbe essere
richiesto in mancanza di una contestuale domanda di annullamento
del contratto di vendita è infatti palesemente destituita di
fondamento.
Questa Corte ha da tempo evidenziato, con fermo e incontrastato
indirizzo, che la violazione di una norma imperativa non dà luogo
necessariamente alla nullità del contratto, giacché l’art. 1418, primo
comma, cod. civ., con l’inciso «salvo che la legge disponga
diversamente», impone all’interprete di accertare se il legislatore,
anche in caso di inosservanza del precetto, abbia del pari consentito
la validità del negozio, predisponendo un meccanismo idoneo a
realizzare gli effetti voluti dalla norma. Pertanto, la vendita di un
fondo, compiuta senza il rispetto delle norme sul diritto di prelazione
di cui agli artt. 8 della legge n. 590 del 1965 e 7 della legge n. 817
del 1971, non è nulla, né ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. né ai sensi
dell’art. 1344 cod. civ., comportando quella violazione non l’invalidità
della vendita bensì l’eventuale esercizio del diritto di riscatto del
fondo che, se controverso, instaura un giudizio di accertamento circa
l’appartenenza del diritto di proprietà dell’immobile e può produrre la
sostituzione ex tunc del titolare pretermesso nella stessa posizione
del terzo acquirente nel negozio concluso. Ne consegue che
l’eventuale esperimento di altre azioni — di nullità, inefficacia o
simulazione del contratto di vendita in violazione di quel diritto —, pur
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dedotta omessa pronuncia, di eccezione esaminabile in questa sede,

potendo essere contemporaneo, se funzionalmente collegate
all’esercizio del diritto di riscatto, non è tuttavia implicito
nell’esperimento dell’azione posta a tutela del diritto di riscatto e,
quindi, per poter procedere al relativo esame deve, comunque, essere
stato rispettato il principio della domanda (v.

ex multis

Cass.

Si ricava da tale principio che la piena validità della vendita
conclusa in violazione del diritto di prelazione agraria, lungi
dall’impedire l’efficace esercizio del riscatto, ne è il presupposto,
muovendo la tutela con essa apprestata dall’ordinamento su piano e
attraverso tecnica diversi (rispettivamente gli effetti dell’atto e la
sostituzione, ipso iure e retroattiva, del retrattante al retrattato quale
acquirente del bene).
5. Sono altresì inammissibili, sotto diversi profili, le plurime ma
connesse censure formulate con il secondo motivo, tutte prospettanti
asseriti errores in iudicando.
Non è infatti illustrato il motivo per il quale l’aver accertato, in
punto di fatto, la natura agricola del terreno oggetto di riscatto
comporti violazione delle norme in tema di catastazione dei fabbricati
rurali, né per converso per qual motivo la mancanza o il venir meno
dei requisiti soggettivi per il riconoscimento della ruralità dei
fabbricati insistenti sul fondo agli effetti fiscali (art. 9, comma 3, d.l.
30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n.
133) osti al riconoscimento delle condizioni per l’esercizio del riscatto
agrario.
È evidente al contrario la disomogeneità dell’oggetto e dell’ambito
di operatività dell’uno e dell’altro sottosistema di norme e dei relativi
presupposti, tale per cui nessuna interferenza può predicarsi tra i
presupposti per la catastazione dei fabbricati come rurali e il relativo
accertamento e quelli per il valido esercizio del riscatto agrario, tanto
meno rispetto al profilo soggettivo indicato in ricorso come ostativo

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25/07/2008, n. 20428).

alla prima.
Giova rimarcare al riguardo che, secondo pacifico indirizzo, in
tema di diritto di prelazione e riscatto agrario e con riguardo alla
destinazione agricola del fondo rustico, per il riconoscimento del
suddetto diritto si richiede ed è sufficiente l’esistenza di un fondo

senza che sia rilevante né la sua estensione, né che nell’attualità
esso sia o no coltivato. Pertanto, il diritto di prelazione del coltivatore
(proprietario del terreno confinante) resta precluso soltanto nel caso
che siano accertate dimensioni del fondo talmente esigue da
escludere ogni possibilità di coltivazione, ovvero sia accertata
l’irreversibile perdita dell’attitudine alla coltivazione agricola in
conseguenza dell’effettiva trasformazione del suolo coltivabile [Cass.
18/02/2010, n. 3901; n. 7769 del 19/05/2003; 02/02/1995, n. 1244;
v. anche, in termini, Cass. 08/02/2016, n. 2372, secondo cui «ai fini
del riscatto agrario di un fabbricato insistente su un fondo, il requisito
della ruralità dell’immobile e la connessa sussistenza di un vincolo
pertinenziale tra lo stesso ed il terreno, è del tutto indipendente dalla
sua iscrizione nel catasto fabbricati, necessaria

ex lege,

e può

prescindere anche dalla categoria allo stesso attribuita (urbana o
rurale), dirimente solo per l’assoggettamento del cespite ad imposta
e, al più, indizio della natura e del regime giuridico del bene ad ogni
altro effetto (in quel caso la S.C. ha confermato la sentenza
impugnata che, ai fini dell’accertamento del diritto di riscatto agrario
di un fondo e del fabbricato insistente sul terreno, aveva valorizzato
la stipula del contratto di affitto del fondo con l’assistenza delle
associazioni agricole, la qualifica di coltivatore diretto dell’affittuario,
la circostanza che questi abitasse nell’immobile e coltivasse i fondi
circostanti, l’avvertimento nell’avviso d’asta che l’edificio era soggetto
a prelazione agraria, ritenendo invece irrilevanti l’accatastamento
all’urbano del fabbricato ed il suo assoggettamento ad ICI)].

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rustico ove destinato e suscettibile di un’attività di natura agraria,

Alla luce dei superiori rilievi rimane acclarata l’inconducenza e
l’inammissibilità di tutte le svolte censure in quanto inidonee a
infirmare la correttezza e la congruità della decisione impugnata,
tanto meno sul piano della conformità a legge nei diversi profili
considerati.

(non essere l’alienante coltivatrice diretta) che, oltre a non essere
rilevante in giudizio per le ragioni dette, costituisce comunque
elemento che non risulta in alcun modo né accertato né oggetto di
discussione nel giudizio di appello.
6. È infine inammissibile anche il terzo motivo, per due ragioni.
Anzitutto perché non risulta, né viene specificamente dedotto, che
i rilievi alla c.t.u. dei quali si lamenta omesso esame siano stati posti
ad oggetto di specifico motivo di gravame.
In secondo luogo e comunque per difetto di autosufficienza, in
mancanza di adeguate indicazioni circa il contenuto di tali rilievi e le
affermazioni o gli argomenti della consulenza tecnica d’ufficio da essi
attinti.
Giova al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte, in sede di legittimità la denuncia
di un vizio consistente in acritica adesione alla consulenza di primo
grado, pur in presenza di elementi richiedenti specifico esame, non
può limitarsi alla generica espressione della doglianza di motivazione
inadeguata, essendo, invece, onere della parte, in considerazione del
principio di autosufficienza del ricorso e del carattere limitato del
mezzo di impugnazione, indicare quali siano le circostanze e gli
elementi rispetto ai quali si invoca il controllo di logicità sub specie
dell’apprezzamento della «causalità dell’errore», ossia della decisività
di tali circostanze; ed a questi fini non basta fare menzione, senza
alcuna indicazione, sia pure sintetica e riassuntiva delle relative
osservazioni critiche, di una relazione tecnica di parte, come

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Può peraltro soggiungersi che la censura postula un dato di fatto

documento non considerato dal giudice a quo, poiché, in tal guisa,
quand’anche si dia per certo il contenuto critico del documento, non è
dato apprezzarne la rilevanza nel senso suesposto, atteso che la
contestazione dell’esattezza delle conclusioni dell’espletata
consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse

serve, di per sé, ad evidenziare alcun errore delle prime – con
conseguente insufficienze della motivazione della sentenza che ad
esse si sia limitata a riferirsi -, ma solo la diversità dei giudizi
formulati dagli esperti (Cass. 28/03/2006, n. 7078; 13/06/2007, n.
13845; 12/02/2014, n. 3224; 17/07/2014, n. 16368).
7. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del
controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate come da dispositivo.
Va al riguardo rimarcato che la notifica del controricorso e il suo
successivo deposito in cancelleria devono considerarsi tempestivi
essendo intervenuti entro i termini fissati dall’art. 370 cod. proc. civ..
In particolare, essendo stato il ricorso notificato in data
12/12/2015, il termine per il suo deposito in cancelleria veniva a
scadere, ex art. 155, commi quarto e quinto, cod. proc. civ., il
4/1/2016 (primo giorno utile successivo al ventesimo giorno festivo:
venerdì 1/1/2016); il successivo termine di venti giorni per la notifica
del controricorso veniva a scadere il 25/1/2016 (data in cui l’atto
risulta effettivamente notificato), cadendo il 24/1/2016 di domenica.
Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo
unificato.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al

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delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte non

pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro
200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13.
Così deciso il 27/3/2018

inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della

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