Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18543 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. I, 09/09/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 09/09/2011), n.18543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

KALAN SNC di Giuseppe Capuano e Giovanni Landolfo BLITZ SRL, in

persona dell’amministratore p.t., elettivamente domiciliate in Roma,

Lungotevere Flaminio, n. 46, nello studio del Dott. Gian Marco Grez;

rappresentati e difesi, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dagli Avv. BRANCA Carlo e Alessandro Marotta;

– ricorrenti –

contro

CO.RE.CA., elettivamente domiciliato in Roma, Via M. Dionigi, n. 57,

nello studio dell’Avv. Claudia De Curtis; rappresentati e difesi,

giusta procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.

ALLODI Giovanni e Domenico Romano;

– controricorrente –

e contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – FUNZIONARIO CIPE,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

CO.RE.CA Come sopra rappresentato ricorrente in via incidentale nei

confronti di KALAN SNC di Giuseppe Capuano e Giovanni Landolfo BLITZ

SRL, in persona dell’amministratore p.t., come sopra rappresentate;

– controricorrenti a ricorso incidentale –

nonchè sul ricorso proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – FUNZIONARIO CIPE Come sopra

rappresentata ricorrente in via incidentale –

nei confronti di:

KALAN SNC di Giuseppe Capuano e Giovanni Landolfo BLITZ SRL, in

persona dell’amministratore p.t., come sopra rappresentate;

– controricorrenti a ricorso incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 7386,

depositata in data 10 dicembre 2004;

sentita la relazione all’udienza del 13 aprile 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Sentito per le ricorrenti l’Avv. Carlo Branca, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale;

Sentito per il CORECA l’Avv. Domenico Romano, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale;

Sentito l’Avv. Generale dello Stato Daniela Giacobbe, che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Pierfelice Pratis, il quale ha concluso per il rigetto dei

ricorsi incidentali e per l’accoglimento del ricorso principale,

quanto agli interessi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con atto di citazione in data 11 novembre 1991 la società Kalan S.n.c., premesso di essere proprietaria di un’area in (OMISSIS), in parte adibita a parcheggio e in parte occupata da uno stabilimento industriale, la cui sopraelevazione, già oggetto di concessione edilizia rilasciata nel febbraio del 1985, era stata impedita dalla realizzazione di un viadotto del c.d. Asse Mediano, a servizio dei Comuni di Acerra, Afragola e Melito, per aver il commissario straordinario di governo autorizzato l’occupazione parziale dell’area, nella misura di mq 1065; che tale provvedimento, non eseguito entro il termine previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 20, era divenuto inefficace; che erano state realizzate alcune pile di sostegno e parte del viadotto; che con provvedimento del 13 settembre 1991 il Funzionario delegato CIPE aveva nuovamente disposto l’occupazione dei beni e che successivamente era stato notificato, da parte del consorzio CORECA, il deposito dell’indennità definitiva relativa alla superficie espropriata, pari a mq 533,46, tanto premesso, conveniva davanti al Tribunale di Napoli la Presidenza del consiglio dei Ministri e il citato consorzio, chiedendone la solidale condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima occupazione ed espropriazione dell’immobile, con subordinata richiesta di determinazione della giusta indennità.

Il Tribunale di Napoli, esperita consulenza tecnica d’ufficio, rigettava la pretesa risarcitoria, ritenendo che la contestualità della realizzazione del fabbricato e del viadotto, con reciproco riconoscimento fra le parti delle opposte esigenze, escludesse la ricorrenza di un danno risarcibile. Ritenuto, tuttavia, che l’ingabbiamento del fabbricato, soffocato dal viadotto e dai plinti, determinasse un complessivo deprezzamento dell’intero fondo,, in accoglimento della domanda subordinata, condannava i convenuti in solido al pagamento della complessiva somma di L. 1.866.000.000, oltre rivalutazione, interessi e spese.

Avverso tale decisione proponevano appello la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che sosteneva il proprio difetto di legittimazione passiva, nonchè, in via incidentale, la Kalan e la Blitz s.r.l., quest’ultima quale cessionaria dell’immobile, nonchè il Consorzio CORECA. La Corte di appello di Napoli, con la decisione indicata in epigrafe, così provvedeva:

a) in via preliminare rigettava l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione principale ed affermava, altresì, l’ammissibilità dell’appello proposto in via incidentale dal CORECA, ai sensi degli artt. 333 e 343 c.p.c., nonchè l’impugnazione incidentale condizionata della Kalan. b) affermava il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ritenendo che nell’approvazione del progetto e nell’immissione in possesso (la cui tardività doveva intendersi sanata ai sensi del D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, che aveva prorogato i termini di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20) non era da rilevarsi alcuna illegittimità, di talchè la responsabilità dell’intera procedura ablativa doveva attribuirsi al concessionario, delegato anche a porre in essere l’attività espropriativa;

c) accoglieva l’impugnazione incidentale del Consorzio, secondo cui l’indennità andava determinata non in base al valore venale del fondo, ma in base ai criteri stabiliti dalla legge speciale, vale a dire dalla L. n. 219 del 1981, art. 880, sesto comma, nonchè in merito all’esclusione della rivalutazione;

d) accoglieva l’impugnazione incidentale della Kalan relativa all’omessa determinazione del pregiudizio correlato all’occupazione, così condannando il consorzio al deposito presso la Cassa depositi e prestiti della residua somma di Euro 213.978,13.

e) Condannava il Consorzio alla refusione in favore della Kalan e della Bilz del metà delle spese processuali, compensate nel resto;

f) compensava interamente le spese di lite inerenti alle rimanenti parti.

Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso la Kalan e la Blitz, deducendo cinque motivi. Resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consorzio CORECA, che propongono a loro volta ricorso incidentale, afridato, rispettivamente, ad uno e due motivi, cui le società intimate resistono con controricorso. La Kalan, la Blitz e il Consorzio hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo del ricorso principale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 325, 332, 333, 334 e 335 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene che erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto ammissibile l’appello incidentale del Consorzio CORECA, in quanto rivolto contro parti diverse da quella che aveva impugnato, in via principale, la sentenza di primo grado (Presidenza del Consiglio dei Ministri), dopo che era decorso il termine di cui all’art. 325 c.p.c.. Viene richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in cause scindibili, l’impugnazione incidentale tardiva non sarebbe ammissibile nei confronti di parti diverse da quella che ha proposto l’impugnazione principale.

Nella sentenza impugnata, a tale proposito, si afferma che, poichè “alla data della notifica dell’appello principale era ancora pendente per il Consorzio CORECA il termine per proporre appello”, l’impugnazione incidentale era stata proposta “con comparsa depositata anteriormente alla prima udienza di comparizione e, quindi, tempestivamente, ai sensi dall’art. 343 c.p.c., nel testo antecedente alla novella del 90, norma di rito applicabile ratione temporis”.

Il motivo è infondato, anche se per ragioni diverse da quelle esplicitate nella sentenza scrutinata, la cui motivazione va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.. Premesso che dalla menzionata locuzione, evidentemente contraddittoria, emerge che si tratta di impugnazione tardiva, in quanto proposta oltre il termine ordinario (non rilevando il momento della notifica dell’appello da altri proposto, ma quello della proposizione di quello incidentale), deve in primo luogo rilevarsi che il principio richiamato dalla ricorrente principale, fondato sulla distinzione fra cause scindibili e inscindili, risulta superato dal più recente, ed ormai consolidato, orientamento di questa Corte, secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza;

conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale (Cass., Sez. Un., 27 novembre 2007, n. 24627; Cass., 17 marzo 2009, n. 6444).

Del resto, non può dubitarsi come, avuto riguardo al motivo principale dell’appello della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per altro accolto dalla Corte di appello, avente oggetto l’esclusiva responsabilità del Consorzio, nella specie si sia instaurata una controversia tra più convenuti coobbligati in solido circa l’individuazione del soggetto responsabile in via esclusiva o prevalente dell’illecito dal quale l’attore assume di avere risentito ragione di danno, la quale si configura, sul piano processuale, come causa dipendente dalla controversia concernente la definizione dei rapporti che legano detti condebitori solidali al creditore comune, e, come tale, assoggettata al regime della conservazione necessaria del litisconsorzio instaurato nella precedente fase di giudizio, in virtù di quanto stabilito dall’art. 331 cod. proc. civ., il cui ambito di applicazione non è circoscritto alle cause “inscindibili”, ma si estende anche a quelle “tra loro dipendenti” (Cass., Sez. Un. 3 marzo 2003, n. 3074;

2.1 – Il secondo motivo del ricorso principale attiene alla esclusione, da parte della corte territoriale, della legittimazione passiva della presidenza del Consiglio dei Ministri, già affermata nella decisione di primo grado.

Viene in proposito denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 c.c., e segg., dei principi in tema di legittimazione e dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c, comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è fondato, per le seguenti ragioni.

La Corte di appello, nell’affermare l’esclusiva responsabilità del Consorzio, ha richiamato il principio di carattere generale che presuppone il trasferimento dei poteri ablativi, attraverso la concessione traslativa prevista della L. n. 219 del 1981, artt. 80 ed 81, al concessionario, e lo svolgimento da parte di quest’ultimo del procedimento in nome proprio ed in piena autonomia (pur se nell’interesse del concedente).

Tuttavìa, dalla stessa decisione impugnata emerge che nella fattispecie in esame era stato lo stesso Commissario Straordinario del Governo a disporre, con ordinanza del 17 aprile 1985, l’occupazione del complesso immobiliare in questione e, successivamente, ad immettersi nel possesso malgrado l’avvenuto decorso del termine di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20, e, quindi, la sopravvenuta inefficacia del decreto, con conseguente insussistenza del titolo che autorizzava l’apprensione del bene. Esso venne perciò occupato e detenuto abusivamente dalla P.C.M., che del pari illegittimamente lo ha consegnato al Consorzio perchè procedesse egualmente all’esecuzione del programma costruttivo. Tale peculiare situazione non corrisponde a quella affermata dalla giurisprudenza di questa Corte, così come richiamata nell’impugnata decisione, in materia di concessione traslativa inerente alla (normale) applicazione della L. n. 219 del 1981, con particolare riferimento agli artt. 80, 81 e 84, relativamente al trasferimento, in tutto o in parte, al concessionario dell’esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere. In questo caso, infatti, il procedimento di espropriazione si svolge e viene portato a compimento ad iniziativa di un soggetto diverso da quello che è titolare del relativo potere di chiedere l’esproprio ed il concessionario acquistando, sia pure il temporaneamente e precariamente, poteri e facoltà trasferitigli dall’amministrazione concedente, si sostituisce a quest’ultima nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica;

pur non essendone, nè potandone essere destinatario, e, pur restando sottoposto ai poteri di supremazia, di ingerenza e di controllo dell’amministrazione concedente, agisce in nome proprio ed in tale qualità compie materialmente l’attività ablativa. Con il risultato che in questo caso non è più possibile scindere le funzioni conferitegli, ed il concessionario sulla base della concessione c.d.

traslativa, assume anche la qualità di soggetto attivo del rapporto espropriativo con conseguente legittimazione passiva esclusiva rispetto a tutte le obbligazioni indennitarie e risarcitorie che ad esso si ricollegano (Cass., n. 712 del 2011; n. 8197 del 2005; n. 12958 del 2004; n. 5123 del 2003; n. 2102 del 2002).

Nel caso in esame, in base alla menzionata ricostruzione,, anche sotto il profilo diacronico, della vicenda, emerge la responsabilità solidale di entrambi i soggetti nei confronti dei quali la Kalan ha avanzato le proprie richieste. Soccorrono, in proposito, come di recente affermato in analoga fattispecie (Cass., 27 maggio 2010, n. 13017), i principi anche di recente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 6769 del 2009; n. 24397 del 2007), secondo cui: 1) siccome nello schema dell’occupazione espropriativa l’illecito si perfeziona con effetto estintivo della proprietà privata al momento della radicale ed irreversibile trasformazione del fondo, se avvenuta (come nella fattispecie) in periodo di occupazione illegittima, tutta l’attività svolta nel corso dell’occupazione da chiunque esplicata per definizione illecita, che ha contribuito a provocarla, rende l’autore o gli autori responsabili del relativo risarcimento ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c.;

2) detta responsabilità grava pertanto sia sull’ente che ha consumato l’illecita apprensione in danno del proprietario, sia su quello che ha posto in essere il mutamento del suo regime di appartenenza dell’immobile (Cass. 11890/2006; 6591/2003; 15687/2001;

1814/2000; 834/1999);

3) a ciascuno di detti enti non è consentito invocare la non imputabilità in ordine alla mancata o ritardata pronuncia del decreto ablativo, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altra amministrazione, in quanto nel comportamento di chi ha appreso l’immobile altrui senza titolo e/o ne conserva abusivamente la detenzione,ovvero in quello di chi persevera nell’esecuzione dell’opera, pur essendo a conoscenza della illegittimità dell’occupazione, possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od ornissiva, l’elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio; e non è possibile per le medesime ragioni neppure trasferire la responsabilità dell’illegittima vicenda ablatoria in capo all’ente beneficiario o destinatario dell’opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario (Cass., n. 6591/2003).

2.2 – Anche il terzo motivo, con il quale viene censurata l’applicazione retroattiva, così come operata nella decisione impugnata, del D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, comma 2, è fondato.

Dalla decisione di merito, e dalle deduzioni delle parti, emerge che l’irreversibile trasformazione del fondo, vale a dire “l’inscatolamento” del complesso immobiliare, si è verificata nell’anno 1987. Ne consegue che, nel momento in cui è sopravvenuto il D.Lgs. n. 354 del 1999, che ha introdotto (art. 9) la proroga dei termini ritenuta applicabile dalla corte di appello, il procedimento di espropriazione era completamente definito già da alcuni anni per effetto della c.d. occupazione espropriativa.

In tale situazione questa Corte, anche a sezioni unite, ha ripetutamente affermato che deve escludersi l’applicabilità della proroga (Cass. 3966/2004; 7544/2005; sez. un. 13588/2008; 6769/2009), proprio perchè la finalità della legge, coordinata con il dato testuale dell’ampio riferimento alle occupazioni in atto, che vengono “protratte” di due anni a partire dalla data della sua entrata in vigore con contestuale “prolungamento” a sei mesi dal termine entro cui il decreto autorizzativo deve essere eseguito,induce a ritenere che la disposizione prescinde dalla legittimità o illegittimità dell’occupazione al tempo della sua emanazione. Ma che resta comunque fermo il presupposto della pendenza della procedura ablativa; sicchè il citato art. 9 può valere a restituire legittimità ad occupazioni divenute inefficaci od illegittime solo se il menzionato obbiettivo di recupero della procedura espropriativa sia conseguibile: in quanto, sulla scorta della disciplina previgente, non si sia già perfezionato il fatto illecito acquisitivo, per effetto del concorrere dell’illegittimità dell’occupazione e dell’irreversibile trasformazione del suolo occupato (c.d. occupazione espropriativa).

Ha tratto conferma della correttezza di detta esclusione nel disposto della Legge Delega n. 144 del 1999, art. 42 (in base alla quale è stato emanato il D.Lgs. n. 354 del 1999), per il quale gli emanandi decreti legislativi dovevano uniformarsi al principio e criterio direttivo (comma 6, lett. f) di “dettare i criteri necessari al completamento delle procedure di espropriazione in corso”.

E quindi nel fatto che alla legge delega hanno dichiarato di uniformarsi la stessa intestazione del D.Lgs. n. 354 del 1999 (“Disposizioni per la definitiva chiusura del programma di ricostruzione di cui al titolo 8 della L. 14 maggio 1981, n. 219, e successive modificazioni, a norma della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 42, comma 6), ed ancor più specificamente il titolo dell’art. 9 rivolto ad attuare il “Completamento delle procedure di espropriazione in corso” perciò costituenti la “ratio” dichiarata della norma, nonchè la condizione e nel contempo il limite di applicabilità della proroga da essa introdotta.

Pertanto, siccome nella fattispecie l’occupazione espropriativa che ha concluso il procedimento si è verificata, come emerge pacificamente, nel corso dell’anno 1987, non poteva più porsi la questione dell’applicazione del successivo D.Lgs. n. 354, art. 9, ed alle proroghe dallo stesso introdotte con specifico riguardo al termine trimestrale di efficacia del decreto di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20, ma soltanto quella di individuare i soggetti responsabili dell’illegittima sottrazione dell’immobile alla proprietaria.

2.3 – Rimangono evidentemente assorbiti gli ulteriori motivi, nonchè le impugnazioni proposta in via incidentale.

Si impone, pertanto, la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che applicherà i principi sopra enunciati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo e il terzo, assorbiti gli altri e i ricorsi incidentali.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Prima Civile, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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