Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18537 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. I, 10/07/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 10/07/2019), n.18537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18382/2014 proposto da:

D.F.M., (vedova M.), M.A.M.,

M.F.P., M.M.G., elettivamente domiciliati in

(OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato Vincenzo D’Isidoro che li

rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Carapelle, Ma.Al.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1026/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 10/10/2007 M.A.M., M.F.P., M.M.G. e D.F.M. hanno convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Bari il Comune di Carapelle, chiedendo la determinazione dell’indennità di occupazione e di espropriazione con riferimento ad un loro terreno adibito a uliveto-vigneto, censito al locale catasto al foglio (OMISSIS), di m.q. 1075, occupato d’urgenza con provvedimento del 14/3/1991 ed espropriato con decreti del 4/3/1996, nonchè il risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione.

Si è costituito in giudizio il Comune di Carapelle, eccependo decadenza e prescrizione e chiedendo il rigetto della domanda, nonchè la dichiarazione di inammissibilità della domanda risarcitoria.

In causa è intervenuto Ma.Al., ulteriore comproprietario.

Con sentenza del 26/6/2014 la Corte di appello ha determinato l’indennità di esproprio dovuta dal Comune in Euro 2.999,25 alla data dell’esproprio (4/3/1996), ordinando il relativo deposito, ha rigettato la domanda di indennità per occupazione legittima in quanto prescritta, ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria e ha condannato il Comune alla rifusione di un terzo delle spese processuali degli attori e dell’intervenuto.

2. Con atto notificato il 22/7/2014 hanno proposto ricorso per cassazione M.A.M., M.F.P., M.M.G. e D.F.M., svolgendo due motivi.

Le parti intimate Comune di Carapelle e M.A. non si sono costituiti in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in tema di prescrizione.

1.1. Con riferimento all’indennità di occupazione legittima la Corte aveva escluso che gli attori avessero interrotto il decorso del periodo prescrizionale, da ritenersi decennale.

Il decreto di occupazione era stato emanato il 14/3/1991 per un periodo di cinque anni, sicchè solo dal 13/3/1996 la prescrizione aveva preso a decorrere.

Nell’arco dei dieci anni sino al 12/3/2006 gli attori avevano interrotto la prescrizione con la nota del 25/1/2006, ritualmente acquisita e prodotta con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 con cui essi avevano contestato i calcoli dell’Ente anche con riferimento alla indennità di occupazione, chiedendone la determinazione.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

I ricorrenti nel confrontarsi con la motivazione, invero puntuale e inequivoca, della sentenza impugnata, che, a pagina 4, primo capoverso, afferma che essi nelle note inviate al Comune avevano “sempre fatto riferimento alle sole indennità di esproprio e non anche a quelle relative all’occupazione legittima”, si limitano a sostenere che la nota del 25/1/2006, protocollata in pari data e da essi prodotta in giudizio con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, si riferiva anche alla indennità di occupazione, senza dar conto, nè testualmente, nè anche solo sinteticamente e riassuntivamente, delle espressioni contenute nella missiva e a cui essi affidano la loro tesi circa la valenza interruttiva del decorso prescrizionale, ex art. 2943 c.c., comma 4.

Fa quindi difetto il requisito della specifica indicazione ex art. 366 c.p.c. del documento sul quale il ricorso si fonda.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Sez. 5, 13/11/2018, n. 29093; Sez.1, 19/08/2015, n. 16900; Sez. 3, 07/02/2012, n. 1691).4

Infatti, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara sintesi funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto. (Sez. 5, n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01); pertanto, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso. (Sez. 1, n. 5478 del 07/03/2018, Rv. 647747 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento alla determinazione del valore del fondo.

2.1. Secondo i ricorrenti, la Corte aveva fatto riferimento a una consulenza tecnica palesemente errata, poichè il consulente d’ufficio, dopo aver adottato il metodo sintetico-comparativo, si era basato su di un contratto di compravendita che solo asseritamente era relativo alla stessa zona del fondo espropriato; il consulente aveva inoltre fatto riferimento al certificato storico di destinazione urbanistica emesso dal Comune, che ignorava la diversa destinazione impressa alla zona derivante dalla procedura di approvazione dell’insediamento del complesso scolastico sorto sul terreno degli attori in conformità alla Delib. comunale 28 febbraio 1989.

Infine i ricorrenti sostengono che l’indennità di espropriazione era stata determinata per le aree non edificabili sulla base della L. n. 865 del 1971, art. 176, comma 5, sulla base del valore agricolo medio in violazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011 e non già sulla base del valore di mercato del bene.

2.2. Il motivo non deduce alcun preciso fatto storico controverso inter partes che la Corte di appello abbia omesso di valutare.

Il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134 deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

2.3. Inoltre i ricorrenti argomentano le loro critiche con riferimento ad un atto del processo, la consulenza tecnica d’ufficio del Dott. R. disposta dalla Corte di appello, senza trascriverne i contenuti e senza neppure dar specificamente conto, in modo completo e valutabile, delle affermazioni del Consulente oggetto di censura, così mancando di soddisfare i requisiti di autosufficienza e specificità del ricorso.

2.4. Per altro verso, le critiche, comunque ampiamente riversate sul fronte del merito, rivolte alla valutazione della Corte di appello e della relazione di consulenza sulla quale essa si è basata, relativamente alla vendita del terreno preso in considerazione quale elemento di comparazione, non tengono minimamente conto del fatto che la Corte territoriale, al pari del C.t.u., ha introdotto un fattore compensativo con l’applicazione di un significativo valore correttivo (coefficiente di 1,5, che equivale ad un aumento del 50%) proprio per tener conto delle migliori caratteristiche del fondo dei M..

2.5. I ricorrenti lamentano che sia stata adottata dalla Corte di appello un valutazione basata sul valore agricolo medio in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 180/2011), senza fornire alcun valido elemento a sostegno dell’assunto: la Corte barese ha espressamente affermato il contrario ossia di volersi conformare al valore effettivo di mercato del fondo agricolo e i ricorrenti non danno adeguatamente conto del fondamento della loro doglianza, dimostrando cioè che il C.t.u. avrebbe invece seguito un diverso criterio; anzi contraddittoriamente lamentano che gli abbia fatto riferimento ad un valore negoziale di trasferimento relativo ad un terreno asseritamente disomogeneo (vedi supra).

2.6. Ed ancora, nel contestare, comunque genericamente, la vocazione agricola dell’area espropriata, i ricorrenti si riferiscono alle delibere comunali di approvazione del progetto di massima dei lavori di completamento della scuola media allocata sul fondo M. (Delib. 7 gennaio 1989, n. 1 e Delib. 28 febbraio 1989, n. 50) che palesemente attengono ad un vincolo preordinato all’esproprio.

3. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione delle parti intimate.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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