Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18535 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. I, 10/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 10/07/2019), n.18535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19781/2014 proposto da:

D.P.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Acconcia Pasquale, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. (OMISSIS);

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE, depositato il

01/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato in data 1 luglio 2014 il Tribunale di Nocera Inferiore ha dichiarato inammissibile l’opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta da D.P.G. avverso il decreto con cui il G.D. aveva, a sua volta, dichiarato inammissibile la domanda di insinuazione al passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS) per il credito di Euro 12.901,85, richiesto a titolo di spettanze per l’attività lavorativa prestata alle dipendenze della società poi fallita.

Il Tribunale di Nocera Inferiore ha condiviso l’impostazione del G.D. di ritenere la domanda inammissibile, perchè proposta mediante deposito in cancelleria e non con invio al curatore via p.e.c., evidenziando che la valutazione di inammissibilità della domanda si fondava sul rilievo che la modalità di trasmissione della domanda via p.e.c. era l’unica prevista dalla L. Fall., art. 93.

Nè aveva rilevanza che la sanzione di inammissibilità non fosse stata espressamente prevista in conseguenza della violazione della norma sopra indicata, e ciò in relazione al carattere non tassativo delle ipotesi di inammissibilità.

Il decreto impugnato, infine, ha ritenuto non fondata l’eccezione dell’opponente secondo cui, per far scattare per le procedure già pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179 del 2012, convertito nella L. n. 221 del 2012, l’obbligo di trasmissione della domanda di insinuazione per via telematica, il curatore avrebbe dovuto necessariamente comunicargli l’indirizzo p.e.c. entro il 30.06.2013. Il curatore aveva, infatti, provveduto ad un adempimento equipollente, consistito nella comunicazione del suo indirizzo p.e.c. entro la stessa data alla Camera di Commercio.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione D.P.G. affidandolo a tre motivi.

La curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS) non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo D.P.G. ha dedotto la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 183 c.p.c., comma 3 e art. 184 bis c.p.c. e degli artt. 111 e 24 Cost.

Lamenta il ricorrente che nel giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98, nel quale la Curatela è rimasta contumace, il Tribunale di Nocera Inferiore ha d’ufficio dichiarato inammissibile la domanda dell’opponente senza previamente segnalare la questione che era stata oggetto del rilievo officioso, così incorrendo nella violazione delle norme che regolano il giusto processo.

2. Il motivo è palesemente infondato.

In primo luogo, già il G.D. aveva dichiarato inammissibile la domanda di insinuazione allo stato passivo con le stesse motivazioni del decreto impugnato (erronea modalità di presentazione con deposito in cancelleria, anzichè con invio a mezzo p.e.c. al curatore), di talchè il ricorrente era già reso ben edotto della questione che il Tribunale di Nocera Inferiore, nella contumacia della Curatela, ha poi rilevato d’ufficio. Non a caso, l’odierno ricorrente, nel ricorso L. Fall., ex art. 98 (che ha inserito integralmente nel ricorso per cassazione) si era diffusamente soffermato sulle ragioni per le quali riteneva giuridicamente errata la sanzione dell’inammissibilità inflitta dal G.D. in conseguenza del deposito della domanda di insinuazione in cancelleria.

E’ quindi indiscutibile che sulla questione rilevata d’ufficio dal Tribunale l’opponente avesse adeguatamente svolto le sue difese, con la conseguenza che nessuna violazione del contraddittorio può ritenersi perpetrata.

In ogni caso, va comunque osservato che questa Corte ha più volte statuito che il divieto della decisione sulla base di argomenti non sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo. Peraltro un tale esito processuale non integra una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi. (Sez. 3, n. 15019 del 21/07/2016, Rv. 641276; Sez. 3, n. 11738 del 15/05/2018, Rv. 648608).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c..

Lamenta il ricorrente che la motivazione del decreto impugnato, secondo cui il curatore aveva comunque inviato il proprio indirizzo p.e.c. alla Camera di Commercio entro il 30.6.2013, si è fondata su una mera presunzione, non essendo mai stato depositato in atti alcun certificato della Camera di Commercio, tenuto conto anche che la Curatela era rimasta contumace, così incorrendo il Tribunale di Nocera Inferiore nelle violazioni di legge sopra evidenziate.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.).

Lamenta il ricorrente la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, che ha ritenuto che il curatore dovesse “ex lege” comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica ai creditori entro il 30.6.2013, salvo smentirsi ritenendo rispettato tale adempimento mediante la comunicazione alla Camera di Commercio.

Il ricorrente ha, inoltre, dedotto che la presentazione dell’istanza di ammissione con deposito in cancelleria, anzichè a mezzo p.e.c., integra una semplice irregolarità sanabile, atteso che la sua domanda era stata comunque portata nel progetto di stato passivo dal curatore, che la aveva quindi ricevuta, e aveva, peraltro espresso parere favorevole alla sua ammissione.

5. Il terzo motivo da esaminare per primo per una questione di priorità logica, è fondato.

Va preliminarmente osservato, prima di esaminare il merito, che l’indicazione da parte della ricorrente delle norme che si assumono violate non è coerente con i vizi effettivamente denunciati: benchè sia stata formalmente lamentata la violazione del solo art. 360 c.p.c., n. 5, tuttavia, l’illustrazione del motivo espone, altresì, un altro vizio, riconducibile questo alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Infatti, come già sopra accennato, la ricorrente ha, in sostanza, dedotto la nullità del procedimento, per essere stata dichiarata una inammissibilità della domanda di insinuazione allo stato passivo (non contemplata espressamente dalla legge), nonostante che, in realtà, fosse stata integrata una semplice irregolarità sanabile.

Peraltro, questa Corte ha più volte evidenziato che la mancata indicazione formale nel ricorso delle norme che si assumono violate non impedisce l’esame del motivo.

Infatti, in virtù del principio jura novit, la Corte può individuare d’ufficio le norme effettivamente applicabili a condizione che il ricorrente abbia comunque esposto con chiarezza l’errore di cui si duole (cfr. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; recentemente sez. 3 n. 9952/2017).

Orbene, condivide questo Collegio l’impostazione di parte ricorrente secondo cui l’avvenuta presentazione di una domanda di insinuazione allo stato passivo con deposito in cancelleria, anzichè a mezzo p.e.c. inviata al curatore, come prescritto dalla L. Fall., art. 93, integri una semplice irregolarità sanabile e non dia quindi luogo alla inammissibilità della domanda medesima.

In proposito, va osservato che questa Corte, in un caso speculare, esaminato nella sentenza n. 9772/2016, ha statuito che nei procedimenti contenzioni incardinati dinanzi ai tribunale dal 30 giugno 2014, il deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio (il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis aveva prescritto l’obbligo di deposito telematico solo per gli atti endoprocessuali e non per quelli introduttivi del giudizio) non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, essendo stato comunque realizzato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.

In particolare, nel proprio percorso argomentativo, la citata pronuncia ha osservato che il citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis inserito nella L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 19, n. 2) pur prescrivendo la regola dell’obbligatorietà del deposito telematico per i soli atti endoprocessuali, non impedisce, in mancanza di una espressa sanzione di nullità, il deposito degli atti introduttivi in via telematica. Si è evidenziato che le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste per la realizzazione di un certo risultato, con la conseguenza che è irrilevante l’eventuale inosservanza della prescrizione formale se l’atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato. Alla luce di tale ragionamento, questa Corte, nella pronuncia in oggetto, ha concluso che essendo lo scopo di un atto processuale la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è instaurata, e nella messa a disposizione delle altre parti processuali, il deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee dell’atto introduttivo di un giudizio di cognizione, si risolve in una mera irregolarità tutte le volte in cui l’atto sia stato inserito nei registri informatici dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero di Giustizia.

Ciò premesso, anche nel caso di specie, la domanda di insinuazione allo stato passivo, pur depositata in cancelleria, e non inviata al curatore a mezzo p.e.c., ha raggiunto il proprio scopo di determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata, essendo stata inserita nel progetto di stato passivo del curatore, che con tale condotta ha implicitamente attestato di averla regolarmente ricevuta.

Il ricorrente, nel presentare la domanda di insinuazione passiva con deposito in cancelleria, e non con invio telematico al curatore, è indubbiamente incorso in un vizio che, non è, tuttavia, di tale gravità da determinare una sanzione processuale, che, peraltro, neppure il legislatore ha ritenuto di prevedere.

Se è pur vero che la circostanza che una sanzione processuale non sia espressamente prevista dalla legge non è dirimente allorquando l’atto processuale difetti dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, ove, tuttavia si ravvisi in concreto – come nel caso di specie – che tale scopo è stato raggiunto, non vi è motivo per dichiarare una sanzione processuale in un ordinamento, quale il nostro, che non persegue la finalità del rispetto delle forme processuale come un valore a sè stante, ma sempre in vista della realizzazione di un determinato risultato.

D’altra parte, allo stesso principio del raggiungimento dello scopo si è recentemente ispirato il Supremo Collegio di questa Corte nel sancire che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza. E’ stato quindi ritenuto costituire una mera irregolarità la mancata indicazione, nell’oggetto del messaggio di PEC, della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” e l’inserimento del codice fiscale del soggetto notificante, essendo pacifico tra le parti l’avvenuto perfezionamento della notifica (Cass. S.U. 23620/2018).

Ne consegue che deve accogliersi il ricorso, si deve cassare il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Nocera Inferiore, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

2. Il secondo motivo è assorbito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Nocera Inferiore, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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