Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18534 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. I, 10/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 10/07/2019), n.18534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20391/2014 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato P.G. che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a.;

– intimato –

avverso il decreto n. 290/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma con decreto dell’8 luglio 2014 ha parzialmente accolto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.p.a., ammettendo il ricorrente al passivo della procedura, in via chirografaria, per la somma di Euro 17.788,90, in relazione a contratto di agenzia.

Ha ritenuto il tribunale, per quanto ancora rileva, che: a) è fondata la domanda relativa al credito portato da decreto ingiuntivo, oltre ad i.v.a. e c.p.a. maturati sulle spese, e, dunque, per l’importo complessivo di Euro 18.888,89; al contrario, non possono essere riconosciute le spese di precetto, relative al procedimento esecutivo che ne è seguito, in quanto non provate; b) l’ulteriore domanda, relativa a somma superiore a quella accolta (pari ad Euro 441.251,99, comprensiva dell’importo già ammesso in sede di verifica), è inammissibile in quanto nuova, dal momento che con essa l’istante ha fatto valere un credito ben superiore a quello azionato nella fase di verifica e fondato su fatti costitutivi in parte diversi, posto che ivi aveva chiesto genericamente la somma di Euro 171.975,95 per provvigioni ed indennità da cessazione anticipata del rapporto di agenzia, mentre in sede di opposizione è fatto valere anche un credito risarcitorio da responsabilità per inadempimento; c) nel merito, la domanda è comunque infondata, perchè non provata in via documentale, essendo mancata la produzione delle fatture che l’istante assume di avere emesso a carico della mandante, mentre la prova testimoniale è inammissibile per l’inesistente articolazione di idonei capitoli di prova.

Avverso la decisione propone ricorso il soccombente, affidato a tredici motivi.

Non svolge difese l’intimata.

Il ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente propone tredici motivi di ricorso, come di seguito riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., L. Fall., artt. 93, 98 e 99, artt. 6 e 13 CEDU e art. 47Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per avere il giudice del merito ritenuto inammissibile l’opposizione (per la parte esorbitante dalla somma portata da decreto ingiuntivo), avendo erroneamente interpretato sia la domanda posta innanzi al giudice delegato, sia quella proposta con l’opposizione, aventi entrambe ad oggetto le provvigioni dovute; mentre ogni eccesso di formalismo si scontra con il principio dell’effettività delle tutele;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e art. 244 c.p.c., per avere il giudice del merito ritenuto inammissibile la prova testimoniale offerta, in quanto richiesta “sulle circostanze di cui in premessa”, dato che nelle cause di lavoro ciò è ritenuto possibile;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2712 c.c., nonchè artt. 214,215 e 216 c.p.c., per avere il giudice del merito negato la sufficienza probatoria delle produzioni documentali, posto che, pur non essendo state prodotte le fatture, tuttavia le comunicazioni elettroniche intercorse tra l’agente, i clienti e la mandante hanno pari efficacia;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2745 c.c. e art. 2751-bis c.c., n. 3, per avere ammesso il credito in chirografo, in quanto, una volta ritenuta l’opponibilità al fallimento del contratto di agenzia avente data certa anteriore al fallimento, non poteva venire meno la natura privilegiata dei crediti azionati sulla base di tale rapporto;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 647 c.p.c., per non avere ammesso – con riguardo alla somma portata dal decreto ingiuntivo – l’importo comprensivo di rivalutazione ed interessi, nonostante l’efficacia del giudicato;

6) violazione e falsa applicazione dell’art. 2749 c.c. e art. 2751-bis c.c., n. 3, art. 429 c.p.c., L. Fall., artt. 54,55 e 59 non avendo disposto la debenza di rivalutazione ed interessi, nonchè ritenuto il carattere privilegiato del credito, anche con riferimento agli accessori post fallimentari, vertendosi su crediti privilegiati discendenti da rapporti ricompresi nell’art. 409 c.p.c.;

7) violazione e falsa applicazione degli artt. 1751,2697 e 2909 c.c., artt. 10 e 11 dell’accordo economico collettivo, con riguardo all’avvenuta cessazione del contratto, onde, ai sensi dell’art. 10 AEC, richiamato dal medesimo contratto di agenzia e disponente un trattamento di maggior favore, non poteva negarsi l’indennità in capo al ricorrente;

8) violazione e falsa applicazione degli artt. 24,36 Cost. e artt. 91 e 92 c.p.c., avendo il giudice del merito stabilito la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo e posto il residuo a carico dell’opponente, atteso che il potere del giudice di disporre la compensazione può discendere dalla ritenuta soccombenza reciproca delle parti – che non è rinvenibile nel caso in specie – ovvero dalla ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni, non evincibili dalla motivazione;

9) violazione e falsa applicazione degli artt. 10,14,91 e 92 c.p.c., L. n. 247 del 2012, art. 1, comma 3 e art. 13, D.M. n. 55 del 2014, artt. 1,4 e 5 perchè la misura della liquidazione delle spese eccede la misura massima rinvenibile nella tabella allegata al citato D.M. in relazione alla determinazione del valore della controversia secondo legge, che era pari alla sola somma finale liquidata;

10) omesso esame dei fatti decisivi, consistenti nei documenti prodotti con l’opposizione, e riprodotti in ricorso;

11) omesso esame del fatto decisivo, consistente nel decreto ingiuntivo;

12) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 210,414 e 421 c.p.c. e L. Fall., art. 99, per non avere motivato il diniego di ammissione della richiesta di esibizione, in violazione del principio afferente la ricerca della verità processuale, svincolata nel processo del lavoro ex art. 421 c.p.c. al principio dispositivo;

13) infine, il ricorrente propone questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 99, come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, per violazione degli artt. 3 e 4 Cost. e art. 24 Cost., commi 1 e 2, artt. 35 e 111 Cost., artt. 6 e 13 CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, non avendo esso previsto l’appello avverso il decreto emesso dal giudice all’esito del procedimento introdotto con l’opposizione allo stato passivo del fallimento, in contrasto con gli articoli della Costituzione e con i principi di effettività della tutela giurisdizione e del giusto processo derivati dalle norme sovranazionali.

2. – Il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Il decreto impugnato contiene una ratio decidendi inequivoca, avendo dichiarato l’opposizione inammissibile con riguardo al capo di domanda relativo all’ammissione al passivo della somma esorbitante, a e da quella portata dal decreto ingiuntivo (invece riconosciuta all’istante), avendo giudicato nuova la domanda stessa: e ciò, da un lato, perchè l’importo per il quale era chiesta l’ammissione passava da Euro 171.975,95 ad Euro 441.251,99 (comprensivi dell’importo già ammesso in sede di verifica), e, dall’altro lato, in quanto detto credito, la cui maggiorazione rispetto alla somma originaria secondo il giudice del merito non è stata chiarita neppure negli scritti difensivi di parte, era fondato su fatti costitutivi in parte diversi, comprensivi di somme dovute non per le mere provvigioni, ma anche a titolo risarcitorio.

A fronte di questa statuizione, il motivo non è adeguatamente specifico, limitandosi a ribadire come la causa petendi non sia mutata e lamentando una errata interpretazione delle domande – originaria e successiva – senza, tuttavia, anche sotto tale profilo, rispettare il disposto dell’art. 366 c.p.c.

Inoltre, nessuna delle norme invocate risulta violata; laddove, invece, non viene proposta censura con riguardo all’eventuale violazione dei criteri previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss..

Costituisce, invero, principio costantemente affermato che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, in quanto la sua statuizione attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte: nè si verte, pertanto, in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. o si pone un problema di natura processuale – per la soluzione del quale la suprema corte ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta – al contrario potendosi censurare in sede di legittimità detta individuazione del contenuto della domanda, quale tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito, solo mediante il controllo della completezza dell’esame dei fatti decisivi oppure del rispetto delle regole legali di interpretazione degli atti dei privati (cfr. Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684; v. pure Cass. 16 novembre 2018, n. 29609).

Nella interpretazione della domanda giudiziale, infatti, il giudice deve avvalersi degli stessi criteri ermeneutici dettati dagli art. 1362 c.c. e ss. per i contratti ed i negozi giuridici in genere (Cass. 12 agosto 2005, n. 16888).

Ed anche con riguardo al rito del lavoro, le cui peculiarità il ricorrente ha inteso richiamare, è stato affermato che “l’esame del ricorso deve riguardare, ai fini dell’interpretazione della domanda, la valutazione complessiva dell’atto; ove, tuttavia, difetti una chiara omogeneità delle allegazioni esposte nel contenuto complessivo del ricorso stesso rispetto alla domanda formulata nelle conclusioni, espressamente e senza condizioni circoscritte, il giudice non può d’ufficio, in contrasto con l’art. 112 c.p.c., pronunciarsi in difformità” (Cass., sez. lav., 14 maggio 2018, n. 11631; Cass., sez. lav., 10 settembre 2013, n. 20727).

In definitiva, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul mancato rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e ss..

3. – Ne deriva l’assorbimento di tutti i motivi afferenti al rigetto nel merito di detto capo di domanda, ovvero dei motivi secondo, terzo, settimo, decimo, undicesimo e dodicesimo del ricorso; del pari assorbiti anche i motivi ottavo e nono, vertenti sulle spese di lite.

Ed invero, il tribunale, dopo essersi spogliato del potere decisorio reputando inammissibile l’ampliamento predetto, ha altresì respinto la domanda nel merito: tale pronuncia, lungi dal costituire una autonoma ratio decidendi, è invece sopravvenuta a decisione ormai assunta e potere giurisdizionale speso, mediante la menzionata declaratoria di inammissibilità della pretesa. Onde tutti i motivi del presente ricorso che attengono a detta pronuncia priva di efficacia sono a loro volta inammissibili, per difetto di interesse.

4. – Il quarto motivo è fondato.

Il credito per provvigioni di agenzia va ammesso in privilegio, a norma dell’art. 2751-bis c.c., comma 1, n. 3, il cui fondamento è quello di rafforzare la tutela dei crediti derivanti dalla prestazione di lavoro autonomo o parasubordinato.

5. – Il quinto motivo è del pari fondato.

Si ricorda il principio secondo cui “In assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.; tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo; ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi della L. Fall., art. 52” (Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650).

Nella specie, non si fa questione di tale profilo, onde deve ritenersi operato il dovuto accertamento del giudice del merito, il quale, pertanto, non avrebbe potuto escludere l’ammissione di interessi e maggior danno, come portati dal decreto monitorio.

6. – Il sesto motivo è fondato.

Nel caso in cui il giudice delegato non abbia provveduto d’ufficio al riconoscimento in privilegio della rivalutazione monetaria e degli interessi postfallimentari sui crediti di lavoro (dovuto, ai sensi della L. Fall., art. 54, a seguito della sentenza della corte costituzionale 28 maggio 2001 n. 162), tale vizio deve essere fatto valere con l’opposizione allo stato passivo L. Fall., ex art. 98, come nella specie avvenuto, con conseguente accoglimento del motivo di censura avverso il decreto impugnato.

7. – Il tredicesimo motivo non costituisce un motivo di ricorso, ma intende sollevare questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 99, perchè non contempla il grado di appello.

La questione si palesa inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto prospettata in via meramente ipotetica nell’attuale procedimento che è stato attivato, in conformità alla ricordata disciplina normativa, con ricorso per cassazione (e non già con appello destinato ad essere dichiarato inammissibile con decisione di cui la parte possa avere interesse a dolersi), sul quale perciò non può esplicare alcuna concreta apprezzabile influenza la risposta al dubbio di illegittimità costituzionale come sopra sollevato (in tal senso, cfr. già Cass. 28 gennaio 1999, n. 748; Cass. 21 giugno 1999, n. 6236); dovendosi solo aggiungere, come del pari già affermato nel citato precedente ed in molti altri, che nessuna norma della Costituzione garantisce il doppio grado di merito del processo civile e che rientra nel potere attribuito al legislatore valutare nella sua discrezionalità l’opportunità di escludere per talune categorie di cause, in relazione alla differenza delle situazioni, il secondo grado del giudizio di merito.

8. – Il decreto impugnato va dunque cassato, in accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo, con rinvio innanzi al giudice del merito, perchè provveda ad adeguare il dictum ai predetti principi.

Al medesimo si demanda, altresì, la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, disattesi o assorbiti gli altri, come in motivazione; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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