Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18534 del 07/09/2020
Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18534
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13937-2019 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
LUCA FROLDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, 80014130928, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona
del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2149/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 12/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA
IOFRIDA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 2149/2018, ha respinto il gravame proposto da C.A., cittadino della Costa d’Avorio, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, perchè perseguitato anche dai famigliari per il credo religioso professato, essendo mussulmano, essendogli stato richiesto di subentrare, alla morte del padre, nel ruolo di cerimoniere di un culto in vigore nel villaggio ed avendo egli rifiutato) presentava diverse lacune e contraddizioni e comunque, quand’anche veritiera, non conteneva alcun riferimento a minacce specifiche e mirate rivolte al richiedente; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la Costa d’Avorio non era interessata da situazione di violenza indiscriminata (come si evinceva anche dal sito Viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.
Avverso la suddetta sentenza, C.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per avere la Corte d’appello omesso ogni attività istruttoria, al fine di verificare la veridicità dei fatti esposti dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dovendo ritenersi che la situazione politico-sociale del Paese di provenienza sia mutata repentinamente.
2. La prima censura è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.
3. La seconda censura è inammissibile.
Nella sentenza impugnata, invece, la Corte d’appello ha rilevato motivatamente che sulla base di fonti internazionali consultate la situazione del Paese non è interessata da violenza diffusa ed indiscriminata.
Il ricorrente, senza neppure addurre quale sarebbe la violazione di legge posta in essere dalla Corte di merito, si limita ad indicare provvedimenti di merito di altri uffici giudiziari che avrebbero deciso diversamente, dai quali dovrebbe asseritamente emergere una diversa e ben più grave situazione nella Costa d’Avorio.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020