Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18532 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 394-2019 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato PIERO NODARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLOTTA FARINA;

– ricorrente –

contro

F.G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VELLETRI 35, presso lo studio dell’avvocato MARSILIO CASALE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MARIA

MUSCOLO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositato il

22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Genova, con decreto n. cronol. 295/2018, depositato il 22/5/2018, ha respinto il reclamo di C.E. avverso provvedimento del febbraio 2018 del Tribunale di Genova, che, a parziale modifica delle condizioni economiche di divorzio stabilite in sentenza emessa nel 2015 dallo stesso ufficio giudiziario, aveva ridotto il contributo paterno al mantenimento del figlio T. nella misura di Euro 800,00 al mese, oltre al 50% delle spese straordinarie, e l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge, F.G.L., nella misura di Euro 600,00 al mese.

La Corte, nel respingere il gravame del C. (con il quale si chiedeva la revoca o un ulteriore riduzione dell’assegno divorzile e la riduzione di quello di mantenimento del figlio minore ad importo non superiore ad Euro 500,00 mensili oltre il 50% delle spese straordinari), ha preliminarmente ritenuto inammissibile la produzione documentale effettuata dal reclamante (“ad eccezione dei doc.ti di cui alla lett. b) ed al n. 15 in quanto afferenti all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato”), rilevando quindi che andava confermata la valutazione espressa dal Tribunale, che aveva già sensibilmente ridotto i due assegni (da Euro 900,00 ed Euro 1.049,00 iniziali) proprio in considerazione della diminuita capacità economica del C., anche perchè quest’ultimo risultava comunque ancora avere la disponibilità di “un milione di Euro” (quale premio riconosciutogli da Ikea Italia) e di una polizza pensione di “Euro 105.263,95” ed aveva, malgrado il fallimento di una società di capitali di cui era socio, una sicura capacità lavorativa, mentre la F. versava in “condizioni psicofisiche ancora oggi critiche” a causa di patologie necessitanti di cure) ed il figlio T. necessitava anche di un supporto psicologico avendo subito il trauma della separazione dei genitori e della nascita di una sorella nel nuovo contesto famigliare del padre.

Avverso il suddetto decreto, C.E. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di F.G.L. (che resiste con controricorso).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 345 c.p.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 9, e succ. modifiche, in relazione alla statuizione della Corte di merito in punto di inammissibilità della documentazione prodotta riguardo alla propria situazione patrimoniale-reddituale (in particolare, in riferimento all’intervenuto fallimento di una società di capitali di cui era socio), ai fini della chiesta modifica delle condizioni economiche del divorzio; con il secondo motivo, si lamenta poi l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalla diversa capacità economica dell’ex marito, dalla capacità lavorativa dell’ex coniuge e dal “fondo costituito a favore del figlio”.

2. La prima doglianza è inammissibile, in quanto il ricorrente lamenta del tutto genericamente la mancata ammissione di una serie di documenti che egli aveva prodotto in sede di reclamo ma non chiarisce quale fosse il loro contenuto; peraltro, si parla di tutte le produzioni effettuate “indifferentemente sia per il primo ed il secondo grado”, quando la statuizione della Corte è chiaramente limitata, stante il richiamo all’art. 345 c.p.c., ai documenti prodotti nella fase di reclamo ed in relazione ai quali la reclamata sig.ra F. aveva eccepito che si trattava di documenti che avrebbero potuto essere prodotti in primo grado (i documenti da n. 11 a n. 15 e dalla lett. b) alla lett. f), di cui peraltro la Corte d’appello ha in parte ammesso la produzione – i doc.ti sub b) e n. 15).

Ora, questa Corte ha chiarito (Cass. 5478/2018; Cass. 17399/2017) che “in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso”.

Peraltro, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente è anteriore alla pronuncia delle Sezioni Unite nel 2005 (Cass. n. 8203) nella quale si è chiarito, anche nella vigenza del vecchio disposto dell’art. 345 c.p.c., anteriore alla Novella del 2009, come nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, vada interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione.

Vero che qui si è trattato di procedimento soggetto al rito camerale e la Corte ha già avuto occasione di affermare che il reclamo avverso i provvedimenti di modifica delle condizioni del divorzio resi dal tribunale ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1, costituisce comunque un mezzo d’impugnazione, ancorchè devolutivo, e come tale ha per oggetto la revisione della decisione adottata in primo grado, nei limiti del devolutum e delle censure formulate, in correlazione alle domande formulate in quella sede; con la conseguenza che, in sede di reclamo, mentre possono essere allegati, stante la libertà di forme proprie del procedimento, fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, che snaturerebbero il reclamo stesso quale mezzo d’impugnazione, come tale avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento (Cass. 14022/2000; in senso conforme Cass. 1761/2008; Cass. 3924/2012).

Invero, il rito camerale previsto per l’appello avverso le sentenze di divorzio e di separazione personale, essendo caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario (Cass. 1179/2006 e Cass. 6154/2012) e quindi si può anche ritenere ammissibile una produzione documentale al di fuori degli stretti limiti dettati dall’art. 345 cp.c..

Tuttavia, come già sopra rilevato, ai fini dell’ammissibilità della doglianza in questa sede di legittimità il ricorrente avrebbe dovuto descrivere nel dettaglio il contenuto dei documenti non ammessi in sede di reclamo. Invece, la doglianza è rimasta, anche nella memoria depositata, del tutto generica ed astratta.

3. La seconda censura è del pari inammissibile, perchè, a fronte di una motivata disamina da parte della Corte d’appello delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dei coniugi ed in punto di capacità lavorativa degli stessi e delle necessità economiche del figlio minore, il ricorrente non chiarisce nè evidenzia alcun fatto storico, che non sia una mera argomentazione difensiva, effettivamente decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito.

Questa Corte (Cass. 26305/2018) ha chiarito che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive ”

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, ed Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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