Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18531 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G., rappresentato e difeso per procura a margine del

ricorso dall’Avvocato Filippo De Giovanni, elettivamente domiciliato

presso il suo studio in Roma, via p.zza delle Iris n. 18;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 60/19/05 della Commissione tributaria

regionale del Lazio depositata il 24 maggio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17

giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Nunzio Vladimiro, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto stipulato il 10.7.1996 e registrato il 26 luglio successivo P.G. vendette alla s.r.l. T.M.P. un capannone industriale sito in (OMISSIS) per il prezzo di L. 850.000.000.

Con successivo atto registrato il 26.11.1996 i contraenti rettificarono il contratto precedente nella parte in cui definiva il capannone come industriale e con riguardo alla sua superficie, che indicavano in mq. 1850 in luogo di mq. 1500.

Con avviso di accertamento n. 96/30412 l’Ufficio del registro di Roma rettificò in relazione al primo atto, il valore del bene dichiarato nel contratto sulla base della rendita attribuita dall’Ute su istanza dei contraenti che, al momento del rogito, non essendo il bene ancora censito in catasto, avevano dichiarato di volersi avvaloro della normativa sull’accertamento automatico di cui al D.L. n. 70 del 1988, art. 12 elevando l’imponibile a L. 1.500.000.000 e liquidando per l’effetto, un maggior importo a titolo di imposta di registro e di invim.

Successivamente, in relazione al secondo atto di rettifica del primo contratto registrato il 26.11.1996. l’Ufficio adottò un ulteriore avviso di accertamento e di liquidazione, elevando il valore dell’imponibile a L. 2.250.000.000.

Sia il P. che la società T.M.P. impugnarono, con distinti ricorsi, l’avviso di accertamento e di liquidazione emesso in relazione al rogito del 10.7.1996 assumendo che esso era stato adottato prima dell’attribuzione della rendita catastale e che il valore accertato era eccessivo stante lo stato di degrado e di fatiscenza dell’immobile.

L’impugnativa, pure proposta dalle parti, del secondo avviso di accertamento e di liquidazione, emesso con riferimento al rogito del 26. 11.1996, diede invece luogo ad un diverso giudizio.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, riuniti i ricorsi, li accolse solo relativamente all’accertamento invim, mentre confermò l’imponibile ai fini dell’imposta di registro.

Proposero appello sia la società acquirente T.M.P. che l’Agenzia delle Entrale e la Commissione tributaria regionale del Lazio, riuniti i ricorsi, accolse l’impugnazione dell’Agenzia, respingendo la domanda dei contribuenti anche con riferimento alla maggior pretesa per l’invim, confermando, per il resto, la statuizione di rigetto di primo grado.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 12.6.2006, ricorre. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, P.G..

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve darsi atto che la sentenza di appello impugnata con il ricorso in esame è stata a sua volta oggetto di autonoma impugnazione da parie della società T.M.P., altra parte del processo, e che il relativo ricorso è stato deciso da questa Corte, nel senso del rigetto, con sentenza n. 4627 del 26 febbraio 2009.

Tanto precisato, merita chiarire che la situazione sopradescritta non integra alcuna causa impeditiva all’esame del presente ricorso, sotto il profilo della sua ammissibilità o procedibilità.

Ciò in quanto il principio secondo cui l’impugnazione di una parte è improcedibile quando sia autonomamente rivolta contro una sentenza già impugnata in via principale da altra parte del processo e la decisione sulla prima sia stata emessa senza la riunione delle impugnazioni non trova applicazione quando la sentenza impugnata sia relativa a cause scindibili trattate unitariamente e decise con la medesima sentenza (Cass. n. 16826 del 2008) atteso che proprio il nesso di scindibilità tra le cause consente, per definizione, di ravvisare nella medesima sentenza più pronunce tra loro indipendenti, che possono seguire, nella fase dell’impugnazione, un percorso diverso, come chiaramente si evince dalla disposizione di cui all’art. 332 cod. proc. civ., che, per le cause scindibili, a differenza di quelle inscindibili (art. 331 c.p.c.), richiede la mera notifica del ricorso alle altre parti e non già che l’atto di impugnazione sia rivolto anche nei confronti di esse ai fini dell’integrazione del contraddittorio.

Nè vi è dubbio che, ai fini della pretesa dell’invim, la posizione del venditore, nel caso di cessioni a titolo oneroso, sia del tutto distinta da quella del compratore, essendo soltanto il primo soggetto passivo dell’imposta, ai sensi del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 4.

I richiamato rapporto di scindibiiità che va ravvisato nel caso di specie tra le cause, trattate e decise unitariamente, promosse l’una dal P., quale venditore, e l’altra dalla società T.M.P., quale compratrice. nei confronti del medesimo avviso di liquidazione dell’imposta di registro e dell’invim è alla base dell’ulteriore considerazione che porta a circoscrivere l’oggetto del presente giudizio di impugnazione alla sola contestazione relativa alla maggiore pretesa invim. atteso che la sentenza di primo grado respinse l’impugnativa concernente l’avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro, per il cui pagamento vige tra le parti un rapporto di solidarietà passiva, ed il relativo capo della decisione non fu impugnato dall’attuale ricorrente P. ma solo dalla società T.M.P., con l’effetto che il primo non può avvantaggiarsi dell’impugnazione proposta dalla seconda e che, pertanto, la statuizione di primo grado di rigetto dell’impugnativa da lui avanzata nei confronti della maggiore imposta di registro applicata dall’Ufficio deve considerarsi ormai passata in giudicato.

Passando alla valutazione del ricorso, si reputa opportuno esaminare per primo il secondo motivo, che pone una questione rilevabile d’ufficio, potenzialmente in grado di definire la controversia.

Con questo mezzo, il ricorrente denunzia violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. e del principio del ne bis in idem, lamentando che il giudice di secondo grado non abbia accolto l’eccezione di giudicato da lui sollevata nel proprio atto di costituzione in appello, nel quale aveva rappresentato che, in relazione all’atto di rettifica contrattuale registrato tra le parti il 26.11.1996. che aveva qualificato l’immobile come industriale e ne aveva indicato una superficie maggiore, l’Ufficio finanziario aveva emesso un nuovo avviso di liquidazione elevando il valore dell’immobile in L. 2.250.000.000 e che lo stesso, impugnato dal ricorrente, era stato annullato con riferimento alla maggiore pretesa per l’invim dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con semenza n. 297/29/03 del 4.9.2003. passata in giudicato il 31.10.2004 che aveva determinato il valore del bene nella somma di L. 850.000.000. pari a quella dichiarata nel primo atto registrato il 26.7.1996 ed in relazione al quale era stato adottato l’avviso oggetto del presente giudizio.

Sostiene al riguardo il contribuente che la Commissione regionale avrebbe dovuto prendere atto del giudicato esterno formatosi tra le parti in relazione al valore dell’immobile e quindi dichiararne l’efficacia nel giudizio e rigettare, per tale ragione, l’appello dell’Ufficio.

Il motivo è fondato.

E’ agli atti di causa la sentenza n. 297/29/03 del 4.9.2003, munita in calce della certificazione della Cancelleria in ordine al suo passaggio in giudicato con cui la Commissione tributaria provinciale di Roma ha deciso il ricorso proposto dal P. avverso l’avviso di liquidazione adottato in relazione all’atto contrattuale di rettifica registrato il 26.11.1996 che aveva elevato il valore del medesimo immobile, statuendo che il valore dello stesso a fini dell’invim dovesse essere determinato in L. 850.000.000 ed annullando quindi l’avviso impugnato per la parte relativa alla maggior pretesa a titolo di invim.

Il giudicato formatosi sulla predetta sentenza si fonda, pertanto all’accertamento di un fatto, il valore dell’immobile, identico a quello che costituisce oggetto della presente controversia.

La circostanza, per contro, che la statuizione invocata sia stata emessa nel giudizio avente ad oggetto un diverso avviso di liquidazione, appare irrilevante, considerato che tale atto era stato adottato, successivamente al primo, sulla base di un atto contrattuale di rettifica del bene che ne aveva corretto, in aumento, la superficie e quindi sulla base di dati incrementativi del valore, con l’effetto che l’accertamento operato dal giudice nella relativa controversia non può che valere, a maggior ragione, nei confronti del primo avviso, emesso a seguito di un atto registrato che indicava, rispetto al secondo, un’estensione minore dell’immobile.

La presente controversia va dunque risolta alla luce del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma sopra richiamata, che, a fini invim, ha accertato il valore dell’immobile oggetto del contratto in L. 850.000.000. pari a quello dichiarato dai contraenti nel l’atto registrato.

In particolare, tale conclusione costituisce applicazione, nel caso di specie, dell’orientamento più volte espresso da questa Corte anche in materia di controversie tributarie, secondo il quale, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento cosi compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la causa, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto accertato e risolto (Cass. S.U. n. 13916 del 2006).

In adesione a questi principi ed in applicazione del giudicato formatosi con la decisione n. 297/29/03 del 4.9.2003 della Commissione tributaria provinciale di Roma, la sentenza impugnata, in quanto contrastante con l’accertamento ivi contenuto, deve essere cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 2, con conseguente conferma della sentenza di primo grado, tenuto conto che, essendosi il giudicato formatosi il 31.10.2004, mentre l’appello era stato depositato in data 30.7.2004, il giudizio di secondo grado non poteva essere proseguito.

Gli altri motivi di ricorso si dichiarano assorbiti.

Le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri;

cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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