Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18531 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25615-2018 proposto da:

C.V.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato MARCO MATTEI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE AUGELLO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI C.V., in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 33, presso

lo studio dell’avvocato ENRICO DI IENNO, rappresentato e difeso

dall’avvocato IGNAZIO DE MAURO;

– controricorrente –

contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

CATANIA, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRBUNALE DI CATANIA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1804/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 45/2018 del 8.03.2018, il Tribunale di Catania, su istanza della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, ha dichiarato il fallimento di C.V. sul presupposto dell’esistenza delle condizioni soggettive, dei limiti dimensionali e dello stato d’insolvenza.

Con la sentenza oggi impugnata, la Corte d’Appello di Catania ha respinto il reclamo proposto dal C.V. avverso la declaratoria di fallimento, confermando quanto statuito dal Tribunale sul presupposto che: (i) il reclamante è un imprenditore commerciale ed a nulla rileva la qualità di agente di commercio, la quale non sarebbe incompatibile con quella di imprenditore commerciale ed in ogni caso l’imprenditore commerciale individuale sarebbe identificato dall’esercizio effettivo dell’attività; (ii) l’onere della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall. ricade sull’imprenditore e tale onere non risulta essere stato soddisfatto non essendo stata fornita la relativa prova; (iii) l’esposizione debitoria emerge dagli estratti dei ruoli, costituenti prova di una esposizione debitoria di almeno Euro 400.000,00, per la parte non contestata.

Avverso la suddetta sentenza, C.V. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Fall.to C.V. (che resiste con controricorso), della Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Catania e della Procura della repubblica presso il Tribunale di Catania (che non svolgono difese).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 14 L. Fall., degli art. 15L. Fall., comma 4, art. 2214, 2217,2083 c.c., art. 132 c.p.c., e 156 c.p.c., comma 2, per aver errato la Corte d’Appello nel non ritenere sussistenti i requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall., ed in particolare per aver ritenuto decisivo il mancato deposito delle dichiarazioni dei redditi; con il secondo motivo, si denuncia poi, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, dell’art. 2718 e 2697 c.c., dell’art. 115 e 112 c.p.c., per aver la Corte d’Appello ritenuto sussistente lo stato d’insolvenza sulla base della considerazione che gli estratti dei ruoli facciano prova del debito tributario.

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi.

Il ricorrente asserisce che la Corte d’Appello abbia escluso “frettolosamente la prova dell’insussistenza dei limiti dimensionali solo sulla base della violazione procedimentale attribuita al C. di non avere depositato le dichiarazioni dei redditi”.

In realtà, la Corte d’Appello ha correttamente valutato il mancato assolvimento da parte dell’imprenditore dell’onere della prova della sussistenza dei limiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1; questa Corte ha più volte affermato che: “In tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 L.Fall., comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15 L.Fall., comma 4, sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ex art. 2435 c.c., sicchè, ove difettino tali requisiti o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (così Cass. n. 33091/2018, conf a Cass. n. 13746/2017).

E stato da tempo chiarito che “il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di “prossimità della prova”, pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento, gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti” (Cass. 28 maggio 2010, n. 13086; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24721).

Assodato che l’onere della prova permane in carico dell’imprenditore fallendo, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, hanno verificato, con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, che alcuna documentazione relativa ai redditi era stata prodotta, ai fini della prova della carenza dei limiti dimensionali, se non un prospetto, sottoscritto dallo stresso ricorrente, relativo alla situazione patrimoniale al 2017. La doglianza mossa dal ricorrente, in ordine al fatto che il suddetto prospetto sarebbe relativo non al solo anno indicato nella decisione impugnata ma ad un triennio, descrive al più un errore revocatorio.

Neppure emergeva, ad avviso della Corte di merito, l’esistenza di ulteriori elementi che potessero provare quanto sostenuto dal reclamante ed odierno ricorrente, non avendo lo stesso nemmeno depositato altra documentazione, fiscale o contabile. Tale statuizione non risulta efficacemente censurata.

3. Il secondo motivo è infondato.

La censura sul punto si incentra sull’idoneità degli estratti dei ruoli a fornire adeguata prova delle posizioni debitorie di natura tributaria in capo al fallendo. La Corte d’appello ha evidenziato che gli estratti di ruolo avevano natura di titoli esecutivi, che pendeva una procedura esecutiva immobiliare promossa da Riscossione Sicilia a carico del C. sulla base dei medesimi debiti, per oltre Euro 1.300.000,00, e che non risultava allegata nemmeno la pendenza di giudizi tributari di impugnazione dei ruoli nelle competenti sedi.

E’ il caso di ricordare che “l’estratto di ruolo è un “documento contenente gli elementi della cartella, quindi contenente gli “elementi” di un atto impositivo, formato dal concessionario” (Cass., 2 ottobre 2015, n. 19704). Esso, più in particolare, risulta essere una “fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartelle esattoriale, contenete tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr., tra le altre, Cass.,29 maggio 2015, n. 11141, che pure puntualizza come la “cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale” (Cass. n. 11943/2018).

Detto ciò, relativamente alla validità degli estratti di ruolo in punto di prova relativa allo stato d’insolvenza rilevante ai fini della dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, allo stesso modo, riconosce detta qualità agli estratti di ruolo, ammettendosi che gli estratti dei ruoli, oltre a fornire prova dei debiti tributari ai fini dell’insinuazione al passivo fallimentare (Cass. 24589/2019; Cass. 2732/2019, ove si è fatta salva la necessità, in caso di contestazioni del curatore, per i crediti tributari, di provvedere all’ammissione con riserva, e per i crediti previdenziali, in quanto assoggettati alla giurisdizione del giudice ordinario, la necessità da parte del concessionario di integrare la prova con altri documenti giustificativi in possesso dell’ente previdenziale), assolvano alla stessa funzione, anche in assenza della notificazione delle cartelle di pagamento, con riferimento alla prova dello stato d’insolvenza per la dichiarazione di fallimento (Cass. 15407/2001: “il mancato pagamento di somme dovute all’amministrazione finanziaria per IVA ed iscritte a ruolo può considerarsi atto sintomatico di una situazione di insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento senza che rilevi in contrario

la circostanza dell’avvenuta impugnazione del ruolo stesso, che ha natura di titolo esecutivo, salvo che il debitore dimostri che l’esecutività dell’atto impugnato è stata sospesa”; Cass.646/2019, non massimata).

In ordine poi all’intervenuta prescrizione dei relativi debiti (per asserita mancata notifica delle cartelle esattoriali), il ricorso è

privo di autosufficienza, non indicando neppure se, come ed in quale atto del giudizio di merito sia stata sollevata l’eccezione.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, ed Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto (per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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