Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1853 del 26/01/2011

Cassazione civile sez. III, 26/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 26/01/2011), n.1853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

SPADARO CIRO, GRANATA RUGGIERO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANT’ANASTASIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COLANTUONI

ANTONIETTA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1357/2007 del TRIBUNALE di NOLA, depositata il

29/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. AURELIO GOLIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. M.I. ha proposto ricorso per cassazione contro il Comune di Sant’Anastasia avverso la sentenza del 29 maggio 2007, con cui il Tribunale di Nola, in riforma della sentenza resa in primo grado inter partes dal Giudice di Pace di Sant’Anastasia, ha rigettato la domanda di essa ricorrente intesa ad ottenere il risarcimento di asseriti danni subiti per effetto di un’insidia stradale.

Al ricorso ha resistito con controricorso il Comune intimato.

2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 30-bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, e’ stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che e’ stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. sono state svolte le seguenti considerazioni:

“… 3. – Il ricorso appare inammissibile sia per l’inosservanza del requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c. (abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47 ma senza alcuna efficacia retroattiva, e, dunque, senza effetto per i ricorsi per cassazione proposti anteriormente al 4 luglio del 2009, data di entrata in vigore di detta legge), sia per l’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Sotto il primo aspetto i due motivi su cui si fonda – rispettivamente denuncianti “Erronea ed insufficiente motivazione. Travisamento dei fatti. Erronea valutazione ed applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2697 c.c.” e “Travisamento dei fatti. Errore di valutazione delle risultanze istruttorie” – non si concludono, quanto al primo motivo con la formulazione di un quesito di diritto, riguardo alla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., e, quanto ad entrambi i motivi con la formulazione di un momento di sintesi espressivo della ed. “chiara indicazione” cui allude l’art. 366-bis c.p.c. (in termini, Cass. sez. un. n 20603 del 2007).

Infatti, con riferimento al primo motivo vengono enunciati i seguenti quesiti: a) vero che il giudice d’appello e’ chiamato al riesame nei limiti delle doglianze formulate; b) vero che il giudice e’ tenuto alla valutazione delle prove proposte dalle parti ed a valutarle complessivamente; c) vero che lo stesso e’ tenuto a dare adeguata motivazione del proprio convincimento e delle ragioni che lo inducono a ritenere non fondati i motivi addotti dal primo giudice; d) vero che, in ipotesi di responsabilita’ ex art. 2051 c.c. della P.A., il danneggiato e’ onerato della dimostrazione dell’evento dannoso e del nesso causale tra la cosa e la sua verificazione, mentre il danneggiato, che vola esimersi da responsabilita’, e’ chiamato a dimostrare che l’evento e’ imputabile a caso fortuito.”.

Si tratta di quesiti che sono assolutamente astratti e privi di riferimento alla vicenda sostanziale dedotta nel processo ed alla motivazione della sentenza impugnata, onde difettano del carattere della conclusivita’ e, quindi sono inidonei ad assolvere la funzione di quesito.

L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensi’ evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio e’ stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione, appariva evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, dovesse necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioe’ al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, si’ che risultasse evidenziato – ancorche’ succintamente – perche’ l’interrogativo astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non avesse presentato questo contenuto doveva reputarsi un non quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonche’ n. 6420 del 2008; sull’esigenza di specificita’:

Cass. n. 8463 del 2009).

Inoltre, le suddette enunciazioni, per cio’ che afferisce al vizio di motivazione, nulla contengono in punto di individuazione del fatto controverso e delle ragioni della decisivita’ del vizio motivazionale.

La stessa cosa dicasi per i tre interrogativi che concludono la formulazione del secondo motivo.

3.1. In ogni caso il ricorso e’ inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che costituisce i precipitato del principio normativo di autosufficienza, perche’ fa riferimento a risultanze probatorie testimoniali delle quali non indica l’udienza di assunzione, cosi’ venendo meno all’onere di indicazione specifica prescritto da detta norma (in termini, si veda da ultimo Cass. n. 4201 del 2010, a proposito degli atti processuali; in generale, da ultimo, Cass. sez. un. n. 7161 del 2010).”.

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la memoria muove rilievi che, per un verso ignorano i precedenti citati nella relazione e si astengono dal prendere posizione su di essi, cosi’ rifuggendo dal contraddire effettivamente sul “progetto di decisione” ipotizzato dalla relazione, per altro verso assumono, con riguardo ad ognuno dei due rilievi di inammissibilita’, l’esistenza di pretesi principi di diritto che questa Corte avrebbe enunciato, senza, pero’, con notevole singolarita’, indicare i due precedenti che li avrebbero enunciati.

Non e’ pertanto necessario che il Collegio indugi su cio’ che neppure e’ individuato e cio’ a tacere del fatto che esso non e’ parametrato comunque ai precedenti evocati dalla relazione.

Il ricorso e’, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso principale. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate rispettivamente in Euro mille/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2011

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