Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18528 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4532-2018 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 57,

presso lo studio dell’avvocato LUCILLA ANASTASIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA CRISTINA PUCCI;

– ricorrente –

contro

A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIANLUCA GATTARI;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

25/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato nell’aprile 2016, M.P. chiedeva la revisione delle condizioni di divorzio nei confronti della ex coniuge A.P., deducendo la sussistenza di fatti sopravvenuti tali da legittimare la modifica delle precedenti statuizioni di cui alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti, pronunciata dal Tribunale di Macerata in data 4-28 dicembre 2002, oggetto di successivo accordo modificativo.

Il Tribunale, nella contumacia della A., revocava sia l’assegno di mantenimento a carico del M. ed in favore del figlio M., per aver quest’ultimo acquisito autonomia economica, sia l’assegnazione della casa familiare alla madre (in quanto non più convivente con il figlio), mentre veniva rigettata la domanda di revoca dell’assegno divorzile, stante l’insussistenza di “alcuna rilevante circostanza sopravvenuta tale da incidere sul giudicato formatosi”.

La Corte d’appello di Ancona, con decreto n. 1509/2016, ha respinto il reclamo, ex art. 739 c.p.c., proposto dal M., rilevando che l’unico motivo addotto quale elemento nuovo idoneo a modificare la situazione esistente era la presunta convivenza dell’ex moglie con tale F., elemento questo che non poteva in alcun modo considerarsi un fatto nuovo sopravvenuto, in quanto, come asserito anche dallo stesso ricorrente, la relazione della A. con il F. era “nota a tutti” ed andava avanti da “più di 20 anni…”, dal 1984, ancor prima della sentenza di divorzio del 2002; ad avviso della Corte di merito, tale situazione quindi era già assodata e considerata alla data della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio ed anche a quella successiva dell’accordo di modifica delle condizioni di divorzio; le istanze istruttorie formulate dal reclamante venivano ritenute inammissibili perchè ininfluenti ai fini del decidere.

Avverso il suddetto decreto, M.P. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; resiste con controricorso A.P..

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, per non aver la Corte d’Appello ritenuto sussistente la stabile convivenza more uxorio della ex coniuge e non averla ritenuta alla stregua di fatto sopravvenuto, pur essendo essa intervenuta solo nel 2012 (allorchè l’ex coniuge aveva lasciato la casa coniugale, per andare ad abitare con il nuovo compagno), confondendo tale sopravvenuta circostanza con il diverso fatto della pregressa relazione e frequentazione della A., in essere dagli anni ‘80; 2) con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato sempre della convivenza stabile della A. con altro uomo, idonea a far venir meno il diritto all’assegno divorzile; 3) con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per non aver la Corte d’Appello motivato sulle istanze istruttorie formulate sia in primo grado che in sede di reclamo.

2. Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati assieme, in quanto connessi, e sono infondati.

Il ricorrente ha delineato la differenza tra una semplice frequentazione ed una stabile convivenza, affermando che solo la seconda è rilevante ai fini della modifica delle condizioni economiche divorzili (cfr. Cass. n. 17195/2011, conf. a Cass. n. 17643/2007).

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ritenuto la questione come non nuova. Difatti, il M. aveva dedotto in sede di ricorso che “la convenuta…intrattiene una stabile convivenza che dura da molti anni…”. La Corte ha ritenuto quindi, interpretando la domanda, che la asserita relazione tra la A. ed il F. quale stabile convivenza fosse elemento già noto al M. in sede di proposizione del ricorso e non fosse quindi idonea a provocare una modifica delle condizioni di divorzio. Infine, nemmeno avrebbe pregio l’eventuale rilievo in ordine alla qualificazione dei fatti come sopravvenuti per essersi gli stessi materialmente verificati in una certa epoca ma conosciuti dal M., solo all’epoca della la richiesta di revisione dell’assegno.

Invero, l’ignoranza dei fatti non rende questi fatti sopravvenuti, una volta che se ne abbia la conoscenza. Tale assunto è confermato da questa Corte che ha chiarito come ” ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 (così come modificato dalla L. n. 436 del 1978, art. 2, e dalla L. n. 74 del 1987, art. 13), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata “rebus sic stantibus”, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane viceversa esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Ne consegue che l’attribuzione in favore di un ex coniuge dell’assegno divorzile non può essere rimessa in discussione in altro processo sulla base di fatti anteriori all’emissione della sentenza, ancorchè ignorati da una parte, se non attraverso il rimedio della revocazione, nei casi eccezionali e tassativi di cui all’art. 395 c.p.c.” (Cass. n. 21049/2004; v. anche Cass. 25 agosto 2005, n. 17320).

In sostanza, in forza della particolare natura del giudicato delle sentenze di divorzio, e delle successive modifiche, deve comunque ritenersi che le stesse passano in cosa giudicata “rebus sic stantibus”, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

Le censure risultano peraltro anche inammissibili per carenza di autosufficienza.

3. Il terzo motivo è anch’esso infondato.

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia o omessa motivazione sulle richieste istruttorie, avendoli la Corte di merito giudicati ininfluenti ai fini del decidere, perchè finalizzati alla prova di un fatto che non avrebbe potuto avere avere alcuna incidenza sul giudizio in quanto non idoneo a causare la revisione della situazione divorzile.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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