Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18527 del 26/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 26/07/2017, (ud. 05/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Q.Q.E., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso

l’avv. Giovanna Gerardo, rappresentato e difeso dall’avv. Dante

Venco, giusta delega in margine al ricorso che indica per le

comunicazioni relative al processo la p.e.c.

avvdantevenco.puntopec.it e il fax n. (OMISSIS);

– ricorrente –

nei confronti di:

M.V.V., elettivamente domiciliata in Roma, piazza

Bainsizza 1, presso l’avv. Letizia Salerno, dalla quale è

rappresentata e difesa unitamente all’avv. Mauro Mellini, giusta

procura speciale in calce al controricorso, e che dichiara di voler

ricevere le comunicazioni relative al processo alle p.e.c.

mauromellini.ordineavvocatiroma.org e

letiziafrancescaluciasalerno.ordineavvocatiroma.org e al fax n.

06/37351788;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/15 della Corte di appello di Brescia,

emessa il 6 febbraio 2015 e depositata il 16 marzo 2015, n. R.G.

1259/14.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza n. 2511/14, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio fra Q.Q.E. e M.V.V. e imposto al Q. il versamento a titolo di assegno divorzile della somma mensile di 1.500 Euro respingendo le altre domande riconvenzionali proposte dalla M..

2. Ha proposto appello principale il Q. ribadendo la propria eccezione di decadenza della M. dalla domanda di assegno in quanto la controparte non aveva depositato alcuna memoria per la costituzione davanti al giudice istruttore dopo l’udienza presidenziale. Ha contestato inoltre il diritto della M. a percepire l’assegno divorzile non sussistendone i presupposti e, subordinatamente, ne ha chiesto la riduzione.

3. Ha proposto appello incidentale la M. che:

ha chiesto l’incremento dell’importo dell’assegno divorzile e l’accoglimento della domanda riconvenzionale relativa al riconoscimento del suo diritto all’assegnazione di una quota pari al 40% del T.F.R. già percepito dal Q..

4. La Corte di appello di Brescia con sentenza n. 217/15 ha respinto gli appelli e compensato le spese processuali.

5. Propone ricorso per cassazione Q.Q.E. che si affida a sette motivi di ricorso.

6. M.V.V. si difende con controricorso.

Ritenuto che:

7. Con i primi due motivi di ricorso il ricorrente ribadisce la fondatezza della propria eccezione di decadenza deducendo la violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10 (primo motivo) e la violazione e falsa applicazione degli artt. 177 e 178 e dell’art. 279 c.p.c., comma 4.

8. I due motivi sono infondati perchè in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui nel giudizio di divorzio, il termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell’assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all’art. 180 c.p.c. (Cass. civ., sez. 1, n. 18116 del 12 settembre 2005).

9. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e l’omessa valutazione delle prove documentali.

10. Il motivo è inammissibile perchè non specifica in cosa sia consistita la dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e si sostanzia in una censura alla valutazione del materiale probatorio compiuta dalla Corte di appello che non può essere sindacata in questo giudizio atteso che la motivazione si sofferma specificamente sull’aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente ma non le ritiene impeditive rispetto all’obbligo impostogli già in primo grado di corrispondere un assegno di mantenimento in favore della M..

11. Con il quarto e quinto motivo di ricorso il Q. deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per valutazione delle prove in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (quarto motivo) e per omessa motivazione sul quantum (quinto motivo).

12. I due motivi sono inammissibili perchè ripropongono censure del tutto apodittiche e generiche intese a ottenere un nuovo giudizio di merito laddove la Corte distrettuale ha tenuto ampiamente conto della documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente e ha ritenuto congrua la misura dell’assegno in relazione alle rispettive condizioni economiche delle parti e nella prospettiva di assicurare una vita indipendente e dignitosa alla M. anche dopo il divorzio e, nello stesso tempo, a non incidere in misura eccessivamente gravosa sulle disponibilità economiche del Q. che è già costretto, a causa della propria malattia, a provvedere alle proprie esigenze di cura personale e domestica, tenendo conto dei parametri normativi e giurisprudenziali relativi alla determinazione dell’assegno divorzile.

13. Con il sesto motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per erronea compensazione delle spese di causa.

14. Con il settimo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per omessa motivazione relativamente alla compensazione delle spese processuali.

15. I due motivi sono infondati perchè non tengono conto della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92 c.p.c., comma 2); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass. civ. sez. 3, n. 3438 del 22 febbraio 2016).

16. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 3.600 Euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma l bis dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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