Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18527 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 07/09/2020), n.18527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 491-2019 proposto da:

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. P. DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CHIARA SERVETTI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIVASSO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA

CASTELNUOVO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 986/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Il Fallimento (OMISSIS) S.r.l. ricorre per quattro articolati motivi, nei confronti del Comune di Chivasso, contro la sentenza del 22 maggio 2018 con cui la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per nullità spiegata dalla società poi fallita avverso un lodo arbitrale reso tra le parti, che, per quanto rileva, in riferimento ad una concessione avente ad oggetto l’affidamento della gestione di un centro sportivo, respinte le domande della stessa società (tra l’altro una domanda di ingiustificato arricchimento), aveva accolto in parte quelle del Comune, accertando la sussistenza e gravità di taluni inadempimenti da esso contestati, tale da rendere legittimo l’esercizio da parte sua della clausola risolutiva espressa nonchè la revoca della concessione da parte del Comune concedente.

2. – Il Comune di Chivasso resiste con controricorso, il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. – Il primo motivo è rubricato “sull’inammissibilità dell’impugnazione del lodo”, e poi, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 136 del 2006, art. 241, comma 15 bis”. Si sostiene, in breve, che la Corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare inammissibile l’impugnazione per nullità, pur riconoscendo che il lodo era impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, ai sensi della disposizione richiamata in rubrica.

Il secondo motivo è rubricato “sull’inammissibilità dell’impugnazione del lodo per violazione degli artt. 827 e ss. c.p.c. per mancata indicazione delle ipotesi tassative di nullità di cui all’art. 829 c.p.c. relativamente al primo motivo di ricorso”, e poi, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1455 e 1456 c.c., all’art. 8 concessione e dei principi giuridici in tema di sinallagma contrattuale ed in relazione al D.Lgs. n. 136 del 2006, art. 241, comma 15 bis”.

Il terzo motivo è rubricato “sull’inammissibilità dell’impugnazione del lodo per violazione dell’art. 829 c.p.c. per mancata indicazione delle ipotesi tassative di nullità relativamente al secondo motivo di ricorso”, e poi, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2041 c.c., all’art. 3 convenzione, all’art. 1458 c.c. e dagli artt. 1362,1366,1371 c.c. ed al D.Lgs. n. 136 del 2006, art. 241, comma 15 bis”.

Il quarto motivo è rubricato “sull’inammissibilità dell’impugnazione del lodo per violazione dell’art. 829 c.p.c. per mancata indicazione delle ipotesi tassative di nullità relativamente al terzo motivo di ricorso”, e poi, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 136 del 2006, art. 241, comma 15 bis”.

Ritenuto che:

4. – Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1.

I motivi, attesa la loro formulazione, possono essere simultaneamente

esaminati.

Nella sostanza, difatti, essi convergono tutti al medesimo scopo, quello della dimostrazione che il giudice di merito, pur essendosi avveduto che il lodo era impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, ai sensi del D.Lgs. n. 136 del 2006, art. 241, comma 15 bis, avrebbe poi omesso di scrutinare la fondatezza delle censure spiegate sia in punto di sussistenza dell’inadempimento riscontrato dal collegio arbitrale, con conseguente ritenuta legittimità della revoca della concessione, sia in punto di rigetto della domanda di ingiustificato arricchimento, sia, infine, e per conseguenza, in punto di omesso esame della domanda risarcitoria della società in quanto assorbita.

Così facendo, il Fallimento ricorrente ha mostrato di ritenere che l’impugnazione del lodo arbitrale, ove essa sia consentita anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, abbia natura di impugnazione di pieno merito, il che, però, non è, come la Corte territoriale ha del resto convenientemente chiarito, conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, tanto da rendere il ricorso per cassazione inammissibile, come si premetteva, ai sensi del citato art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Con riguardo ai limiti posti all’impugnabilità del lodo arbitrale per violazione della legge sostanziale, è invero cosa nota che la devoluzione in via esclusiva agli arbitri della ricostruzione in fatto del rapporto controverso, in linea con la scelta operata dalle parti con il compromesso, si riverbera sui confini entro i quali può essere denunciata la nullità del lodo per inosservanza di regole di diritto in indicando, cd inoltre sui requisiti occorrenti per conferire specificità alla relativa deduzione. Tale denuncia, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, e quindi circoscritta in ambito analogo a quello della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 (v. Cass. n. 5370/1997), postula l’allegazione dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a quegli elementi, di modo che non è proponibile in collegamento con la deduzione di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo in esito al riscontro dell’omesso od inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo (Cass. n. 5633/1999, ed in seguito tra le altre Cass. 16 aprile 2004, n. 7259; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21802; Cass. 12 settembre 2014, n. 19324; Cass. 12 novembre 2018, n. 28997).

Nel caso di specie, in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto, quanto al primo motivo, concernente l’addebito di inadempimento alla società, che essa, “senza espressamente enunciare la regola di diritto che assume violata”, aveva in realtà censurato in fatto la valutazione di merito operata dagli arbitri, sicchè l’impugnante non faceva altro che invocare una rivalutazione del contenuto delle obbligazioni contrattuali previsti a suo carico. Egualmente la società aveva lamentato, sempre nel merito, che gli arbitri avessero trascurato e sottovalutato asserite inadempienze del Comune. Quanto al secondo motivo, poi, l’Appello torinese ha parimenti sottolineato che l’impugnante, nel dolersi del rigetto della domanda di ingiustificato arricchimento, aveva contestato l’interpretazione data dagli arbitri all’art. 3 del contratto concluso tra le parti, deducendo una violazione dell’art. 1458 c.c. e dei canoni ermeneutici, ma sempre in dipendenza della mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione sullo squilibrio sinallagma rico derivato dall’anticipata revoca della concessione, aggiungendo che al riguardo il Collegio arbitrale aveva dato una motivazione ampia e approfondita, come tale non sindacabile.

Di qui il giudice d’appello ha ovviamente ritenuto assorbita la domanda risarcitoria spiegata dalla società poi fallita, sul rilievo che essa aveva come presupposto l’accertamento, invece escluso, della illegittimità della revoca anticipata della concessione.

Ora, i motivi proposti neppure scalfiscono la motivazione addotta dal giudice di merito, risolvendosi nella riproposizione delle censure già spiegate in sede di impugnazione per nullità. Ed anzi, laddove il Fallimento ricorrente ha cercato di attaccare la motivazione della sentenza impugnata, non ha fatto altro, in realtà, che confermarne l’esattezza, palesando la natura di pieno merito della propria impugnazione, la quale, ad esempio, emerge in tutta la sua evidenza nel passaggio che segue: “L’atto di impugnazione, con il primo motivo, è stata dedotta la violazione dell’art. 1455 e 1456 c.c…. in quanto si è sostenuto che l’inadempimento contestato e, quale effettivamente poi accertato in sede arbitrale…, non si può configurare come un grave inadempimento idoneo a determinare la dissoluzione della concessione, in base agli artt. 1455 e 1456 c.c., nonchè in base alla clausola risolutiva di cui all’art. 8 della concessione, che, pertanto, non avrebbe potuto essere applicata, considerato che le penali (ridotte) che il lodo ha ritenuto di irrogare si collocherebbero al di sotto della soglia del 30% del corrispettivo a carico del concessionario e quindi non farebbero scattare la risoluzione automatica del rapporto”. Nel che è evidente che la censura non pone in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle norme in discorso, ma la concreta applicazione fattane dagli arbitri nel ritenere, a seguito della valutazione di merito loro riservata, che gli inadempimenti posti in essere dalla società fossero effettivamente gravi secondo la lettura data del contratto.

Per quanto riguarda la questione dell’indennizzo ex art. 2041 c.c., il giudizio non muta. Come si accennava, la Corte d’appello ha osservato che la società aveva chiesto la riforma del lodo, prospettando le ragioni della ritenuta non condivisibilità della decisione nel merito, contestando l’interpretazione del collegio arbitrale dell’art. 3 del contratto, richiamando, questa volta, formalmente, una supposta violazione dell’art. 1458 c.c. e dei canoni interpretativi dei contratti, ma sempre in dipendenza della mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione sullo squilibrio sinallagmatico derivato dall’anticipata revoca della concessione, alla luce degli interessi delle parti e della mancata considerazione dell’indebita locupletazione da parte dell’amministrazione, in particolare per l’asserita mancata valutazione, da parte del lodo, del contenuto della delibera del Consiglio comunale numero 29 del 28 marzo 2011, che aveva stanziato in sede di approvazione del bilancio 2011 una elevata somma da corrispondere alla concessionaria. La motivazione del lodo sul punto era, secondo la Corte d’appello, invece presente, ampia ed approfondita, come la sentenza evidenzia a pagina 10.

Al che il Fallimento ricorrente replica assumendo essere evidente che la risoluzione anticipata del rapporto da parte del Comune avrebbe determinato un ingiustificato arricchimento in capo al Comune, divenuto proprietario, vent’anni prima del previsto, delle opere realizzate dalla Società, sicchè l’interpretazione fornita dal lodo impugnato si sarebbe posta in aperto contrasto con i principi generali in tema di interpretazione del contratto, ed in particolare del principio di interpretazione secondo buona fede e di quello dell’equo contemperamento: anche qui, l’intento di ribaltare la decisione di merito adottata dal Collegio, attraverso un richiamo del tutto generico ai menzionati parametri normativi, è palese.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, di cui Euro 100 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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