Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18525 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P. in qualità di erede di C.S. (deceduto),

elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDRO 52 presso lo studio

dell’avvocato LANDI MASSIMO, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– resistenti con atto di costit –

avverso la sentenza n. 87/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 28/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il resistente l’Avvocato GENTILI PAOLO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. C.P. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che ha depositato atto di costituzione) e avverso la sentenza con la quale -in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento che elevava, ai fini dell’imposta di registro, il valore del terreno, (e delle sovrastanti costruzioni) , trasferito al suddetto C. in virtù di sentenza costitutiva del Tribunale di Roma – la C.T.R. Lazio confermava la decisione di primo grado (che aveva rigettato il ricorso del contribuente), rilevando che correttamente l’Ufficio aveva determinato il valore dell’immobile con riguardo al momento del trasferimento realizzatosi con la pronuncia giudiziale, quindi considerando anche le costruzioni insistenti sul terreno (che il contribuente asseriva di aver realizzato a proprie spese dopo la sottoscrizione della scrittura privata).

2. Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 24, la ricorrente rileva che il contenuto e la natura dell’atto da registrare devono ricavarsi dalle relative clausole e quindi, nella specie, dalla sentenza costitutiva, con la conseguenza che, se vero che il trasferimento era avvenuto nel 1990 (epoca in cui sul terreno insistevano i fabbricati) è anche vero che la sentenza costitutiva faceva riferimento al terreno oggetto del contratto preliminare (all’epoca non edificato) e perciò l’imposta di registro doveva essere commisurata al solo valore del terreno, non applicandosi nella specie il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 24 (che in difetto di espressa clausola di esclusione o di prova di appartenenza ad un terzo reputa comprese nei trasferimenti immobiliari le accessioni), in quanto norma testualmente riferita ai contratti di compravendita e non invocabile in trasferimenti immobiliari che abbiano titolo in una sentenza esecutiva.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 52, comma 4, la ricorrente sostiene che, pur avendo la sentenza in questione prodotto i suoi effetti traslativi solo nel 1990, essa ha trasferito l’immobile alle condizioni del preliminare, perciò ha trasferito un terreno assoggettabile alla valutazione automatica propria dei terreni agricoli e non alla valutazione da effettuarsi sulla base del valore venale propria dei terreni edificatori.

Le censure esposte nei due motivi che precedono (da esaminare congiuntamente perchè logicamente connesse) sono infondate.

Giova, innanzitutto evidenziare che, ai sensi dell’art. 20 d.p.e.

131/1986, l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, e pertanto nella specie occorre aver riguardo alla particolare natura ed agli effetti peculiari della sentenza costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., la quale, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre cass. n. 690 del 2006), produce dal momento del passaggio in giudicato gli effetti del negozio comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà.

Non v’è pertanto motivo alcuno per escludere l’applicabilità, nella specie, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 24, comma 1, secondo il quale, nei trasferimenti immobiliari (e tale è, a differenza di quante ritenuto dal ricorrente, sia quello che avviene a seguito di contratto di compravendita sia quello che si realizza attraverso una sentenza costitutiva con effetto traslativo) le accessioni si presumono trasferite all’acquirente dell’immobile, a meno che non siano espressamente escluse all’atto della vendita o si provi, con atto di data certa, che appartengono ad terzo o sono state cedute all’acquirente da un terzo (circostanze, queste, non ravvisabili nella specie). Quanto al rilievo che il terreno al momento del contratto preliminare non era edificabile, è sufficiente evidenziare che, se vero che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, con la conseguenza che la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche (v. tra le altre cass. n 937 del 2010), è anche vero che l’identità del bene non viene esclusa dal diverso regime giuridico cui esso viene assoggettato nel tempo, dovendo, con riguardo al suddetto regime giuridico, aversi riguardo al momento della stipulazione del contratto definitivo e, quindi, al momento della pronuncia costitutiva che tiene luogo del contratto non concluso.

In proposito, è appena il caso di rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, poichè nel contratto preliminare di compravendita L’effetto traslativo è determinato soltanto dal contratto definitivo (e, nel caso di esecuzione forzata dell’obbligo di concludere il contratto, dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva), non può che farsi, riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo anche relativamente al regime giuridico dei beni oggetto del trasferimento e con riguardo alla ricorrenza dei requisiti di forma e sostanza necessari ai fini della validità del contratto (v. cass. n. 4522 del 2008, pronunciata con riferimento all’intervenuto divieto di lottizzazione nel tempo Intercorso tra il preliminare di compravendita di terreni, e la sentenza costitutiva).

Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la ricorrente rileva che l’Ufficio non aveva provato in alcun modo i maggiori valori accertati, non avendo neppure prodotto in giudizio la stima dell’UTE. La censura è inammissibile.

Dalla sentenza impugnata risulta che nel ricorso introduttivo il contribuente aveva impugnato l’avviso deducendo che le costruzioni erano state realizzate dopo la sottoscrizione della scrittura privata del 25-07-68, a sue cure e spese, mentre oggetto del trasferimento era da ritenersi unicamente il terreno e che (solo) in appello il ricorrente aveva dedotto (anche) il difetto di prova della valutazione; risulta altresì che i giudici d’appello hanno ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio prendendo in considerazione esclusivamente la questione del momento (della sentenza costitutiva o del preliminare) al quale fare riferimento per determinare il valore dell’immobile. Il ricorrente avrebbe dovuto pertanto specificare quando la questione della mancanza di prova del quantum della pretesa era stata proposta ed eventualmente censurare la sentenza impugnata per omessa pronuncia, essendo appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di. secondo grado, che non può essere fatto valere dal ricorrente con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007).

Col quarto motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente rileva che l’affermazione secondo la quale il valore dell’immobile doveva essere considerato con riguardo al momento del trasferimento e non a quello della scrittura privata in realtà risultava fondata su di una ratio decidendi estranea alle questioni proposte in appello, dove non si era contestato il fatto che il trasferimento immobiliare fosse intervenuto nel 1990, ma si era posta la diversa questione della possibilità (o meno; che la sentenza costitutiva fosse assoggettala a imposta di registro tenendo conto di vicende svoltesi nel corso del processo, neppure menzionate dalla sentenza medesima, ed evidenzia che su tale questione, come sull’altra censura proposta in via subordinata (e relativa al mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere di provare i maggiori valori accertati) i giudici d’appello non avevano speso neppure una parola.

La censura è inammissibile.

Giova innanzitutto evidenziare che, affermando che il valore dell’immobile deve essere considerato al momento del trasferimento (quindi, è da presumere, nelle condizioni in cui esso si trova in tale momento, anche con riguardo al relativo regime giuridico e/o all’esistenza di pertinenze o accessioni), i giudici d’appello hanno affrontato e deciso anche la questione relativa alla possibilità (o meno) di tenere conto, ai fini dell’imposta di registro relativa alla sentenza costitutiva, anche di fatti intervenuti nel corso del processo, e pertanto una motivazione, ancorchè concisa, è stata espressa sulla questione.

Peraltro, poichè in ogni caso il ricorrente non contesta l’accertamento dei fatti, bensì le conseguenze che da essi devono trarsi, l’eventuale erroneità della suddetta affermazione sotto il profilo giuridico, ovvero la sua insufficienza non possono essere censurate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, trattandosi di vizio ipotizzabile solo con riguardo all’accertamento in fatto operato dai giudici d’appello e non alla motivazione in diritto della sentenza.

In relazione alla dedotta mancata motivazione circa la censura (subordinata) asseritamente proposta nell’atto d’appello con riguardo al mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere di provare i maggiori valori accertati (in relazione alla quale il ricorrente ha già censurato la sentenza impugnata per violazione di legge nel motivo che precede), occorre rilevare che, se vero che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha avuto modo di affermare che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando La decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (v. cass. n. 10636 del 2007), è anche vero, alla luce della giurisprudenza citata in relazione al precedente terzo motivo, alla quale si rimanda, che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che non può essere fatto valere dal ricorrente con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di Legittimità che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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