Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18524 del 21/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 21/09/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 21/09/2016), n.18524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per regolamento di competenza 18338-2015 proposto da:

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI

24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

MASSIMO 33, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BENINCASA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO SICARI

giusta procura in calce alla scrittura difensiva;

– resistente –

contro

(OMISSIS) IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO, 41, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO MORGANTI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine della memoria difensiva;

– resistente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

sulle conclusioni scritte del P.G. in persona del dott. GIANFRANCO

SERVELLO che, visti gli artt. 42, 47 c.p.c., chiede che la Corte di

Cassazione, dichiari inammissibile il ricorso;

avverso il provvedimento n. R.G. 41487/2013 del TRIBUNALE di ROMA,

depositato il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Nel 2013 (OMISSIS) in liquidazione, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma P.G. ed esponeva che: nel 2002 era stato costituito il partito politico nazionale (OMISSIS), del quale era stato nominato tesoriere federale L.L., marito della convenuta; all’atto della sua costituzione, la predetta associazione aveva acceso presso l’agenzia BNL Roma Senato il conto corrente n. (OMISSIS), sul quale confluivano i rimborsi pubblici e le risorse economiche del partito, con firma disgiunta oltre che del presidente anche del L., quale tesoriere ininterrottamente dal (OMISSIS); nell’esecuzione dell’incarico, il L. aveva indebitamente sottratto ingenti somme di denaro appartenenti alla predetta associazione ed era stato rinviato a giudizio unitamente alla moglie, la quale, in sede penale, aveva fatto ricorso al cd. patteggiamento ed alla stessa era stata, quindi, applicata la pena di anni uno di reclusione; in particolare, la P. aveva costituito diverse società al fine di farvi confluire le risorse distratte alla predetta associazione, di cui suo marito aveva la gestione.

Tanto premesso, l’attrice chiedeva, in via principale, la condanna della P. al risarcimento dei danni, previa declaratoria di sua responsabilità ex artt. 2043 e 2059 c.c., in via subordinata, la condanna della convenuta alla restituzione della somma che assumeva essere stata sottratta dal predetto conto corrente e, in via ulteriormente subordinata, la condanna della medesima convenuta ex art. 2041 c.c..

La P. sì costituiva e, per quanto rileva in questa sede, chiedeva ed otteneva di chiamare in causa il L. e il Ministero dell’Economia e delle Finanze; chiedeva, altresì, il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti e, in subordine, la riduzione dell’ammontare del pregiudizio lamentato dall’attrice in ragione delle eccezioni di prescrizione ed ex art. 1227 c.c..

I chiamati in causa si costituivano spiegando le loro difese; in particolare il L., per quanto rileva in questa sede, chiedeva, tra l’altro, la sospensione del giudizio ex art. 75 c.p.p., comma 1, n. 3, nonchè ex art. 295 c.p.c., in relazione al giudizio pendente davanti alla Corte dei Conti ovvero al giudizio pendente dinanzi al Tribunale penale di Roma e, comunque, il rigetto della domanda.

Come rappresentato dal ricorrente nel ricorso all’esame, con ordinanza del 18 maggio 2015, le Sezioni Unite di questa Corte dichiaravano il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti sull’azione di responsabilità per danno erariale promossa dal P.M. contabile nei confronti del L., con conseguente superamento delle relative questioni.

Il Tribunale di Roma, con ordinanza depositata in data 10 luglio 2015, revocava l’autorizzazione alla chiamata in causa di L.L. e del MEF, assegnava alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 e rinviava per l’ulteriore trattazione, rilevando, tra l’altro, che la revoca dell’autorizzazione alla chiamata in causa, rendeva ultronea la valutazione delle istanze di sospensione del giudizio proposte ex art. 75 c.p.p. ed ex art. 295 c.p.c..

Avverso tale provvedimento il L. ha proposto ricorso chiedendo, ai sensi degli artt. 42, 47 e 48 c.p.c., la sospensione del giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 75 c.p.p., ovvero ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

P.G. e (OMISSIS) in liquidazione hanno depositato distinte memorie difensive ex art. 47 c.p.c., la prima dichiarando di aderire al ricorso proposto dal L. e concludendo per il suo integrale accoglimento, e la seconda chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso o il rigetto dello stesso.

La predetta associazione e il L. hanno pure depositato distinte memorie ex art. 380 ter c.p.c..

L’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva nella specie.

Il P.M. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

2. Il ricorrente censura il provvedimento impugnato sostenendo il difetto di un’autorizzazione in senso proprio nel caso di chiamata del terzo ex art. 106 c.p.c. e la mancanza di ogni discrezionalità, in capo al G.I., nel disporre lo spostamento della prima udienza ex art. 269 c.p.c.; pertanto, ad avviso del L., la revoca del provvedimento di fissazione della predetta udienza sarebbe “palesemente illegittima con la conseguenza che la mancata pronuncia in ordine alle eccezioni proposte ex art. 75 c.p.p. e art. 295 c.p.c.” dovrebbe “ritenersi illegittima coinvolgendo nella illegittimità l’intero provvedimento sottoposto all’esame” di questa Corte. Sostiene in particolare il ricorrente che la costituzione del chiamato in causa implicherebbe di diritto l’estensione dell’azione proposta dalla parte attrice al chiamato e che l’effetto della sospensione di diritto ex art. 75 c.p.p. e/o della pronuncia ex art. 295 c.p.c., conseguirebbe al rapporto tra la costituzione di parte civile di (OMISSIS) in liquidazione nel processo penale a carico del L., ora in grado di appello, e il successivo esercizio dell’azione risarcitoria nel processo civile conseguente all’estensione di tale azione ex art. 106 c.p.c., nei confronti del chiamato, evidenziando che, a suo avviso, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., comma 3, a differenza di quanto previsto dall’art. 295 c.p.c., il processo risulterebbe sospeso di diritto, senza necessità di pronuncia del Giudice. Conseguentemente – secondo il ricorrente – la revoca dell’autorizzazione alla chiamata in causa sarebbe illegittima, gli effetti di tale revoca dovrebbero intendersi caducati e, quindi, permarrebbe il rapporto processuale tra l’attrice e il chiamato in causa, con conseguente applicazione dell’art. 75 c.p.p. e dell’art. 295 c.p.c..

Il ricorrente ritiene che, nel delineato contesto, sarebbe configurabile il rimedio di cui all’art. 42 c.p.c. e, nel caso in cui questa Corte dovesse ritenere applicabile alla fattispecie in esame l’interpretazione letterale di cui all’art. 42 c.p.c., secondo cui il procedimento previsto dalla norma appena indicata si applicherebbe soltanto all’ipotesi di provvedimento positivo di sospensione, il L. prospetta questione di legittimità costituzionale del predetto articolo nella parte in cui non prevede l’esperibilità del rimedio in parola nell’ipotesi di sospensione di uffici di cui all’art. 75 c.p.p., comma 3, qualora il giudice non ne prenda atto, e nell’ipotesi di diniego della sospensione ex art. 295 c.p.c..

3. Osserva la Corte che l’ordinanza impugnata non è provvedimento sulla competenza nè è un provvedimento positivo (e, a ben considerare, neppure negativo) di sospensione ex art. 75 c.p.c. o ex art. 295 c.p.c., essendosi il G.I. limitato – come già sopra evidenziato – a revocare l’autorizzazione alla chiamata in causa del L. e del MEP, ad assegnare alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 e a rinviare la causa per l’ulteriore trattazione, espressamente ritenendo (v. ordinanza impugnata, p. 5) che la revoca della detta autorizzazione “rende ultronea la valutazione delle istanze di sospensione del presente giudizio ex art. 75 c.p.c. e di sospensione ex art. 295 c.p.c.”, sulle quali, quindi, non si è in alcun modo espresso.

4. Ne consegue che il proposto regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., è inammissibile e, pertanto, la prospettata questione di costituzionalità risulta irrilevante ai fini del decidere; inoltre, non è necessario l’esame degli atti processuali penali, sicchè va disattesa l’istanza di differimento dell’adunanza della Camera di consiglio già fissata, formulata dal ricorrente con la memoria datata 9 maggio 2016.

5. Resta assorbito l’esame di ogni altra questione pure prospettata dalle parti.

6. Alla luce di quanto sopra evidenziato, va, quindi, dichiarata l’inammissibilità del proposto ricorso per regolamento di competenza.

7. Le spese del presente procedimento vanno compensate tra il ricorrente e la P., avendo quest’ultima aderito alla posizione del L.; le medesime spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra il ricorrente e (OMISSIS) in liquidazione, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.

8. Non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda di condanna del ricorrente ex art. 96 c.p.c., formulata da (OMISSIS) in liquidazione nella memoria ex art. 380 ter c.p.c..

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del presente procedimento tra il ricorrente e P.G.; condanna il ricorrente al pagamento, in favore di (OMISSIS) in liquidazione, delle spese del presente procedimento che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

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