Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18522 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.26/07/2017),  n. 18522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11670-2012 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANZARO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI GLADIOLI 18, presso lo studio dell’avvocato MARTA CRISTINA LAI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO GRANATO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.R., C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI CONCIATORI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ITRI,

rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE PRESTIA, MARIA IRENE

ROTELLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il

25/11/2011 R.G.N. 2329/09;

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 25 novembre 2011 la Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza del Tribunale di Catanzaro che aveva rigettato la domanda proposta da P.R. nei confronti del’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, diretta ad ottenere il riconoscimento a percepire l’indennità di coordinamento prevista dall’art. 10 del CCNL 1998/2001 per tutti coloro che, appartenuti alla categoria D, ovvero, come esso ricorrente alla categoria C, avessero espletato effettive funzioni di coordinamento alla data del 31 agosto 2001;

che la Corte d’Appello affermava che per il personale proveniente dalla categoria C si rendeva necessario l’intervento di una valutazione aziendale, nonchè il riconoscimento dell’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento, ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5 del CCNL e nella specie il P. aveva fornito adeguata dimostrazione dello svolgimento della funzione di coordinamento preso il polo sanitario territoriale di Taverna, ricevendo incarico formale dal dirigente sanitario del polo sanitario, in assenza di personale appartenente alla categoria D;

che per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Azienda sanitaria prospettando tre motivo di ricorso;

che resiste con controricorso P.R.;

che l’Azienda sanitaria ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112,346,434 e 437 c.p.c. Nullità della sentenza per ultrapetizione (art. 360 c.p.c., n. 3), atteso che, mentre la sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda per la mancanza di un atto formale di conferimento, nonchè dell’inesistenza di un diritto all’erogazione di un indennità per il presunto obbligo di conformare il trattamento economico del ricorrente a quello di altri dipendenti che si sarebbero trovati nella stessa situazione, il lavoratore incentrava l’appello solo sulla assorbente esaustività delle mansioni asseritamente di fatto svolte, esclusa la richiesta di vedere riconosciuta validità ad un preteso atto formale, con la conseguenza che la Corte d’Appello aveva deciso ultra petita la questione della sussistenza dell’atto formale, non devolutagli;

che il motivo è inammissibile, atteso che in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, per avere pronunciato su di una domanda non proposta, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso introduttivo del giudizio, nella specie la sentenza di primo grado e il ricorso in appello, purchè ritualmente indicati ed allegati nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (Cass., n. 8008 del 2014);

che tale onere non risulta ottemperato non essendo a ciò sufficiente la mera indicazione del deposito del proprio fascicolo di parte di primo e di secondo grado;

che con il secondo motivo di ricorso sono dedotte plurime censure: violazione e falsa applicazione dell’art. 10, commi 3 e 7 del CCNL 1998-2001 Comparto sanità parte normativa; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 409 e 414 c.p.c., artt. 420-bis e 434 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione;

che assume la ricorrente che non si erano verificate le condizioni ritenute sussistenti dalla Corte d’Appello (effettivo svolgimento attività di coordinamento rispetto alla quale era mancata la prova, sussistenza dell’ incarico formale, benchè tale questione non fosse stata riproposta con il ricorso in appello, conferito dall’organismo di vertice aziendale che avrebbe dovuto esprimersi mediante atto deliberativo);

che erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto che la ravvisata necessità dell’incarico da parte del dirigente responsabile del polo sanitario e la mancanza di personale nel polo sanitario, di categoria D, potessero costituire il provvedimento formale;

che il motivo non è fondato;

che il contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto sanità, 2^ biennio economico 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie prevedeva – ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D;

che come affermato da questa Corte (Cass., sentenze n. 10009 del 2010, n. 18679 del 2015) in tema di personale sanitario, l’art. 10, comma 3 c.c.n.l. comparto Sanità biennio economico 2000-2001, stipulato il 20 settembre 2001, che prevede l’indennità per l’incarico di coordinamento, si interpreta nel senso che, ai fini del menzionato trattamento economico, si richiede che vi sia traccia documentale del conferimento o la sua verifica con atto formale, che esso sia stato assegnato da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente, e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè il coordinamento del personale, restando esclusa la possibilità per l’Amministrazione di subordinare il suddetto diritto a proprie ulteriori determinazioni di natura discrezionale;

che nella specie, la Corte d’Appello ha ritenuto integrate le condizioni previste dall’art. 10 esaminata la documentazione allegata dal P. (note 4 settembre 1997, 9 giugno 1998, atto di ricognizione del personale del 20 gennaio 1999 del dirigente del polo sanitario di taverna, nonchè la nota 18 settembre 1998, con la quale il dirigente del polo di Taverna incaricava il P. di “organizzare e coordinare tutto il personale paramedico che opera negli ambulatori”);

che lo svolgimento dell’attività di coordinamento era documentata dal 1997 e protrattasi ininterrottamente fino al 31 agosto 2001 per come si poteva desumere dalla nota del 19 dicembre 2001, e che nel polo sanitario in questione era assente personale appartenente alla categoria D che avesse svolto funzioni di coordinamento alla data del 31 agosto 2001;

che afferma la Corte d’Appello, tenuto conto che nelle comunicazioni trasmesse all’Azienda sanitaria di Catanzaro, il P. era stato indicato come “coordinatore del personale infermieristico” e che in ordine a ciò non vi erano rilievi, si doveva ritenere che l’Azienda avesse avallato e confermato l’iniziativa del dirigente del polo sanitario di Taverna e l’attribuzione al P. dell’incarico di coordinamento;

che la suddetta intervenuta comunicazione e l’assenza di rilievi, che costituiscono punto centrale del ragionamento logico giuridico della Corte d’Appello, in ordine alla conseguente sussistenza del carattere formale dell’incarico conferito dal responsabile sanitario del polo sanitario di Taverna, non sono specificamente contestati dalla ricorrente, che si limita a invocare la necessità di una determinazione dell’organismo di vertice aziendale, senza ulteriori precisazioni;

che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (Cass., sentenza n. 11511 del 2014);

che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, come, attraverso il motivo in esame, sollecitato dalla ricorrente; nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse di ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto decisivo (Cass., n. 3161 del 2002);

che con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 10, commi 3 e 8 del CCNL 1998-2001 Comparto sanità parte normativa; che assume il ricorrente che l’applicazione dell’indennità doveva avvenire secondo lo schema previsto dal CCNL, ovvero previa concertazione con i soggetti sindacali indicati nell’art. 9, comma 2, del CCNL del 7 aprile 1999;

che il motivo è inammissibile in quanto, la deduzione di tale questione non risulta dalla sentenza di appello, nè vi è in sentenza una statuizione sull’interpretazione dell’art. 10, comma 8, e la ricorrente non ne prospetta la proposizione nel giudizio in appello;

che qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., n. 23675 del 2013);

che il ricorso deve essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e vengono regolate come da dispositivo;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15 per cento e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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