Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18522 del 13/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 18522 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: OLIVIERI STEFANO

agraria

ORDINANZA

affittuario
coltivatore

sul ricorso 24243-2015 proposto da:

diretto vendita

FOGLIO ARMANDO, elettivamente domiciliato in

ROMA,

della
complessiva

VIA LUCIO SESTIO 12, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCA LALLI, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati CLAUDIO CONSOLO, GABRIELE

unità
poderale
(comprensiva
del fondo
affittato) –

PERANO giusta procura speciale a margine del ricorso;

cd.
prelazione

– ricorrente –

parziale limiti:

contro
2018

BRIGNONE ADOLFO, BRIGNONE BRUNO, BRIGNONE ERMANNO,

ratio legis

contemperamento
interesse

165

BRIGNONE SERGIO, FERRERO FRANCO, elettivamente

affittuario
alla sola

domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso
lo studio dell’avvocato MICHELE TAMPONI, che li

porzione ed
interesse
proprietario

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO

a conseguire
il maggior

1

Data pubblicazione: 13/07/2018

valore di

COLLIDA’, LUIGI MARIA GARBAGNATI giusta procura

prezzo
attribuito

speciale a margine del ricorso;

all’intero
compendio

– controricorrenti –

avverso

la

sentenza

n.

1066/2015

della

D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/06/2015;

CORTER.G.N. 24243/2015

cron.,N52-

consiglio

del

STEFANO OLIVIERI;

19/01/2018

dal

Consigliere

Dott.cd.
‘ CC

19/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera diRep.

Fatti di causa
Il Tribunale di Cuneo con sentenza 4.12.2012 n. 694 ha rigettato la
domanda di riscatto agrario proposta, ai sensi dell’art. 8, comma 1,
della legge n. 590/1965, da Armando Foglio ed avente ad oggetto un
fondo in Comune di Dronero ricompreso in un più ampio compendio
immobiliare offerto in vendita ai promissari acquirenti Eraldo Ruatta e

Brignone, Bruno Brignone, Ermanno Brignone e Sergio Brignone,
ritenendo la non scorporabilità di detto fondo, condotto in affitto, dalla
residua unità del compendio se non a discapito del suo valore, venendo
a crearsi una interclusione con conseguente necessità di costituzione di
una servitù di passaggio e alterazione della complementarietà
economica delle particelle tale da impedire la efficiente conduzione
agricola della parte residua.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza 3.6.2015 n. 1066, ha
rigettato l’appello proposto dal Foglia.
Il Giudice di merito, premesso che i motivi del gravame principale
rispondevano ai requisiti di cui all’art. 342 c.p.c., ha ritenuto che
l’appellante non avesse censurato la “rado decidendi” della sentenza di
prime cure -che aveva rigettato la eccezione di nullità della sentenza di
primo grado, per violazione dei termini di difesa, avendo l’ausiliario,
nominato in primo grado, depositato la relazione peritale durante la
sospensione dei termini nel periodo feriale- non avendo dedotto in
ordine alla rilevata omessa indicazione del pregiudizio concreto subito al
diritto di difesa; ha inoltre rilevato come il Tribunale avesse fatto
corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di
legittimità che subordinavano il diritto di prelazione agraria alla
frazionabilità in senso economico e giuridico del fondo dal più ampio
compendio poderale, accertamento non reso superfluo dalla
comunicazione della “denuntiatio” con allegato il preliminare di vendita
3
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Co est.
Stefan& 01ivieri

Giuliana Belliardo dai prominenti alienanti Ferrero Franco, Adolfo

(condizionato al mancato esercizio del diritto di prelazione) cui non
poteva attribuirsi efficacia negoziale di implicito riconoscimento
stragiudiziale degli indicati requisiti di frazionabilità. Nel merito
condivideva le conclusioni raggiunte dal primo giudice con il supporto
delle risultanze della c.t.u., ritenendo ostativo alla prelazione parziale il
carattere unitario del compendio poderale che avrebbe subito, per la

dalla necessaria costituzione di servitù di passo. La Corte territoriale
confermava inoltre la liquidazione delle spese di lite relative al primo
grado, non ravvisando “gravi ed eccezionali ragioni” per la
compensazione, condannando inoltre l’appellante alle ulteriori spese del
grado.
La sentenza di appello notificata in data 16.7.2015 è stata impugnata
per cassazione con quattro motivi da Armando Foglia.
Hanno resistito con controricorso gli intimati
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il ricorrente censura la statuizione della sentenza
di appello che ha dichiarato inammissibile e comunque infondato il
motivo di gravame principale con il quale si deduceva la nullità della
c.t.u. svolta in primo grado e dei conseguenti atti del processo, per
violazione degli artt. 195, comma 3, c.p.c. e dell’art. 1 legge 7.10.1969
n. 742.
Il motivo, che reitera gli stessi argomenti già svolti nell’appello
principale, deve ritenersi inammissibile e comunque infondato.
Premesso che risultano incontestati alla stregua degli atti
regolamentari i seguenti fatti processuali:
– alla udienza 3.5.2011, a seguito della ordinanza istruttoria in data
22.3.2011 del Giudice di primo grado ammissiva della c.t.u. con la
4
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Stefan

est.
livieri

parte residua, un notevole disvalore patrimoniale determinato anche

quale veniva nominato il dott. Alberto Imberti (cfr. ricorso pag.
9), il Giudice istruttore determinava il

“modus procedendi”

dell’ausiliario scandendo la sequenza prevista dall’art. 195 comma
3 c.p.c. (termine gg. 90 per la consegna della bozza di relazione
ai CC.TT.PP. ; termine di gg. 15 ai CC.TT.PP. per formulazione
osservazioni critiche; successivo termine di gg. 20 al CTU per il

l’ausiliario dopo aver svolto le indagini, iniziate il 18.5.2011, alle
quali avevano regolarmente partecipato anche i CC.TT.PP., e nel
corso delle quali aveva raccolto la relazione peritale presentata
dal CTP dell’attore in data 29.7.2011 (e non 31.7.2007, come
indicato per errore materiale nella sentenza di appello. La
relazione è riportata a pag. 22-23, in nota 6 e 7, ma anche alle
precedenti pagine 18-19 in nota 3 e 4), sottoponeva la bozza il
16.8.2011 ai consulenti di parte per i quali, pertanto, il termine di
gg. 15 per la formulazione delle osservazioni veniva a scadere il
31.8.2011, e quindi depositava l’elaborato peritale in Cancelleria
in data 14.9.2011
alla udienza immediatamente successiva 28.10.2011 veniva
proposta dal difensore dell’attore la eccezione di nullità della
c.t.u., con contestuale istanza di rinnovo
osserva il Collegio che la Corte d’appello di Torino ha dichiarato
inammissibile il motivo di gravame non essendo stata impugnata la
“ratio decidendi” della sentenza di prime grado che aveva negato rilievo
al dedotto vizio di nullità della relazione peritale di ufficio, per avere il
CTU svolto le operazioni e depositato l’elaborato finale durante il
periodo feriale, in quanto:
a) l’attore non aveva dedotto quale concreto pregiudizio al diritto di
difesa fosse stato effettivamente arrecato

5
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Stefan

est.
ivieri

deposito in Cancelleria della relazione peritale)

b) il CTP dell’attore aveva partecipato alle operazioni
c) alla udienza 28.10.2011, immediatamente successiva al deposito
della c.t.u., l’attore oltre ad eccepire la nullità e chiedere il rinnovo
della consulenza tecnica, aveva altresì formulato

“censure di

merito avverso le conclusioni del CTU”, come rimarcato dal
Giudice di prime cure (cfr. sentenza appello, in motivazione, pag.

verbale di udienza venne allegato apposito “foglio di deduzioni”
recanti puntuali osservazioni e contestazioni all’elaborato del CTU
(trascritte nel ricorso a pag. 17, in nota 2), reiterate anche nelle
memorie conclusionali in primo grado (cfr. ricorso pag. 18-19, in
nota 3 e 4), e dunque esercitando compiutamente la facoltà di
critica alle risultanze peritali.
Orbene la censura in esame si incentra a contestare la “ulteriore”
affermazione della Corte d’appello (da ritenere peraltro ultronea e
formulata solo

“ad abundantiam”

determinare la ratio decidendi:

e quindi non concorrente a

“…II tutto non senza considerare

come…”: cfr. sentenza appello, motiv. pag. 17) secondo cui l’appellante
non avrebbe indicato i “profili di possibile diverso esito accertativo da
parte del CTU, nell’ipotesi di differente iter procedimentale”, sostenendo
al riguardo il ricorrente che le nullità processuali non richiedono per
l’accertamento della invalidità dell’atto anche la deduzione del diverso
esito prognosticato in assenza dell’

“error in procedendo”,

non

avvedendosi, tuttavia, che tale enunciato motivazionale era correlato
alla precedente statuizione, questa sì integrante la “ratto decidendi” (e
che avrebbe pertanto dovuto essere specificamente investita dalla
denuncia del vizio di legittimità), secondo cui la “anticipazione” del
deposito della c.t.u. durante la sospensione dei termini processuali ex
lege n. 742/1969, non aveva arrecato alcun pregiudizio al diritto di
difesa del Foglio, atteso che -ed in questo si risolve la portata semantica
6
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Stefan

est.
l ivieri

15), ed ammesso dallo stesso ricorrente laddove riferisce che a

della proposizione della motivazione della sentenza contestata dal
ricorrente- tanto negli atti difensivi successivi (foglio di deduzioni
allegato a verbale di udienza 28.10.2011; comparsa conclusionale e
memoria di replica in primo grado), quanto nei motivi di gravame
formulati con l’atto di appello, le critiche rivolte alle risultanze peritali si
erano interamente esaurite nella reiterazione delle stesse questioni e
“relazione

preliminare di consulenza tecnica”, a firma del CTP dott.ssa Dardanelli,
depositata in primo grado come “nota autorizzata” in data 29.7.2011
(cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 17).
Ne segue:
a) che il motivo di ricorso per cassazione non investe la statuizione
di inammissibilità del motivo di appello per omessa impugnazione
della “ratio decidendi” della sentenza di prime cure consistente
nella assenza di un effettivo pregiudizio al diritto di difesa (che era
stato comunque assicurato nel prosieguo del processo), ma
soltanto l’ “ulteriore” argomento motivazionale svolto dalla Corte
d’appello -peraltro inteso in modo avulso dall’intero contesto della
motivazione- secondo cui l’accertamento della nullità processuale
richiedeva la dimostrazione che in assenza del vizio in procedendo
le conclusioni del CTU sarebbero state diverse
b) che pertanto il motivo di ricorso per cassazione risulta eccentrico
rispetto alla pronuncia di inammissibilità del gravame della Corte
di appello (cfr. in motivazione: “…l’appellante non muove censure
averso tale punto della motivazione

[ndr. la mancata

specificazione del profilo di compromissione del diritto di difesa],
limitandosi a ribadire le proprie considerazioni in merito al fatto
che l’oggettiva violazione dello schema procedimen tale di cui al
novellato art. 195 ultimo comma c.p.c. sia da sé sola idonea a
determinare la nullità della consulenza ….La mancata
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RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

C 5. est.
Stefan
vieri

degli stessi rilievi già compiutamente sviluppati nella

impugnazione della ratio decidendi rende il motivo di appello
inammissibile…..”),

e dunque va a sua volta incontro ad

inammissibilità in quanto le ragioni in diritto in esso svolte non
risultano conferenti e sono quindi inidonee ad inficiare la ragione
in diritto che sostiene la decisione impugnata (cfr. Corte cass.
Sez. L, Sentenza n. 7046 del 23/05/2001; id. Sez. 3, Sentenza n.

07/09/2017), non emergendo dalla esposizione del motivo in
esame alcuna critica specifica volta a dimostrare che con l’atto di
appello (laconicamente riassunto a pag. 11 del ricorso per
cassazione) fosse stato contestato l’assunto per cui il vizio
nell’attività processuale determina la nullità dell’atto solo nella
misura in cui determina una effettiva lesione del diritto di difesa,
essendo appena il caso di evidenziare come altro sia il pregiudizio
“thema

inteso come impedimento alla introduzione nel

decidendum” della critica alle risultanze peritali (che determina la
nullità processuale), ed altro invece sia il pregiudizio -per così dire
di “merito”- conseguente all’esito sfavorevole delle conclusioni
raggiunte dall’ausiliario in ordine alle questioni tecniche indagate
(che attiene alla fisiologia del processo ed esula dal sistema delle
nullità processuali, in quanto l’eventuale errore commesso dal
CTU nella applicazione dei criteri scientifici o tecnici o ancora
l’eventuale illogicità degli argomenti utilizzati, viene a riflettersi
sul grado di razionalità della motivazione della sentenza,
contestabile attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione).
Fermo che il primo motivo di ricorso risulta, pertanto, inammissibile
in quanto non investe la pronuncia in rito della Corte d’appello, il
Collegio rileva che, se pure il rilievo di inammissibilità fosse superabile
in quanto non fosse possibile l’esegesi della sentenza appena sopra
proposta, il motivo si dovrebbe ritenere infondato nella parte in cui
intende criticare – superando il rilievo di inammissibilità- il principio
8
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cost.
Stefano livieri

21490 del 07/11/2005; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20910 del

enunciato da entrambi i Giudici di merito secondo cui la sanzione della
nullità processuale consegue soltanto ad una effettiva violazione del
contraddittorio.
Prima di dar conto delle ragioni per cui detto principio è esatto, il
Collegio ritiene, però, di dover rimarcare che, a ben vedere, sia il primo
che il secondo giudice di merito, di fronte alla doglianza svolta dal

rendeva inammissibile quella doglianza e su cui qui ci si sofferma per
ragioni di nomofilachia, ai sensi del terzo comma dell’art. 363 cod. proc.
civ.
Il problema su cui i giudici di merito si sarebbero dovuti interrogare e
che avrebbe loro consentito di liberarsi della doglianza con un
ragionamento che ora in questa sede è possibile inerendo ad una
quaestio iuris che fa parte della questione sollevata con il motivo di
ricorso e non richiede accertamenti di fatto si poneva per le seguenti
ragioni.
I termini di cui al novellato art. 195 cod. proc. civ. vennero dati dal
giudice di primo grado e non dal c.t.u., nel senso che la loro
complessiva scansione venne fissata dall’istruttore.
Il giudice, provvedendo all’udienza del 3 maggio 2011, ebbe a fissare il
primo termine di cui al novellato art. 195 cod. proc. civ., quello per il
deposito della relazione, in giorni novanta dall’inizio delle operazioni e,
potendo tale inizio avvenire immediatamente da parte del c.t.u., già
detto termine veniva potenzialmente a scadere durante il periodo feriale
del 2011, che, com’è noto decorreva dal 1° agosto al 15 settembre
2011. Il detto termine scadeva, infatti, potenzialmente il 10 agosto del
2011. Ne segue che il secondo termine, quello di quindici giorni a sua
volta potenzialmente già correva e scadeva durante la sospensione
feriale e precisamente poteva scadere già il 16 agosto.

9
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cons. est.
StefarClivieri

Foglio, avrebbero dovuto interrogarsi su un problema preliminare, che

In ragione di ciò il preteso pregiudizio lamentato dal Foglia per la sua
difesa tecnica risultava di immediata percezione già all’udienza del 3
maggio 2011.
Ora, poiché lo svolgimento delle operazioni di consulenza tecnica da
parte degli ausiliari d’ufficio e di parte inerisce ad attività processuale,
non è dubbio che il giudice, allorquando fissa i termini di cui all’art. 195

può fissare termini che ricadano durante tale periodo a meno che le
parti non rinuncino ad avvalersi della sospensione. Se fissa quei termini
in modo che le attività connesse allo svolgimento della consulenza
posano svolgersi nel periodo feriale, il giudice adotta un provvedimento
che, in quanto in violazione della sospensione, risulta affetto da nullità.
Se il provvedimento viene adottato in udienza tale nullità dev’essere
eccepita dalla parte che era presente in udienza o doveva esservi
presente e, dunque, la difesa del Foglio avrebbe dovuto dolersi della
nullità

hic et hinde,

cioè in udienza, atteso che quella sede

rappresentava, a norma del secondo comma dell’art. 157 cod. proc.
civ., la prima difesa possibile di fronte alla notizia dell’atto del giudice
nullo.
Quella difesa non lo fece e, dunque, la nullità rimase sanata, di modo
che essa, in realtà, avrebbe dovuto reputarsi irrilevante.
E’ appena il caso di rilevare che quando il giudice fissa un termine in
violazione della sospensione feriale, poiché egli con il suo atto ha
disconosciuto l’efficacia della sospensione e lo ha fatto senza esservi
autorizzato da una preventiva rinuncia delle parti, non è possibile
ipotizzare che il termine fisato nel provvedimento si intenda
automaticamente prorogato in modo da rispettare la sospensione,
atteso che in tale modo si verificherebbe una non prevista integrazione
di un atto che il giudice ha compiuto. La proroga automatica è possibile
invece quando sia la parte a compiere un atto da cui, secondo la legge
10
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cons. t.
Stefan Olivieri

cod. proc. civ., se il processo è soggetto alla sospensione feriale, non

decorra un termine che cadrebbe durante il periodo di sospensione,
nonché quando è il giudice che compie un atto dalla cui efficacia decorra
un termine fissata dalla legge e tale termine cada durante la
sospensione.
Nel caso di specie, invece, non si verte in questa seconda ipotesi, ma in
un caso in cui, stabilendo il “programma” di cui all’art. 195 cod. proc.

feriale e ciò a cominciare dallo stesso possibile espletamento delle
operazioni del c.t.u., il cui ultimo giorno di espletamento delle stesse
poteva di per sé ricadere nella vigenza della sospensione, qualora egli
avesse iniziato le operazioni il giorno dopo (e in concreto vi ricadde,
avendo egli fissato le operazioni il 18 maggio 2011).
Giusta le svolte considerazioni, dunque, i giudici di merito avrebbero
dovuto rilevare che il Foglio si era doluto di una nullità dal potere di
rilevazione della quale era decaduto all’udienza del 3 maggio 2011.
Ferme tali notazioni, il Collegio, come preannunciato ritiene fondati i
ragionamenti sulla rilevanza della necessità di un effettivo pregiudizio
come giustificativo della (inesistente, per quello che appena si è detto)
nullità.
In tal senso la decisione impugnata è conforme al principio di diritto
affermato da questa Corte secondo cui la denuncia di vizi fondati sulla
pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta
regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del
pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della
denunciata violazione, potendo trovare applicazione la sanzione di
nullità solo nel caso in cui l’erronea applicazione della regola
processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di
difesa che abbia avuto riflessi sulla decisione di merito (cfr. Corte cass.
Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 23/02/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 3024
del 07/02/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 6330 del 19/03/2014; id. Sez.
11
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

ns. e t.
Stefa O ivieri

civ. è lo stesso giudice che ha fissato termini ricadenti nel periodo

5, Sentenza n. 26831 del 18/12/2014; id.

Sez. 3, Sentenza n. 26157

del 12/12/2014). I principi informatori del processo civile, ed in
particolare i principi del “giusto” processo e della “ragionevole durata”
del processo (art. 111 Cost.) impongono, infatti, di evitare per quanto
possibile lo svolgimento di attività processuale inutile, circoscrivendo gli
effetti della invalidità caducante dell’intera attività fino ad allora svolta,

suscettibili di determinare una effettiva compromissione del risultato cui
deve tendere il giudizio, volto a rendere alle parti una decisione “giusta”
ossia una regola del rapporto di diritto sostanziale controverso che
risponda al canone di giustizia prefissato dall’ordinamento giuridico. Ne
segue che non può condividersi l’assioma “inosservanza della norma
processuale – errore nell’attività processuale – “automatica”
difettando in tale equazione

invalidazione dell’attività successiva”,

l’elemento eziologico intermedio dato dall’effettivo insanabile pregiudizio
subito dalla parte, il quale soltanto può giustificare la sanzione della
nullità processuale con la caducazione di tutti gli atti conseguenziali
compiuti fino alla decisione di prime cure e la necessaria rinnovazione
della fase istruttoria in grado di appello.
La tesi difensiva svolta nel motivo di ricorso in esame, tendente ad
accreditare la tesi che il vizio di nullità dedotto, in assenza della
indicazione di un concreto pregiudizio, integrerebbe sempre “ex se” una
invalidità insanabile del procedimento, non può essere condivisa, in
quanto la scansione dei tempi delle indagini peritali, formalizzata dal
comma 3 dell’art. 195 c.p.c. introdotto dall’art. 46, comma 5, della
legge 18.6.2009 n. 69 (che ha, peraltro, recepito una prassi diffusa
negli uffici giudiziari di merito), non è rivolta a disciplinare una “nuova”
garanzia difensiva a favore delle parti processuali prima assente, e
neppure a “rafforzarne” una già esistente, atteso che la previgente
disciplina processuale già provvedeva compiutamente a tale esigenza,
prevedendo in particolare l’intervento personale delle parti dei difensori
12
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo — 4

C u-st
ivieri
Stef.

ai soli vizi processuali che risultino “effettivamente” insanabili in quanto

e dei propri consulenti tecnici alle operazioni peritali con facoltà di
“presentare per iscritto o a voce, osservazioni ed istanze”

(art. 194,

comma 2, c.p.c.; art. 90, comma 2, disp. att. c.p.c.), con obbligo di
comunicazione di tali scritti defensionali alle controparti (art. 90, comma
3, disp. att. c.p.c.), e richiedendo al CTU di depositare relazione scritta
nella quale fossero inserite anche “le osservazioni e le istanze delle

è poi assicurato nella forma più ampia dall’art. 201, comma 2, c.p.c.
che prevede la partecipazione del CTP “alla udienza ed alla camera di
consiglio, ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per
chiarire e svolgere…..le sue osservazioni sui risultati delle indagini
tecniche”.
L’innovazione legislativa del 2009 si è limitata, pertanto, soltanto a
razionalizzare l’esistente, senza aggiungere alcun “ulteriore e nuovo
diritto” agli strumenti di difesa già accordati alla parte nel caso in cui il
Giudice ritenga necessario avvalersi di un ausiliario per la risoluzione di
questioni che implichino la conoscenza e la applicazione di particolari
scienze o tecniche od esperienze comunque estranee alle nozioni
giuridiche.
Tale razionalizzazione si è resa attuale al fine di adeguare quanto più
possibile lo svolgimento dell’ “iter” processuale al principio di rango
costituzionale della “ragionevole durata del processo” (art. 111, comma
2, Cost.) -senza per questo dover incidere, comprimendolo, sul principio
di garanzia del contraddittorio- evitando inutili dispersioni di tempo che
venivano a riscontrarsi nella prassi giudiziaria laddove alla udienza
immediatamente successiva al deposito dell’elaborato peritale le parti
richiedevano ed il giudice si limitava a disporre l’assegnazione di termini
per il deposito di note critiche alla c.t.u., con ulteriore rinvio a nuova
udienza per l’esame e la discussione delle eventuali osservazioni critiche
e la convocazione a chiarimenti del CTU. E tale intento perseguito dalla
13
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cqtst.
Stef no livieri

parti” (art. 195, comma 3, c.p.c.). Il contraddittorio sugli aspetti tecnici

legge di riforma del 2009 è stato, infatti, chiaramente evidenziato dalla
dottrina -richiamata anche dal ricorrente- che ha riconosciuto alla
disposizione dell’art. 195, comma 3, c.p.c. la funzione peculiare di
realizzare una “anticipazione” del contraddittorio tecnico.
Quanto al rilievo svolto nel motivo di ricorso, secondo cui la difesa del
Foglio sarebbe rimasta “comunque” pregiudicata, in quanto la valenza

“rilevanza” secondo che avvenga prima o dopo il deposito dell’elaborato
peritale, osserva il Collegio che in tal modo vengono ad essere dedotte
questioni attinenti alla psicologia delle parti e dei soggetti che
intervengono nel processo, fondate su aspetti di tipo emotivo che non
hanno accesso al controllo di legittimità, in quanto esulano del tutto dal
criterio oggettivo che presiede -secondo la predeterminazione legislativa
della fattispecie di invalidità dell’atto processuale- al riconoscimento del
vizio di legittimità deducibile come “error in procedendo” al quale
consegue la invalidità insanabile dell’atto. Inoltre le preoccupazioni
manifestate dal ricorrente in ordine alla indicata carenza -nella fase
successiva al deposito della c.t.u.- nei difensori e nel Giudice, di quella
necessaria competenza tecnica indispensabile a discutere le eventuali
ulteriori osservazioni e critiche alle risultanze peritali, rimane del tutto
smentita dalle norme processuali che consentono alle parti di richiedere
ed al Giudice di disporre di ufficio, sia la riconvocazione del CTU a
chiarimenti, sia finanche la integrale rinnovazione della consulenza
tecnica di ufficio, da affidare eventualmente ad un diverso ausiliario
(art. 196 c.p.c.). In ogni caso -avendo nella specie il CTP del Foglio
partecipato alle operazioni peritali- ed avendo insistito il difensore del
Foglio, anche nelle fasi successive (note critiche alla c.t.u. allegate a
verbale della udienza immediatamente successiva al depositato
dell’elaborato peritale) ed ancora nei motivi di gravame, a sostenere i
medesimi argomenti tecnici già interamente sviluppati dal proprio CTP
nelle “note autorizzate” consegnate al CTU all’inizio delle operazioni
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ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

CoIA et.
Stefado »ivieri

degli argomenti (tecnici) difensivi assumerebbe una diversa “efficacia” o

peritali, rimane del tutto inesplicato il “modo” attraverso il quale il
consulente di parte avrebbe potuto altrimenti influenzare -anche solo
psicologicamente- l’ausiliario nel modificare le conclusioni raggiunte
nell’elaborato tecnico finale.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di violazione o

Sostiene il ricorrente che il Giudice di appello ha errato nel sostenere
che la “denuntiatio” non contenesse un implicito riconoscimento della
frazionabilità del compendio poderale, atteso che la esplicita indicazione
-nel contratto preliminare allegato alla comunicazione- del valore (C
143.350,00) attribuito al fondo condotto in affitto al Foglia rispetto al
complessivo prezzo pattuito per l’intero compendio immobiliare (C
369.650,00), doveva intendersi quale sicuro indice della volontà dei
contraenti di concludere, ove fosse stata esercitata la prelazione
parziale, anche la vendita della parte poderale residua.
La censura come formulata è inammissibile.
Il Giudice di appello ha, infatti, rilevato come il Tribunale avesse fatto
corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di
legittimità che subordinavano il diritto di prelazione agraria alla
frazionabilità in senso colturale, economico e giuridico del fondo dal più
ampio compendio poderale, ritenendo che tale accertamento non fosse
reso superfluo dalla “denuntiatio” cui era allegato il preliminare di
vendita, alla quale non poteva attribuirsi efficacia negoziale di implicito
riconoscimento stragiudiziale degli indicati requisiti di frazionabilità,
atteso che, da un lato, nella comunicazione si rappresentava
“dubitativamente” la sussistenza del diritto di prelazione parziale
(“…L’eventuale diritto, ove sussista, dovrà essere fatto valere ….”:

cfr.

comunicazione di invito al prelazionario, parzialmente riprodotta nella
sentenza di appello in motivazione , pag. 21); dall’altro, dal contratto
preliminare risultava che la conclusione della vendita veniva subordinata
15
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Co
st.
Stefailo Olivieri

falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, legge n. 590/1965.

alla condizione risolutiva del mancato esercizio della prelazione di
qualsiasi porzione di immobile (cfr. contratto preliminare, trascritto a
pag. 35 del ricorso in nota 10).
Orbene la esposizione del motivo, non investe un “error juris”, ma è
interamente incentrata sulla diversa interpretazione della volontà
negoziale espressa dal contenuto del contratto, e dunque impinge

merito.
Al riguardo occorre ribadire che, qualora la parte ricorrente intenda
impugnare la sentenza per violazione od errata applicazione dei criteri
ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss c.c., è suo preciso onere dedurre
tale vizio in modo specifico: ed infatti la parte che, con il ricorso per
cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di
ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può
limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss.
cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto
assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia
dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta
nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso
essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla
trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti,
al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della
disciplina normativa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22889 del
25/10/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).
Nella specie il ricorrente si è limitato a prospettare un possibile
significato alternativo, delle disposizioni negoziali, diverso da quello
accolto dalla Corte territoriale, in quanto tale inidoneo ad inficiare la
corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di
merito, atteso che -dovendo ribadirsi il principio di diritto costantemente
16
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

C
Stef

est.
livieri

nell’apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al Giudice di

affermato da questa Corte “l’interpretazione data dal giudice di merito

ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la
migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni;
sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più
interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto
l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di
(cfr. Corte cass.

Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n.
3644 del 16/02/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id.
Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n.
24539 del 20/11/2009; id. Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010;
Id. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n.
6125 del 17/03/2014).
Non perspicua appare la seconda parte del motivo di ricorso in
esame rivolta a sostenere la qualificazione come elementi normativi
della fattispecie -determinanti quindi “errori di diritto” censurabili ex art.
360co1 n. 3 c.p.c.- dei “requisiti oggettivi” della prelazione parziale
connessi alla qualità del fondo e della unità poderale (cfr. ricorso, pag.
39 : “Quelli oggettivi non sono dunque requisiti in fatto…..”),

in

particolare i seguenti requisiti: la autonomia produttiva e colturale del
fondo; la presenza sul compendio di affittuari, mezzadri coloni, titolari di
distinti contratti; la unitarietà del compendio poderale tale costituire
elemento infrazionabile della peculiare azione agricola; la
sproporzionata diminuzione di valore da attribuire alla parte residuata
dopo il frazionamento, tale da impedirne lo sfruttamento agricolo, o
ridurne ulteriormente il godimento in conseguenza della apposizione di
vincoli o diritti reali parziari.
Non è dato comprendere, infatti, come da tale assunto -anche a voler
seguire la impostazione difensiva che sembrerebbe collocare fuori dal
principio di non contestazione tali requisiti oggettivi- il ricorrente
17
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Co s. est.
Stefano Olivieri

legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra”

verrebbe a far conseguire alla

“denuntiatio”

la “automatica”

incontestabilità degli stessi, e quindi nel caso di specie la “automatica”
frazionabilità del fondo affittato dal residuo compendio immobiliare.
Qualora, invece, il ricorrente abbia inteso affermare che le “condizioni
oggettive” del fondo alle quali è subordinato l’esercizio della prelazione
parziale, in quanto riferibili alla disciplina legale del diritto del

ovvero ancora costituiscono elementi presupposti (e dunque esterni)
alla proposta di vendita trasmessa con la “denuntiatio” che, pertanto,
non può incidere in alcun modo sulla sussistenza/insussistenza degli
stessi, allora è appena il caso di evidenziare come si sia in presenza di
elementi della fattispecie il cui accertamento condiziona la stessa
validità ed efficacia della “denuntiatio” (non potendo il denunziante
disporre si tali elementi), in quanto soltanto se rilevati oggettivamente
esistenti potrà darsi luogo ad esercizio della prelazione agraria parziale.
Ed è appena il caso di osservare come, proprio la indisponibilità
negoziale di detti “requisiti oggettivi”, non consenta di pervenire alla
conclusione del ricorrente di riconoscere alla “denuntiatio” un effetto
preclusivo al loro accertamento, come nel caso di specie in cui la
comunicazione del preliminare di vendita al prelazionario è diretta non a
precludere l’accertamento della oggettiva frazionabilità ma
esclusivamente a sollecitarne “la rinuncia” all’esercizio del diritto in
funzione del definitivo mancato avveramento della condizione risolutiva
apposta al contratto preliminare stipulato con il terzo, così da consentire
la stipula della compravendita definitiva avente ad oggetto l’intero
predio comprendente anche il fondo concesso in affitto.
Con il terzo motivo viene dedotta ancora la violazione e falsa
applicazione dell’art. 8 della legge n. 590/1965.
Sostiene il ricorrente, reiterando il motivo di gravame, che la Corte
d’appello avrebbe illegittimamente sovrapposto i principi di diritto
18
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo — 4

Con est.
Stefano Ll ivieri

prelazionario, non possono costituire materia di disposizione pattizia,

enunciati da questa Corte in materia di prelazione agraria
dell’affittuario-coltivatore diretto, con quelli relativi alla prelazione
esercitata dal coltivatore diretto del fondo confinante con quello oggetto
di vendita.
Così formulata la censura è infondata.

questione pervenendo a rilevare che i principi di diritto enunciati dalla
giurisprudenza di legittimità in ordine ai requisiti oggettivi di esercizio
della prelazione parziale, sia dall’affittuario sul fondo ricompreso in un
compendio poderale maggiore, sia dal proprietario-confinante, sul fondo
appartenente ad un compendio poderale più ampio, dovevano ritenersi
applicabili ad entrambe tali ipotesi, ed ha richiamato in proposito il
precedente di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5414 del 07/03/2014 che
ribadisce l’orientamento consolidato secondo cui, in tema di prelazione e
riscatto agrario, all’affittuario coltivatore diretto della porzione di un più
ampio fondo messo in vendita spetta il diritto di prelazione sulla parte
da lui coltivata, a condizione che l’intero predio sia diviso in porzioni
distinte e autonome sotto il profilo giuridico ed economico, seguito dal
precedente di questa Corte cass.

Sez.

3, Sentenza n.

6094 del

26/03/2015, massimata dal CED della Corte -nella prima parte- come
segue: “Il diritto di prelazione agraria, previsto dall’art. 8 della legge 26
maggio 1965 n. 590, spetta al coltivatore diretto affittuario di una
porzione di un più ampio fondo anche nel caso in cui il locatore intenda
alienare a terzi una quota indivisa dell’intero fondo, purché il
prelazionario provi che la porzione da lui coltivata sia autonoma sul
piano strutturale, funzionale e produttivo, e che lo scorporo della parte
oggetto della prelazione (e del riscatto) non pregiudichi notevolmente la
possibilità di coltivazione del fondo unitariamente considerato ovvero
non comporti l’imposizione, sulle restanti aree, di servitù ed oneri reali,

19
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Co
Stef o O ivieri

La Corte territoriale ha, infatti, esaminato specificamente tale

che ne compromettano l’esclusività del godimento e ne menomino il
valore di scambio”.
Tali principi risalgono ad un indirizzo giurisprudenziale, affermatosi
già nei primi anni settanta, che aveva precisato come, in materia di
contratti agrari, il coltivatore diretto di una porzione di un più ampio
fondo può esercitare il diritto di prelazione ( ed il succedaneo diritto di

sia stato diviso in più porzioni distinte ed autonome sia sotto il profilo
giuridico -in quanto concesse separatamente a coltivatori diversi in
forza di contratti di affitto separati- sia sotto l’aspetto economico, in
quanto indipendenti per caratteristiche ed esigenze colturali e
produttive, sempre che lo scorporo della porzione oggetto della
prelazione ( e del riscatto) non pregiudichi notevolmente la possibilità di
coltivazione del fondo unitariamente considerato ovvero -per identità di
“ratio”- non comporti l’imposizione, sulle restanti parti, di servitù ed
oneri reali tali da comprometterne l’esclusività del godimento e
menomarne il valore di scambio (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n.
4797 del 26/07/1986; id. Sez. 3, Sentenza n. 4659 del 15/07/1988; id.
Sez. 3, Sentenza n. 7948 del 17/07/1991; id. Sez. 3, Sentenza n. 1103
del 22/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 23222 del 16/11/2005; id. Sez.
3, Sentenza n. 25406 del 03/12/2009). Il fondamento di tali enunciati
è stato rinvenuto nella “ratio legis” dell’istituto della prelazione agraria,
disciplinato dalle leggi n. 590 del 1965 e 817 del 1971 e funzionale a
garantire la finalità di un razionale sfruttamento della proprietà agricola,
nell’interesse pubblico allo sviluppo delle strutture produttive del Paese,
dovendo pertanto ricollegarsi l’esercizio della prelazione parziale alla
verifica della sussistenza delle indicate condizioni del compendio
immobiliare al momento della prelazione legale, non dovendosi avere
riguardo alla configurazione data dalle parti al contratto di vendita, ma
occorrendo tenere conto della situazione oggettiva dei fondi (cfr. Corte
cass. Sez. 3, Sentenza n. 2757 del 03/04/1990).
20
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Stefa

riscatto ), ai sensi dell’ art. 8 L. n. 590 del 1965, qualora l’intero predio

La sentenza impugnata ha, dunque, correttamente richiamato i
principi applicabili in materia, risultando inconferente la critica svolta dal
ricorrente sulla base del richiamo al precedente di questa Corte n.
5414/2014, secondo cui il termine di decadenza per l’esercizio del
diritto di prelazione legale non inizia a decorrere fin quando nella
“denuntiatio” o nel contratto preliminare trasmesso al prelazionario –

anche il fondo affittato- non viene puntualmente specificata la quota del
prezzo corrispondente al valore del fondo oggetto della prelazione
parziale: ed infatti la indicazione della quota del complessivo prezzo di
vendita, è certamente funzionale all’esercizio del diritto di prelazione,
ma non comporta per ciò stesso l’esonero dalla verifica della sussistenza
dei requisiti oggettivi cui l’esercizio del diritto è subordinato, ed in
particolare dall’accertamento delle condizioni cui è subordinata la
frazionabilità del compendio poderale.
Quanto al concreto accertamento della esistenza delle condizioni
oggettive ostative all’esercizio della prelazione parziale da parte
dell’affittuario Foglio, gli elementi valutati dalla Corte di merito alla
stregua delle indicazioni fornite dalla c.t.u. (sentenza appello pag,
21-22:

a-diminuzione valore sproporzionata avuto riguardo alla

ubicazione centrale del fondo prelazionato, b-complementarietà
economica delle varie particelle, c-inidoneità allo sfruttamento agricolo
della parte residua, d-alterazione della dimensione strutturale della
complessiva area colturale, e-interclusione del fondo prelazionato con
servitù di passo da costituire sul fondo residuo) non eccedono dai criteri
ostativi individuati da questa Corte, con la conseguenza che la critica
svolta dal ricorrente alla inesatta ricostruzione della fattispecie
concreta, impinge nella valutazione di fatto compiuta dalla Corte
distrettuale ed esula, pertanto, dal sindacato di questa Corte, avuto
riguardo al tipo di vizio di legittimità denunciato.
21
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Con
t
Stefaii O Tvieri

avente ad oggetto la proposta di vendita dell’intero predio in cui ricade

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 8 legge n. 590/1965, degli artt. 846, 847 ed 848 c. c. , anche in
relazione all’art. 12 preleggi ed agli artt. 42co2, 44co1 e 47co2 Cost.,
in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente subordinato il
legittimo esercizio della prelazione parziale alla conservazione della
“minima autonomia colturale” del fondo in affitto e della restante parte

letterale ed alla “ratio” delle norme di legge in materia.
Il motivo è infondato.
Premesso che la Corte territoriale non ha affatto utilizzato la nozione
di “minima unità colturale” dei fondi rustici di cui agli art. 846 e 847 c.c.
-norme che non hanno trovato peraltro attuazione e sono state
abrogate dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228, art. 5 bis, come modificato
dall’art. 7, comma 10, del Dlgs 29 marzo 2004 n. 99- osserva il
Collegio che il ricorrente fonda la censura su precedenti di questa Corte
di legittimità, peraltro concernenti il riscatto del fondo “confinante”, del
tutto inconferenti rispetto al caso di specie, e che -contrariamente a
quanto ipotizzato nel motivo di ricorso- non si pongono affatto in
collisione con i principi di diritto enunciati dall’orientamento
giurisprudenziale -richiamato nell’esame del precedente motivo- rivolti a
bilanciare i contrapposti interessi del prelazionario che intende ad
acquistare solo “una parte” dell’intero compendio immobiliare, e del
proprietario di quest’ultimo che intende invece alienare l’ “intero
complesso” poderale.
Indipendentemente dalle differenti fattispecie esaminate nei
precedenti (doloso preventivo frazionamento dell’immobile che sarebbe
altrimenti ricaduto interamente nella prelazione esercitata dal
confinante: Sez. 3, Sentenza n. 2327 del 02/03/2000) il principio per
cui il fondo confinante sul quale si esercita la prelazione, non deve
essere autonomamente coltivabile, essendo sufficiente che lo sia una
22
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

. est.
St fano Olivieri

del compendio immobiliare, sebbene ciò non corrisponda al tenore

volta accorpato con quello del coltivatore diretto, mentre non deve
invece presentare caratteristiche morfologiche o di destinazione tali da
escludere “anche potenzialmente” la possibilità di un suo sfruttamento
agricolo (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 25130 del 27/11/2006; id.
Sez. 3, Sentenza n. 12231 del 12/06/2015), si riferisce evidentemente
alle caratteristiche del fondo oggetto di prelazione/riscatto, ma non

compendio agrario più vasto e dal frazionamento di detta unità richiesto dall’esercizio del diritto di prelazione riferito ad una sola
porzione del tutto- possa derivare al proprietario-alienante un
nocumento al proprio diritto di proprietà, residuando una frazione di
immobile non sfruttabile economicamente o di valore commerciale
deprezzato, in considerazione delle caratteristiche e della ubicazione
delle particelle catastali o della necessaria apposizione di vincoli di
natura reale, od ancora a causa della dispersione, in seguito a
frazionamento, della unità organizzativa della azienda agricola ivi
esistente e dell’impedimento alla prosecuzione sul residuo fondo della
precedente attività agraria.
Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha fatto alcun riferimento
alla dimensione superficiaria (minima unità colturale) per escludere il
frazionamento del fondo rustico venduto unitariamente, né ha escluso la
potenzialità agraria sia delle particelle catastali oggetto di prelazione
che della parte residua del compendio poderale, ma ha invece
esaminato la diversa questione del requisito della “unità produttività”
dell’intero compendio, nonché del disvalore economico che deriverebbe
alla residua parte del compendio, a seguito della decurtazione della
porzione oggetto di prelazione, sia per la irregolare distribuzione delle
particelle catastali, sia per l’apposizione di vincoli reali quali la servitù di
passaggio, ritenendo con accertamento di fatto, insindacabile in sede di
legittimità, che tali condizioni oggettive risultavano ostative alla
frazionabilità dell’intero complesso immobiliare.
23
r\\\
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cons st.
Stefan
livieri

considera l’ipotesi, diversa, in cui tale fondo appartenga ad un

Le considerazioni svolte nel motivo ed i richiami di dottrina in ordine
alla legittimità costituzionale della prelazione legale agraria, appaiono
non pertinenti in quanto, nella specie, non viene in considerazione la
destinazione economica e giuridica “soltanto” del fondo oggetto di
prelazione o riscatto, in ordine alla quale sussiste la prevalente esigenza
di tutela dell’interesse del coltivatore diretto, affittuario o confinante,

Legislatore che ha inteso incrementare la produttività agricola dei fondi,
favorendo chi che per le qualità soggettive che possiede già persegue
tale obiettivo o è ritenuto in grado di mettere a sfruttamento il terreno
prelazionato/riscattato), ma viene in rilievo la diversa questione della
mancanza di piena coincidenza tra l’oggetto della prelazione/riscatto e
l’oggetto della promessa di vendita o della vendita, in quanto il
coltivatore diretto, affittuario o confinante, intende limitare l’esercizio
del proprio diritto potestativo ad una sola porzione del bene posto in
vendita dal proprietario (cd. prelazione parziale), insorgendo pertanto la
esigenza di un contemperamento degli interessi riconducibili ai soggetti
in conflitto, dovendo mediarsi più esattamente tra l’incremento e la
valorizzazione della attività agricola svolta dal coltivatore diretto ed il
pregiudizio economico e le limitazioni alla piena disponibilità del bene da
parte del proprietario che deriverebbero al venditore dall’essere
costretto a mantenere la proprietà di una porzione di immobile
diminuita di valore, assoggettata a vincoli reali e più difficilmente
collocabile sul mercato.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente
condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate
in dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso.
24
RG n. 24243/2015
ric. Foglio Armando c/ Brignone Adolfo + 4

Cor
‘it.
Stefano ivieri
I

(secondo un apprezzamento di valore riservato alla discrezionalità del

Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115,
inserito dall’art. 1 comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,

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