Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18520 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.26/07/2017),  n. 18520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2038-2013 proposto da:

M.I. C.F. (OMISSIS), C.C. C.F. (OMISSIS),

G.R. C.F. (OMISSIS), MA.AN. C.F. (OMISSIS), CU.CI. C.F.

(OMISSIS), V.S. C.F. (OMISSIS), tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GRAMSCI 2 presso lo studio dell’avvocato

MAURIZIO RIOMMI, che li rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI FIRENZE C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SERGIO PERUZZI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 776/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/07/2012 R.G.N. 755/2011; il P.M. ha depositato

conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Tribunale di Firenze, accertata la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra il Comune di Firenze e M.I., C.C., G.R., Cu.Ci., V.S., Ma.An. ed esclusa la conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, condannava il Comune di Firenze a pagare a ciascuna ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, la somma corrispondente a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori;

che tale sentenza era impugnata dal Comune di Firenze con due motivi: il primo vertente sull’an debeatur, teso a ribadire la conformità formale e sostanziale a diritto della stipula dei contratti a tempo determinato; il secondo teso a contestare il risarcimento del danno, per inapplicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, e per mancanza di prova del danno; che la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza n. 776 del 2012, ha innanzitutto ritenuto di dovere esaminare (quale “ragione più liquida”) il secondo motivo, in quanto, stante la pacifica inconvertibilità dei contratti a termine nel pubblico impiego, la verifica dell’assenza di un diritto al risarcimento del danno avrebbe reso “…superfluo l’accertamento della legittimità o meno del comportamento, poichè da esso non deriverebbe conseguenza alcuna, con specifica attinenza agli interessi dedotti in questa causa”; tanto premesso, ha escluso che il risarcimento potesse essere riconosciuto in difetto di allegazioni specifiche sul danno, non potendo questo ritenersi in re ipsa e, dunque, in accoglimento del secondo motivo di appello, ha rigettato anche la domanda risarcitoria ed ha condannato le appellate a restituire al Comune quanto riscosso in esecuzione della sentenza appellata, oltre interessi legali;

che avverso detta sentenza le originarie ricorrenti hanno proposto ricorso affidato a tre motivi, seguiti, al punto 4), da richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E. avente ad oggetto la valutazione di conformità o meno alla direttiva di una normativa interna, quale quella contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, secondo la quale, nel caso in cui venga riconosciuto e dichiarato in sede giudiziale l’abusivo utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato, tale illegittimità è priva di sanzione se il lavoratore non prova di avere subito da tale comportamento illegittimo un danno; che il Comune resiste con controricorso, seguito da memoria; che il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso richiamando l’orientamento interpretativo espresso da Cass. n. 19371/2013, poi confermata da S.U. n. 5072/2016.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo e il secondo motivo parte ricorrente, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 e del D.Lgs.n. 165 del 2001, art. 36, con riferimento alle norme di diritto comunitario in materia di contratti di lavoro a tempo determinato (clausola 5 punti 1 e 2 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP recepito dalla direttiva 29 giugno 1999/70), addebita alla sentenza di non avere considerato che le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea hanno evidenziato come, in caso di ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione ad una successione di contratti o di un rapporto di lavoro a tempo determinato, spetti al giudice nazionale individuare una misura sanzionatoria alternativa alla conversione che risulti tale da rivestire un carattere non soltanto proporzionato ma anche sufficientemente effettivo e dissuasivo, nonchè tale da rispettare il principio di equivalenza; che con il terzo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni, deducendo che per il settore privato l’ordinamento prevede, in caso di abusivo utilizzo dei contratti a tempo determinato, la conversione del rapporto, nonchè, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, un risarcimento del danno, che deve essere liquidato dal giudice in un ammontare minimo di 2,5 sino ad un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; tale risarcimento non è soggetto alcun onere probatorio e consegue automaticamente alla dichiarazione di illegittimità dell’apposizione del termine al contratto a tempo determinato, mentre la normativa sanzionatoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, del personale pubblico risulta di gran lunga più sfavorevole di quella stabilita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 e L. n. 183 del 2010, art. 32 per il rapporto di lavoro privato;

che il ricorso è fondato per quanto di ragione;

che le questioni poste con il ricorso sono state affrontate da questa Corte con le sentenze n. 25547 del 2016 e nn. 4630, 4631, 4632, 5315, 5319, 5456 del 2017 e con l’ordinanza n. 27452 del 2016 con le quali si è evidenziato che i principi affermati dalle Sezioni Unite sulla interpretazione adeguatrice del D.Lgs n. 165 del 2001 art. 36, al diritto dell’Unione (Cass. S.U. 5072 del 2016) devono essere estesi alle fattispecie in cui la conversione non può operare in ragione della natura pubblica in senso sostanziale del soggetto che figura quale datore di lavoro;

che detta interpretazione adeguatrice si giustifica in relazione alla necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE (Cass. S.U. n. 5072 del 2016, cit.), concernendo quest’ultima la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti o rapporti a termine; secondo la stessa interpretazione, essa non può logicamente trovare applicazione nell’ipotesi in cui l’illegittimità concerna l’apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro (in tal senso le sentenze nn. 4632, 5315, 5319, 5456/2017; Ordinanza n. 27452/2016, cit.);

che le Sezioni Unite nella richiamata sentenza n. 5072 del 2016 hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori i quali, stante il divieto di conversione, non possono essere commisurati alle retribuzioni perse;

che sulla base delle considerazioni sopra esposte deve ritenersi superato l’orientamento espresso da Cass. nn. 19112, 188855, 17588, 17587 e 17546 del 2014, perchè anteriore a S.U. n. 5072/16;

che, sulla scorta dei principi innanzi richiamati, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, alla stregua del seguente principio di diritto: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”;

che, essendo rimasto assorbito in appello l’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, il giudice di rinvio esaminerà prioritariamente le questioni vertenti sull’an debeatur, attenendosi ai principi che questa Corte nella stessa udienza odierna ha enunciato nei ricorsi R.G. n. 2044/2013, n. 2046/2013 e 21520/13;

che il giudice di rinvio provvederà anche alla regolazione delle spese delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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