Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18520 del 13/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 18520 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO

ORDINANZA

Cron.

sul ricorso 15340-2015 proposto da:

SO)

Rep.

MINISTERO DELLA SALUTE 96047640584 in persona delud.
Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, cc
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
– ricorrente contro

DI BASTIANO GIULIA, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 28, presso lo studio
dell’avvocato FABIO BASCIANI, rappresentato e difeso
dall’avvocato GUIDO PONZIANI giusta procura in calce
al controricorso;
– controricorrente –

30/11/2017

Data pubblicazione: 13/07/2018

avverso la sentenza n. 691/2014 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 24/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 30/11/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI

ALESSANDRO SCARANO;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24/6/2014 la Corte d’Appello di L’Aquila, in
accoglimento del gravame interposto dalla sig. Giulia Di Bastiano e in
conseguente riforma della pronunzia Trib. L’Aquila n. 289 del 2008, ha accolto
la domanda dalla medesima nei confronti del Ministero della salute proposta e
ha conseguentemente condannato quest’ultimo a risarcirle, «previa

indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992», i danni sofferti in
conseguenza di «un’epatite HCV correlata, manifestatasi nel luglio 1976 e
diagnosticata nel febbraio 1992» contratta all’esito di «trasfusioni di
sangue cui era stata sottoposta presso l’Ospedale di Avezzano nel maggio
1976».
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Ministero della
salute propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.
Resiste con controricorso la Di Bastiano.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo il ricorrente denunzia «violazione e falsa
applicazione» dell’art. 2947 c.c., in relazione all’art. 360, 10 co. n. 3, c.p.c.
Si duole che non sia stato ritenuto maturato «il termine di prescrizione
quinquennale», essendo state nel caso «le trasfusioni … praticate nel
1976» ed essendo «nel 1989 … già disponibili i test sierologici di prima
generazione per rilevare la presenza di anticorpi C, nel 1992 … disponibili quelli
di seconda generazione e nel 1995 quelli di terza generazione, tuttora usati»,
sicché «già nel 1992, allorquando le era stata per la prima volta
diagnosticata l’epatite cronica, l’odierna resistente avrebbe dovuto sapere,
usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto delle conoscenze scientifiche, di
aver contratto la malattia per effetto delle trasfusioni praticate nel 1976».
Con il 2° motivo denunzia «violazione e falsa applicazione» degli artt.
2043, 2059 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si duole che «al momento in cui sono state effettuate le trasfusioni 1976- non era stato ancora scoperto il virus HBV, mentre il virus HCV sarebbe
stato scoperto più di dieci anni dopo e non erano ancora conosciuti metodi

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decurtazione dell’importo da questa eventualmente già percepito quale

efficaci di individuazione del virus nel sangue dei donatori», sicché «nessun
comportamento colpevole imputabile poteva ( e può ) essere imputato al
Ministero, essendo ancora ignoto il rischio di contagio epatico da trasfusione in
quella data».
Con il 3° motivo denunzia «violazione e falsa applicazione» dell’art.
112 c.p.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.

art. 112 c.p.c. laddove ha liquidato i danni da ritardo, in assenza di un’esplicita
richiesta degli odierni resistenti».
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi,
sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha già avuto modo di
affermare, il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo
e di vigilanza in ordine ( anche ) alla pratica terapeutica della trasfusione del
sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa
vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da
soggetti emotrasfusi ( v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un.,
11/1/2008, n. 584. V. altresì, conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404;
Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 2371/2014, n. 1355 ).
Le Sezioni Unite hanno posto in rilievo che gli obblighi del Ministero di
prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo deriva da una pluralità di
fonti normative.
Possono al riguardo in particolare indicarsi:
– l’art. 1 L. n. 296 del 1958, che attribuisce al Ministero il compito di
provvedere alla tutela della salute pubblica, di sovrintendere ai servizi sanitari
svolti dalle amministrazioni autonome dello Stato e dagli enti pubblici,
provvedendo anche al relativo coordinamento, nonché ad emanare, per la
tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni
pubbliche che provvedono a servizi sanitari;
– l’art. 1 L. n. 592 del 1967, che attribuisce al Ministero le direttive
tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi
inerenti la raccolta, la preparazione, la conservazione, la distribuzione del

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Si duole che la corte di merito sia «incorsa nel vizio di ultrapetizione ex

sangue umano per uso trasfusionale, nonché la preparazione dei suoi derivati,
e per l’esercizio della relativa vigilanza;
– l’art. 20 L. n. 592 del 1967, che attribuisce al Ministero il compito di
proporre l’emanazione di norme relative all’organizzazione, al funzionamento
dei servizi trasfusionali, alla raccolta, alla conservazione e all’impiego dei
derivati, alla determinazione dei requisiti e dei controlli cui debbono essere

– l’art. 21 L. n. 592 del 1967, che attribuisce al Ministero il compito di
autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati
per uso terapeutico;
– l’art. 22 L. n. 592 del 1967, che attribuisce al Ministero il potere di
autorizzare l’autorità sanitaria a disporre la chiusura del centro, del laboratorio
o dell’officina autorizzati;
– il D.P.R. n. 1256 del 1971 ( recante regolamento di attuazione della L. n.
592/1967 ), contenente norme concernenti i poteri di controllo e vigilanza in
materia del Ministero, e contenente ( art. 44 ) l’obbligo di controllare se il
donatore di sangue fosse affetto da epatite virale, vietando in tal caso la
trasfusione (cfr. Cass., 20/4/2010, n. 9315);
– il D.M. Sanità 7 febbraio 1972, contenente norme regolanti l’attività del
Centro nazionale per la trasfusione del sangue, nonché la previsione che il
Ministero della sanità sia costantemente informato delle attività del Centro;

il D.M. Sanità 15 settembre 1972, disciplinante l’importazione e

l’esportazione del sangue e dei suoi derivati, contemplante l’autorizzazione
ministeriale (almeno nel caso di provenienza da Paesi nei quali non vi sia una
normativa idonea a garantire la sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza)
agli ospedali ed ai centri gestori per la produzione di emoderivati ed alle
officine farmaceutiche che siano risultati idonei ad eseguire i controlli sui
prodotti importati, previo accertamento dell’Istituto superiore di sanità;
– la L. n. 519 del 1973, attribuente all’Istituto superiore di sanità compiti
attivi a tutela della salute pubblica;
– la L. 23 dicembre 1978, n. 833, che ha istituito il Servizio sanitario
Nazionale conservando al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella

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sottoposti;

programmazione del piano sanitario nazionale ed a compiti di indirizzo e
coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia
sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e
commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (art. 6 lett. b, c), e
confermando ( art. 4, n. 6, ) che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione
del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale;

medicinali da parte del Ministero della Sanità, attribuendogli il potere di
stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio e di
emettere provvedimenti cautelari relativamente ai prodotti in commercio;
– la L. n. 107 del 1990, attribuente all’Istituto superiore di sanità il
compito di provvedere alla prevenzione delle malattie

trasmissibili, di

ispezionare e controllare le aziende di produzione di emoderivati e le specialità
farmaceutiche emoderivate, nonché di vigilare sulla qualità dei plasma derivati
prodotti in centri individuati ed autorizzati dal ministero ( art. 10 ); e
attribuisce al Ministero della sanità il potere di autorizzare l’importazione di
emoderivati pronti per l’impiego;
– la L. n. 178 del 1991, disciplinante ( anche ) le modalità di rilascio e
revoca dell’autorizzazione ministeriale alla produzione, importazione e
immissione in commercio delle specialità medicinali, con incisivi poteri ispettivi
e di vigilanza del Ministero;
– il D.M. Sanità 12 giugno 1991, disciplinante l’autorizzazione ministeriale
all’importazione di sangue e plasma derivati;
– il d.lgs. n. 502 del 1992, che ha riordinato la normativa in materia
sanitaria, ampliando le competenze delle Regioni e conservato al Ministero
della sanità poteri di ingerenza e sostitutivi;
– il d.lgs. n. 266 del 1993, che ha conservato al Ministero compiti e poteri
di vigilanza in materia di sanità pubblica;
– il d.lgs. n. 267 del 1993, che ha attribuito poteri di controllo e di
vigilanza all’Istituto superiore di sanità a tutela della salute pubblica;
– il d.lgs. n. 44 del 1997, che ha attribuito al Ministero della sanità poteri
in tema di farmacosorveglianza;

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– il D.L. n. 443 del 1987, che ha introdotto la c.d. farmacosorveglianza dei

l’art. 32, comma 11, d.lgs. n. 449 del 1997, attribuente al Ministero la
vigilanza sull’attuazione del Piano sanitario nazionale;
– il d.lgs. n. 112 del 1998, che nel conferire alle Regioni la generalità delle
attribuzioni in materia di salute umana, ha lasciato invariato il riaperto di
competenza in materia di sangue umano e suoi componenti.
Orbene, già in base alle fonti sopra richiamate emerge un quadro alla

preparazione ed utilizzazione di emoderivati e di controllo in ordine alla relativa
sicurezza.
Si evince altresì, e d’altro canto la giurisprudenza -anche di merito- da
tempo ne ha dato diffusamente conto, come fosse già ben noto sin dalla fine
degli anni ’60 – inizi anni ’70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la
rilevazione ( indiretta ) dei

virus

essendo possibile già mediante la

determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-HbcAg ( cfr.
Cass., 15/7/1987, n. 6241; Cass., 20/7/1993, n. 8069. In giurisprudenza di
merito cfr. Trib. Milano, 19/11/1997; Trib. Roma, 14/6/2001 ), e che già da
tale epoca sussistevano obblighi normativi (L. n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256
del 1971; L. n. 519 dei 1973; L. n. 833 del 1973) in ordine a controlli volti ad
impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.
Sin dalla metà degli anni ’60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare
il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della
funzionalità epatica – fossero alterati rispetto ai limiti prescritti ( cfr. Cass.,
20/4/2010, n. 9315).
Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, lo stesso Ministero,
ben a conoscenza del fenomeno, ha con circolari n. 1188 del 30.6.1971, 17
febbraio e 15 settembre 1972 disposto la ricerca sistematica dell’antigene
Australia (cui fu dato poi il nome di antigene di superficie del virus dell’epatite
B); e con circolare n. 68 del 1978 ha poi reso obbligatoria la ricerca della
presenza dell’antigene dell’epatite B in ogni singolo campione di sangue o
plasma.
Anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107,
contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di

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stregua del quale risultano attribuiti al Ministero attivi poteri di vigilanza nella

emoderivati, sulla base della legislazione vigente in materia il Ministero della
sanità era dunque tenuto ad attività di controllo, direttive e vigilanza in materia
di sangue umano. E l’omissione delle attività funzionali alla realizzazione dello
scopo per il quale l’ordinamento gli attribuisce il potere (nel caso concernente
la tutela della salute pubblica) espone il Ministero a responsabilità
extracontrattuale allorquando come nella specie dalla violazione del vincolo

strumentale ed accessorio a quel potere ) derivi la violazione di interessi
giuridicamente rilevanti dei cittadini-utenti (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n.
576).
Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, a fronte di tali
obblighi normativi la discrezionalità amministrativa, ove invocata per
giustificare le scelte operate nel peculiare settore della plasmaferesi, invero si
arresta. E il dovere del Ministero della salute di vigilare attentamente sulla
preparazione ed utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula
l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente
qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure necessarie per
verificarne la sicurezza, essendo tenuto ad evitare o ridurre i rischi a tali
attività connessi ( cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n.581 ).
Emerge evidente, a tale stregua, il comportamento omissivo e comunque
non diligente del Ministero nei controlli e nell’assolvimento dei compiti
affidatigli ( ivi compresi quelli relativi all’attuazione del Piano sangue, previsto
dalla L. n. 592 del 1967 e realizzato solo nel 1994 ).
La colpa della RA. rimane d’altro canto al riguardo integrata anche in
ragione della violazione dei dovuti comportamenti di vigilanza e controllo
imposti dalle fonti normative più sopra richiamate, costituenti limiti esterni alla
sua attività discrezionale ed integranti la norma primaria del neminem laedere
di cui all’art. 2043 c.c. ( cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404 ), in base alle quali
essa è tenuta ad un comportamento attivo di vigilanza, sicurezza ed attivo
controllo in ordine all’effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie
addette al servizio di emotrasfusione di quanto ad esse prescritto al fine di
prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto

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interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico ( il quale è

(cfr. Cass., 28/9/2009, n. 20765; Cass., 23/5/2011, n. 11301), non potendo
invero considerarsi esaustiva delle incombenze alla medesima in materia
attribuite la quand’anche assolta mera attività di normazione (emanazione di
decreti, circolari, ecc.).
Comportamenti cui la P.A. è d’altro canto tenuta già in base all’obbligo di
buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale -che trova

il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un
comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso
nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui -nei limiti dell’apprezzabile
sacrificio-, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai
falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi ( cfr. Cass.,
20/2/2006, n. 3651; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462;
Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n.
22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 27/4/2011, n. 9404;
Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n. 26152; Cass., 4/2/2016, n.
2232; Cass., 31/10/2017, n. 25989 ).
Ne consegue che in caso come nella specie di concretizzazione del rischio
che la regola violata tende a prevenire non può prescindersi dalla
considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in
concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a
quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez.
Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E,
conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685;
Cass., 23/1/2014, n. 1355 ).
Al riguardo, vale ulteriormente osservare, nello specificare che il Ministero
della salute risponde «anche per il contagio degli altri due virus» già «a
partire dalla data di conoscenza dell’epatite B», trattandosi non già di
«eventi autonomi e diversi» ma solamente di «forme di manifestazioni
patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da

virus veicolati dal

sangue infetto», le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la

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applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale- in base al quale

rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla «data di conoscenza
dell’epatite B».
Era stata invero la precedente Cass., 31/5/2005, n. 11609, ad affermare
che fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica i virus della HBV,
HIV ed HCV, e, quindi i “test” di identificazione degli stessi, cioè,
rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, ritenendo l’evento infettivo causato

inverosimile, e pertanto difettare il nesso causale fra la condotta omissiva del
Ministero della Sanità -tenuto in base alla normativa previgente a quelle date a
compiti di autorizzazione, direzione e sorveglianza sul settore dell’importazione
del sangue e degli emoderivati- e tale evento, argomentando dal rilievo che in
tema di illecito aquiliano colposo mediante omissione all’interno della serie
causale può darsi rilievo solo a quello che al momento in cui si verifica
l’omissione appaia non del tutto inverosimile, tenuto conto della norma
comportamentale imponente l’attività omessa; ritenendo di dover a maggior
ragione escludere la colpa del Ministero in presenza di evento imprevedibile,
non potendo lo stesso Ministero conoscere la capacità infettiva dei detti virus
prima ancora della comunità scientifica.
Superando tale impostazione le Sezioni Unite del 2008 hanno
successivamente per converso sottolineato come si tratti di un «rischio che è
antico quanto la necessità delle trasfusioni» (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008,
n. 581), legittimando la conclusione poi ripetutamente ribadita da questa Corte
che il Ministero della salute ( già della sanità ) non può non ritenersi tenuto,
anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n.
11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli
emoderivati fosse esente da

virus e che i donatori non presentassero

alterazione delle transaminasi ( v. Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass.,
23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n. 26152; Cass., 4/2/2016, n. 2232;
Cass., 31/10/2017, n. 25989 ).
Né al risultato di delimitazione temporale della responsabilità del
Ministero analogo a quello raggiunto dalla suindicata superata pronunzia Cass.,
31/5/2005, n. 11609 può invero altrimenti pervenirsi, come pure da questa

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da detti virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati

Corte a volte sostenuto ( v. Cass., 31/1/2013, n. 2250. V. altresì Cass.,
19/12/2014, n. 26916; Cass., 22/1/2015, n. 1136 ), argomentando in
particolare dalla verifica se al momento della effettuazione della
emotrasfusione individuata come causa della malattia il virus dell’epatite C
fosse già conosciuto e qualificato come tale in particolare dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, dovendo altrimenti escludersi «la regolarità causale tra

subita».
A parte la considerazione che anche l’evoluzione nel tempo del

virus

costituisce fenomeno in realtà non imprevedibile né ( come poi confermato dai
fatti ) inevitabile ( cfr. Cass., 14/3/2014, n. 5954 ), vale al riguardo osservare
che alla suindicata attività di vigilanza e controllo nell’interesse pubblico il
Ministero della salute ( già della sanità ) è invero tenuto -come sopra
osservato- già alla stregua di obblighi di fonte codicistica, prima ancora che in
adempimento degli obblighi specifici posti da una pluralità di fonti normative
speciali risalenti addirittura al 1958, atteso che già l’art. 1 L. n. 296 del 1958
attribuisce al Ministero il compito di provvedere alla tutela della salute
pubblica, di sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle amministrazioni
autonome dello Stato e dagli enti pubblici, provvedendo anche al relativo
coordinamento, nonché ad emanare, per la tutela della salute pubblica,
istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che provvedono a
servizi sanitari ( cfr. al riguardo, da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1355; e già
Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581 ).
A tale stregua, la trasmissione del virus resa possibile dalla condotta
colposa di chi tale evenienza era chiamata ad impedire comporta doversi
ritenere al medesimo causalmente ascrivibile la malattia che da quel virus si
sviluppi, anche in conseguenza della relativa evoluzione o mutazione, tale
evento costituendo integrazione del rischio specifico che la regola violata
tende(va) ad evitare, sicché il responsabile deve considerarsi tenuto a
rispondere di tutte le conseguenze che dalla sua condotta -commissiva od
omissiva- derivino, senza che limitazioni possano al riguardo farsi discendere
nemmeno dai criteri della prevedibilità ed evitabilità, i quali piuttosto che avuto

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il mancato controllo del Ministero e l’infezione da epatite C per l’emotrasfusione

in ordine al profilo della causalità assumono in realtà rilievo ai fini della
qualificazione in termini di colposità o meno della condotta nello specifico caso
concreto posta in essere dal soggetto tenuto a mantenerla.
Non può pertanto non ritenersi il Ministero della salute tenuto, anche
anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n.
11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli
virus e che i donatori non presentassero

alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle
fonti normative speciali più sopra indicate (v. Cass., 29/8/2011, n. 17685;
Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581; Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass.,
29/8/2011, n. 17685; Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n.
26152; Cass., 4/2/2016, n. 2232; Cass., 31/10/2017, n. 25989 ).
Orbene, di tali principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto
invero corretta applicazione.
In particolare là dove ha affermato: «poiché è stato accertato che già
all’epoca ( maggio 1976 ) della trasfusione praticata alla Di Bastiano il
Ministero della Salute aveva l’obbligo del controllo e della vigilanza in materia
di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico; che, con
riferimento alle cognizioni scientifiche dell’epoca predetta, il Ministero della
salute aveva omesso tali attività; che la Di Bastiano è risultata portatrice di
una patologia da virus HCV correlata, e che nella specie non ricorre alcun
fattore alternativo che possa spiegare il contagio- deve ritenersi, alla stregua
della ricordata regola del “più probabile che non” che disciplina il rapporto di
causalità nella materia civile, ed in conformità alle conclusioni sul punto
raggiunte dal consulente tecnico di primo grado … che la predetta omissione da
parte del Ministero sia stata causata dall’insorgenza della malattia. Il diritto
della Di Bastiano ad essere risarcita dei danni subiti, pertanto, non può essere
disconosciuto».
Quanto al 3 0 motivo, è infine appena il caso di osservare che ( anche ) ai
fini della censura di ex art. 112 c.p.c. [ la cui violazione giusta principio
consolidato in giurisprudenza di legittimità, nel tradursi nella violazione del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, è quale

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error in

emoderivati fosse esente da

procedendo deducibile con ricorso per cassazione esclusivamente in relazione
all’art. 360, 1° co. n. 4, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 16/10/2008, n. 25246;
Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n.
7049) ( nullità della sentenza e del procedimento ) ( v. Cass., Sez. un.,
14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468 ), e non anche sotto il profilo
della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, 1°

particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 4
26/1/2006, n. 1701) ] i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex
art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del
medesimo.
I requisiti di formazione del ricorso rilevano infatti ai fini della relativa
giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e
prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che
in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso ( cfr.
Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n.
24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass.,
19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190;
Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n.
17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221 ).
Né può assumere in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tale
ipotesi ( anche ) “giudice del fatto”.
Risponde invero a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità
che il requisito prescritto al n. 6 dell’art. 366 c.p.c. deve essere dal ricorrente
comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione ( come
ripetutamente affermato in particolare con riferimento all’ipotesi ex art. 112
c.p.c.: cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978. E,
da ultimo, Cass., 13/2/2018, n. 3406 ), giacché pur divenendo la Corte di
legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di
procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali,
preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente
l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la

13

co. n. 3, c.p.c., come viceversa prospettato dall’odierno ricorrente (v. in

conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale
ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo,
sicché esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema
di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed
all’interpretazione degli atti processuali ( v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e,
conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass.,

25/9/2017, n. 22333 e Cass., 13/2/2018, n. 3406 ).
Orbene, già sotto tale assorbente profilo va sottolineato come nel dolersi
che la corte di merito abbia nell’impugnata sentenza «liquidato i danni da
ritardo, in assenza di un’esplicita richiesta degli odierni resistenti», il
ricorrente ometta invero di riportare la domanda formulata da controparte e di
fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con
riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla
documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al
fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220),
con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in
quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti ( anche
) in sede di giudizio di legittimità ( v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass.,
12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass.,
6/11/2012, n. 19157 ), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni
rendendo il ricorso inammissibile ( cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016,
n. 7701 ). A tale stregua non deduce le formulata censura risulta
apoditticamente formulata secondo un modello difforme da quello delineato
all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del
ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.400,00, di cui euro

14

//,

20/7/2012, n. 12664, nonché, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass.,

4.200,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge, in favore della
controricorrente.

Roma, 30/11/2017

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