Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18519 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIANDOMENICO

ROMAGNOSI 1/B, presso lo studio dell’avvocato PANSINI GUSTAVO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONE GIUSEPPE, giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

sul ricorso 22103-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ric. inc.le –

contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 74/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 14/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MAGISTRI PIETRO per delega Avv.

LEONE GIUSEPPE, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia dep. il 14/07/2005 che aveva rigettato l’appello del medesimo, nonchè quello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Varese del 13/01/2003.

La CTR, per quanto concerneva l’appello del contribuente, aveva confermato la sentenza della CTP di Varese che aveva accolto il ricorso di B.A. avverso l’avviso di accertamento per IRPEF per l’anno 1994 e parzialmente quello relativo all’Irpef 1995 e, in ordine all’appello dello Ufficio, aveva osservato che la medesima CTR aveva confermato la sentenza che aveva riconosciuto ammissibile l’accertamento per adesione L. n. 547 del 1996, ex art. 3, e ritenuto l’infondatezza delle doglianze di merito.

Il ricorrente pone a fondamento del ricorso due motivi basati sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 60 del 1973, art. 33 e sul vizio motivazionale. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso e ha proposto altresì ricorso incidentale.

La causa, è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, in quanto il decreto dell’A.G. di autorizzazione ad utilizzare le indagini penali ai fini fiscali sarebbe intervenuto successivamente all’inizio della verifica fiscale,nonchè vizio motivazionale.

Col secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nonchè omesso esame di un punto decisivo, per avere la CTR esteso la presunzione di cui alla norma in esame ai conti di terzi senza prima dimostrare la riferibilità delle operazioni al contribuente.

L’Agenzia eccepisce l’inammissibilità dei mezzi per non avere il ricorrente specificato i motivi, non avere indicato le norme violate, avere riproposto le medesime ragioni dei gradi di merito e non avere investito la ratio decidendi.

Il rilievo sotto il primo profilo non è però fondato in quanto nei motivi (trattasi di ricorso cui non si applica ratione temporis il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., pur avendo il ricorrente formulato i quesiti) si indica la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 (primo motivo) nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., con riferimento ai principi in tema di onere e disponibilità delle prove (artt. 2697 e segg. c.c.) e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nonchè omesso esame di un punto decisivo.” (secondo motivo).

Passando ora ad esaminare il primo motivo, lo stesso è infondato, non ravvisandosi l’ulteriore profilo d’inammissibilità sopra dedotta, per essere la censura pertinente al decisum.

Questa Corte (Cass. n. 7279/2009, Cass. n. 18868/2007) ha già reiteratamente avuto modo di affermare che, sia in materia di imposte dirette sia in materia di iva, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista (dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1), per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla G.d.F. nell’ambito di un procedimento penale, è volta alla tutela del segreto istruttorie cui è preposto il Pubblico Ministero, e non alla tutela del contribuente, cosicchè la mancanza dell’autorizzazione (nel caso in esame si contesta solo il ritardo) non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (cfr. Cass. 14058/06, 28695/05) mancanza dell’autorizzazione.

Nel caso in esame si contesta solo il ritardo, onde superiore principio di diritto vale a fortiori.

Il secondo motivo,anch’esso immune da profili inammissibilità per i motivi sopravisti, è fondato limiti della successiva motivazione.

Questa Corte (Cass. n. 374/2009) ha ritenuto che il contribuente non può fondatamente dolersi del fatto che le indagini bancarie abbiano riguardato conti e depositi intestati a terzi, dovendo ritenersi consentita simile operazione, ai sensi delle norme richiamate, quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, ritenuti congrui dal giudice tributario di merito, che tali conti e depositi fossero stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile, a scopo di evasione fiscale (Cass. nn. 27032/2007, 17243/ 2003, 13819/2003, 13391/2003, 4987/2003, 2980/2002, in parte riferibili all’analoga questione in tema d’imposte sui redditi).

Tanto deve ritenersi, a parità di condizioni, anche nel caso di conti correnti bancari o libretti di deposito intestati a familiari (nel caso, la moglie) del socio, non potendosi ragionevolmente disconoscere la sussistenza di un identico interesse all’accertamento, in presenza di gravi, precisi e concordanti indizi circa la fittizia intestazione di tali conti, utilizzati al medesimo scopo di evasione fiscale (Cass. nn. 6232/2003, 8683/2002, 8826/2001).

D’altra parte, come è stato autorevolmente affermato (c. cost., sent. n. 51/1992), la tutela del segreto bancario non può spingersi fino a costituire ostacolo o intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l’accertamento degl’illeciti tributari, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà.

Questa Corte (Cass. 18868/2007) ha, altresì, ritenuto che, in tema di accertamento dell’irpef e dell’iva, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 (come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. 28324/05, 26692/05, 18421/05, 18851/03, 6232/03, 8422/02, 3929/02, 10662/01, 9946/00) pongono – ai fini degli accertamenti e delle rettifiche previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, – presunzioni legali, ancorchè semplici, in forza delle quali i versamenti su conto corrente bancario, in assenza di prova contraria del contribuente che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa.

Deve, pertanto, ritenersi formato un indirizzo di questa Corte che ha ritenuto la legittimità di indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, reputando il rapporto familiare sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (cfr. Cass. 6743/07, 13391/03, 8683/02, 1728/99).

La presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi non è qualificabile come presunzione di doppio grado, dovendosi escludere simile conclusione quando, per disposizione di legge (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 27032/2007, già cit.).

Questa più recente giurisprudenza ad un attento esame non appare essere contrastante con giurisprudenza più datata (Cass. n. 8826/01, n. 6232/03)che ha ritenuto che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 2 e 7 – che accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione – trova applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente (Cass. 8457/01) mentre non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorchè legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (Cass. 8826/01).

Invero la più recente giurisprudenza non rinnega il superiore principio, ma valorizza ai fini probatori il dato presuntivo della relazione di parentela, soprattutto in fattispecie quali l’evasione totale in cui l’Ufficio può avvalersi anche di presunzioni non gravi.

Orbene la impugnata sentenza che, con affermazioni generiche e apodittiche, si limita ad affermare che “La Commissione Tributaria Provinciale, infatti con ampia ed esauriente motivazione da conto dell’iter logico giuridico seguito per giungere alla decisione adottata. In particolare per ogni singolo anno è stato evidenziato quali importi fossero privi di giustificazione ai fini della ripresa a tassazione. La commissione Provinciale ha partitamente e puntualmente individuato e deciso ogni singolo rilievo mosso dal contribuente.” è caratterizzata da motivazione inesistente o apparente.

Invero si è ritenuto (tra le altre Cass n. 2006/16762) che il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, ricorre, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito.

Le medesime ragioni che hanno imposto l’accoglimento del superiore motivo del contribuente, militano in ordine all’analoga doglianza di vizio motivazionale dell’Agenzia trasfusa nel ricorso incidentale relativa alla doglianza di vizio motivazionale in ordine alla ripresa a tassazione della somma di L. 444.199.000.

Anche sul punto la motivazione è criptica: “appare del tutto chiaro dalla parte motiva della sentenza che tale importo debba essere ripreso a tassazione trattandosi di versamenti e prelevamenti di importi non riconducibili all’attività di impresa” in relazione e in contraddizione al dispositivo in cui si rigetta l’appello dello Ufficio. S’impone pertanto la cassazione della sentenza con necessità di rinvio perchè questo giudice motivi adeguatamente in relazione ai principi sopraffermati e provveda alle spese del presente giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce il ricorso principale e quello incidentale, accoglie il secondo motivo di ricorso principale, rigetta il primo, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

 

 

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