Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18518 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

La Vittoriese Sas di Lombardo Giuseppe & Giambattista,

società

fallita, in persona dell’ex legale rappresentante L.

G., elettivamente domiciliato in Roma via Crescenzio 91

presso lo studio dell’avv. Luccisano Claudio e rappresentata e difesa

giusta procura speciale in calce al ricorso dallo stesso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 52.26.06, depositata in data 11.1.07, della

Commissione tributaria regionale del Piemonte;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.6.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udito il P.G. in persona del Dr. Giampaolo Leccisi che ha concluso

per la nullità del giudizio con rimessione degli atti al primo

giudice, in subordine per il rigetto del ricorso con e pronunce

consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 23 novembre 2001 l’Ufficio delle Entrate di (OMISSIS) notificava alla società La Vittoriese Sas di L.G. nonchè per conoscenza ai soci L.G., L. R., Z.R. e L.G. un avviso dì accertamento Ilor 1996 ed Iva 1996. Tali avvisi traevano origine da una verifica fiscale eseguita dalla G. di F. di Torino. In data 22 gennaio 2002 la società contribuente presentava dinanzi alla CTP di Torino ricorso contro l’avviso, senza però depositarlo presso la segreteria della commissione; Viscrizione a ruolo della causa era effettuata sulla base delle deduzioni depositate dall’Amministrazione. In data 13 giugno 2002 con decreto presidenziale il ricorso proposto veniva dichiarato inammissibile. Il decreto di inammissibilità oggetto di reclamo veniva quindi confermato dalla CTP con sentenza della Commissione di primo grado, la quale veniva a sua volta confermata dalla Commissione regionale del Piemonte.

Intanto, nelle more del giudizio, esattamente in data 14 marzo 2002.

l’avviso di accertamento veniva rinotificato ai soci ed in data 8 maggio 2002 la società contribuente proponeva ricorso, provvedendo stavolta a suo regolare deposito. In data 13 maggio 2003 la CTP di Torino respingeva il ricorso motivando che non era consentito decidere due volte sulla stessa controversia. La contribuente proponeva appello e la Commissione tributaria regionale del Piemonte respingeva il gravame. Avverso la detta sentenza La Vittoriese Sas di Lombardo Giuseppe & Giambattista ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, svolta dalla ricorrente, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 27, comma 1 e art. 22, comma 1), è conclusa dal seguente quesito di diritto formulato a norma dell’art. 366 bis c.p.c. “Dica questa Eccellentissima Corte se il decreto presidenziale può essere utilizzato nel processo tributario per dichiarare l’inammissibilità di un ricorso introduttivo mai depositato presso la cancelleria della commissione tributaria, sulla sola scoria della costituzione in giudizio dell’ente impositore”.

La censura, riportata nella sua essenzialità, è inammissibile non essendo in alcun modo in correlazione con le risultanze processuali evidenziate dalla Commissione di merito.

All’uopo, è opportuno premettere che, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, i giudici di seconde cure nel motivare le ragioni della loro decisione hanno preso le mosse dal rilievo che avverso il medesimo avviso emesso sia ai fini Ilor sia ai fini Iva la contribuente aveva proposto due distinti ricorsi (oggetto di due giudizi svoltisi separatamente), il primo dei quali era stato dichiarato inammissibile a ragione dell’omesso deposito presso la segreteria della commissione mentre il secondo “(oggetto del presente appello) – così scrivono testualmente i giudici – era stato respinto non essendo possibile decidere due volte sulla stessa controversia”.

La premessa torna utile nella misura in cui evidenzia come la ragione della decisione del giudizio di primo grado de qua fosse stata determinata dall’applicazione del divieto del “ne bis in idem”.. Ciò posto, se è vero che i giudici di seconde cure esaminarono ugualmente la questione riguardante la pretesa illegittimità del decreto con cui era stata dichiarata l’inammissibilità del primo ricorso, questione che era oggetto specifico dell’altro giudizio di appello, lo fecero solo ad abundantiam perchè comunque in entrambi gli appelli era stato proposto il medesimo motivo di gravame, ma restava ben ferma però la considerazione che nel giudizio de qua quella doglianza era assolutamente estranea al tema della decisione di primo grado, fondata sul principio del ne bis in idem, la cui applicazione fu espressamente ritenuta corretta dalla Commissione di secondo grado e posta a base, anche, della propria ratio decidendi.

Da ciò, il difetto di correlazione della censura in esame rispetto alla ragione della decisione della sentenza di appello impugnata in quanto – ripetesi – la questione relativa all’emissione del decreto presidenziale concerneva un giudizio diverso. La seconda doglianza, articolata anch’essa sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 99 e 100 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 1), è conclusa dal seguente quesito di diritto formulato a norma dell’art. 366 bis c.p.c. “Dica questa Eccellentissima Corte se il diritto all’impugnazione venga consumato con la proposizione di un (secondo ricorso introduttivo su un avviso di accertamento notificato (per la seconda volta) allorquando il (primo) ricorso introduttivo per l’annullamento di un avviso di accertamento notificato (per la prima volta) non depositato in commissione tributaria ed oggetto di inammissibilità con decreto del giudice tributari) sulla scorta della costituzione in giudizio dell’ente impositore”.

In effetti – così motiva la sua doglianza la ricorrente – la CTR avrebbe errato nel ritenere corretta l’applicazione del principio del ne bis idem, giacchè tale principio va applicato solo nei casi in cui la sentenza abbia riguardato la stessa materia del contendere mentre, nel caso di specie, la prima controversia è stata decisa con la declaratoria di inammissibilità del ricorso senza suo esame nel merito per cui la seconda controversia avrebbe quindi potuto essere oggetto di decisione nel merito. Inoltre, nel giudizio dì primo grado valgono gli stessi limiti riferiti al principio di consumazione dell’impugnazione, che avviene solo dopo che sia intervenuta una pronuncia di improcedibilità o di inammissibilità, mentre, nei caso di specie, la proposizione del secondo ricorso introduttivo, risalente all’8 maggio 2002, è stata antecedente alla declaratoria di inammissibilità del primo ricorso, avvenuta in data 20 maggio 2003.

La censura merita attenzione Invero, come già ritenuto da questa Corte, il principio del ne bis in idem preclude l’esercizio di una nuova azione sul medesimo oggetto tra le stesse parti, allorquando l’azione prima proposta sia stata definita con una decisione di merito; detto principio, posto dall’art. 39 c.p.c., e rispondente a irrinunciabili esigenze di ordine pubblico processuale, non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due volte su identica domanda, e determina l’improcedibilità del processo che nasce dall’indebita reiterazione di controversia già in corso, imponendo la cancellazione dal ruolo della causa che risulti posteriormente iscritta (Sez. Un. 8527/07, Cass. n. 15341/05). Nel caso di specie, la mancata definizione dell’azione, per prima proposta, con una decisione di merito, che non c’è mai stata, deve essere pertanto ritenuta ostativa alla corretta applicazione del principio richiamato, con la conseguenza che il primo profilo di censura coglie nel segno, così come merita di essere condiviso in linea di principio l’ulteriore argomento addotto dalla ricorrente, secondo cui la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l’esistenza – al tempo della proposizione della seconda impugnazione – di una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della precedente; per cui, in mancanza di tale (preesistente) declaratoria, è legittimamente consentita la proposizione di un’altra impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della precedente viziata.

Ma se ciò è esatto, non può trascurarsi in senso contrario che, in materia, vale pur sempre la regola generale secondo cui la proposizione di un’altra impugnazione è utilmente consentita a condizione che il relativo termine non sia decorso. E, con riferimento alla tempestività della seconda impugnazione, occorre aver riguardo non al termine annuale, ma a quello breve, il quale decorre dalla data di proposizione della prima impugnazione. Infatti, la proposizione di un’impugnazione equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata da parte del soggetto che l’abbia proposta e, pertanto, fa decorrere il termine breve per le ulteriori impugnazioni nei confronti del medesimo e/o delle altre parti, (cfr Cass. 20912/05. 2607/00, 996/05, 5953/05, 835/06, 12803/00, 17411/04, 10388/05).

Ed invero, costituisce principio generale del nostro ordinamento quello secondo cui, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di un atto, il dies a quo coincide necessariamente con il momento della conoscenza legale dell’atto medesimo, che consente al destinatario di provvedere alla sua impugnazione. Con la conseguenza che, maturata la decadenza, l’avvenuto decorso del termine non consente l’utile esercizio di un’altra impugnazione anche nell’ipotesi in cui il medesimo atto per mero errore sia nuovamente portato a conoscenza legale del destinatario, previa ulteriore notificazione, così come risulta avvenuto nel caso di specie.

Tutto ciò premesso, si deve infatti sottolineare che nella vicenda in esame, a fronte di un primo avviso notificato in data 23 novembre 2001 e di un primo ricorso risalente al 22 gennaio 2002, il secondo ricorso è stato proposto dalla società ricorrente in data 8 maggio 2002 vale a dire ben oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla legge, quando pertanto la società era già ampiamente decaduta. Con la conseguenza che il ricorso introduttivo della lite era comunque inammissibile e che il dispositivo della sentenza di secondo grado, nel respingere l’impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado, deve essere ritenuta conforme a diritto.

Consegue ulteriormente che, corretta la motivazione della sentenza dì secondo grado nei termini riportati, a norma dell’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c., la sentenza stessa non va soggetta a cassazione ed il ricorso deve essere rigettato. Data la peculiarità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

 

 

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