Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18515 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

La Vittoriese Sas di Lombardo Giuseppe & Giambattista,

società

fallita, in persona dell’ex legale rappresentante L.

G., elettivamente domiciliato in Roma via Crescenzio 91

presso lo studio dell’avv. LUCISANO Claudio e rappresentata e difesa

giusta procura speciale in calce al ricorso dallo stesso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 19.5.05, depositata in data 23.6.05, della

Commissione tributaria regionale del Piemonte;

nonchè

sul ricorso proposto da:

L.G., Lo.Gi., L.R. e

Z.R.C., elettivamente domiciliati in Roma via

Crescenzio 91 presso lo studio dell’avv. Claudio Lueisano e

rappresentati e difesi giusta procura speciale in calce al ricorso

dallo stesso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 20.5.05, depositata in data 14.7.05, della

Commissione tributaria regionale del Piemonte;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.6.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udito il P.G. in persona del Dr. LECCISI Giampaolo che ha concluso

per la nullità de giudizio con rimessione degli atti al primo

giudice, in subordine per il rigetto dei ricorsi con le pronunce

consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 24 novembre 2000 l’Ufficio delle Entrate di (OMISSIS) notificava alla società La Vittoriese Sas di Lombardo Giuseppe tre avvisi di accertamento, il primo per Ilor 1994 ed il secondo per Ilor 1995, con cui rettificavano il reddito di impresa dichiarato, ed il terzo per IVA 1995. Tali avvisi traevano origine da una verifica fiscale eseguita dalla G. di F. di Torino.

La contribuente, deducendo che gli avvisi si fondavano esclusivamente su presunzioni basate sui movimenti bancari della società e dei singoli soci e che allo stato non era in grado di giustificare i flussi bancari perchè i mastri contabili erano in possesso della polizia tributaria, impugnava gli avvisi con distinti ricorsi presso la CTP di Torino. Nelle more, nel gennaio 2003, la società era dichiarata fallita con il suo socio illimitatamente responsabile L.G., il quale proseguiva la lite in quanto il curatore fallimentare, previa autorizzazione del giudice delegato, non coltivava il contenzioso. La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva i ricorsi. Proponeva appello l’ufficio e la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva i gravami dopo averli riuniti.

Avverso la detta sentenza La Vittoriese Sas di Lombardo Giuseppe &

Giambattista ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Intanto, come risulta dal ricorso n. 28439/06 R.G., a seguito del processo verbale di constatazione formato nei confronti della detta società l’Ufficio aveva notificato ai soci L.R., Z. R.C., L.G., Lo.Gi.

distinti avvisi di accertamento relativamente al loro reddito di partecipazione. Gli avvisi si riferivano rispettivamente agli anni 1994 e 1995 per i primi due soci, al solo 1995 per L. G., agli anni 1995 e 1996 per L.G..

I contribuenti proposero distinti ricorsi, accolti dalla CTP adita con sentenze diverse. L’Agenzia impugnava le decisioni e la CTR, riuniti i procedimenti, in riforma delle decisioni impugnate, dichiarava la legittimità degli accertamenti. Avverso tale sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Il Ministero e l’Agenzia resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

n via preliminare, si ravvisa l’opportunità di una trattazione unitaria dei giudizi in esame per ragioni di connessione, sia soggettiva, parzialmente, sia oggettiva, vertendosi in tema di rapporto tra accertamento del reddito di partecipazione di un socio ed accertamento del reddito di una società di persone.

Conseguentemente, va disposta la riunione del giudizio contrassegnato dal n 28439/06 di R.G. a quello di più antica data, vale a dire il giudizio recante il n. 26164/2006 di R.G..

Sempre in via introduttiva, va rilevato che in entrambi i giudizi, unitamente all’Agenzia delle Entrate, che è stata evocata in giudizio e che era stata parte in causa nei procedimenti di appello, si è costituito altresì con due distinti controricorsi anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze. E ciò, malgrado che non fosse stato evocato in sede di legittimità nè fosse stato parte nei giudizi d’appello, che erano stati introdotti dalla sola Agenzia delle entrate (ufficio di (OMISSIS)) con atti depositati il 19.6.2004, vale a dire in data posteriore a quella in cui – ai sensi del D.M. 28 dicembre 2000 e del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 – si è verificata la successione a titolo particolare delle Agenzie delle Entrate al Ministero nel diritto controverso.

Ciò premesso, deve considerarsi che il D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, a partire da l gennaio 2001, ha disposto una successione nella titolarità dei rapporti, poteri e competenze in materia tributaria tra il Ministero (relativamente alle funzioni esercitate dai dipartimenti o da altri suoi uffici) e l’Agenzia delle entrate, da ritenersi due soggetti assolutamente distinti tra loro non essendo configurabile alcun nesso di natura organica tra il primo e la seconda in quanto le agenzie fiscali hanno personalità giuridica di diritto pubblico, con “autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria.

Ne deriva che, a seguito della proposizione degli atti di appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, venne a realizzarsi in modo implicito, ma inequivoco, una situazione analoga a quella di un’accettata estromissione dai giudizio dell’Ufficio periferico del Ministero, con l’ulteriore peculiarità che tale ufficio, in realtà, era stato soppresso per legge e che l’Agenzia delle entrate era rimasta l’unica ed esclusiva parte in causa. Ne consegue che il Ministero non può essere ritenuto legittimato passivamente nei due giudizi di legittimità che sono stati riuniti in quanto le sentenze impugnate non furono pronunciate nei confronti di un suo organo ma nei confronti di un diverso soggetto, cioè la locale Agenzia delle entrate. Con la conseguenza ulteriore che deve essere dichiarata l’inammissibilità dei controricorsi presentati dallo stesso Ministero. Sussistono giusti motivi per compensare tra quest’ultimo ed i contribuenti e spese del presente giudizio di legittimità in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

Ancor prima di esaminare le doglianze dei ricorrenti, occorre richiamare ancora una volta l’attenzione sulla circostanza che nel caso di specie si verte in tema di accertamento del reddito di partecipazione di una società di persone, e che sul piano sostanziale l’accertamento del reddito sociale e l’accertamento del reddito dei singoli soci sono in evidente rapporto di reciproca implicazione (non si può accertare il reddito dei singoli se non accertando il reddito sociale e quest’ultimo condiziona l’accertamento del primo), per cui si è in presenza di un’imputazione automatica del reddito sociale ai soci (presunzione legale iuris et de iure) con l’ulteriore conseguenza che la difesa di questi di fronte alla pretesa erariale (quando non venga contestata la qualità di socio o la quota di partecipazione) deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della società (dal quale dipende la ripresa nei loro confronti), altrimenti la presunzione si risolverebbe in una palese violazione del diritto di difesa e del principio della tassazione in base alla capacità contributiva (artt. 24 e 53 Cost.);

Tali considerazioni hanno indotto recentemente le Sezioni Unite di questa Corte a ritenere che, derivandone la configurabilità di una specifica ipotesi di litisconsorzio necessario tra società e soci, debba preliminarmente essere rilevata la nullità dell’intero processo, con conseguente necessità di regresso dello stesso in primo grado, avendo la controversia ad oggetto la posizione in sci udibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, per cui il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone al giudice adito in primo grado l’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., Sez. un., n. 14815 del 2008). Ne deriva che si deve dichiarare la nullità degli interi giudizi, limitatamente al rapporto tra accertamento del reddito di impresa della società di persone ed i redditi di partecipazione dei soci, cassare pertanto le sentenze impugnate e quelle di primo grado limitatamente ai decisimi sugli accertamenti Ilor ed Irpef, con rinvio delle cause riunite alla CTP di Torino.

Restano infine da esaminare le doglianze, proposte dalla ricorrente società, in relazione all’accertamento Iva per l’anno di imposta 1995. la cui fattispecie si sottrae all’ambito di previsione della richiamata sentenza delle Sezioni Unite in quanto solo, nel caso in cui venga proposto ricorso avverso un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone, o avverso un avviso di rettifica notificato ad un socio, in conseguenza della rettifica del reddito della società, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario originario tra tutti i soci e la società.

E ciò. sempre che il ricorso venga proposto per contestare il reddito della società o le modalità del suo accertamento.

Ora in merito alle doglianze proposte dalla società, deve premettersi che la prima censura, articolata sotto il profilo di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, comma 2 si fonda sulla considerazione che ai fini della valida sottoscrizione dell’atto impositivo non sarebbe sufficiente la qualifica di direttore dell’ufficio occorrendo altresì la qualifica dirigenziale. Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 66, 67 e 68, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 – la C.T.R. avrebbe errato quando ha ritenuto che la rappresentanza in giudizio dell’Agenzia spetterebbe anche ai direttori degli uffici locali e non solo ai direttore dell’Agenzia centrale.

La prima doglianza è infondata. Ed invero, deve rilevarsi a riguardo che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, si limita a prevedere che gli avvisi, con cui sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio, sono sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere assolutamente che il capo dell’ufficio debba rivestire la qualifica dirigenziale. La lettera della norma, pertanto, non accredita all’atto l’interpretazione proposta dalla ricorrente, individuando invece nel capo dell’ufficio, per il solo fatto di essere stato nominato tale, l’agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione Finanziaria, negli atti a rilevanza esterna e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti.

Con la conseguenza che compete al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali, ovvero ad un impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell’esercizio dei poteri organizzativi dell’Ufficio, la funzione di sottoscrivere gli avvisi, con i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti, indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza esaurisce i propri effetti nell’ambito del rapporto di servizio con l’Amministrazione.

Quanto alla seconda doglianza, si deve premettere innanzitutto che non merita di essere condivisa la tesi, sottesa alla doglianza, secondo cui per incompatibilità con il sistema, risultante dall’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, sarebbero rimaste abrogate, sia pure implicitamente, le norme di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 11 e 12, le quali prevedono rispettivamente che parte in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie è l’ufficio del Ministero delle Finanze che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto; che l’Ufficio del Ministero sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso e senza necessità di assistenza tecnica. Al contrario, deve ritenersi che tale sistema sia stato invece mantenuto dalla nuova disciplina, con la sostituzione dell’Agenzia al Dipartimento delle Entrate in tutte le funzioni, anche contenziose, di competenza di questo. Con la conseguenza che agli uffici periferici del Ministero sono subentrati gli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate. Del resto, come hanno già avuto modo di statuire le Sezioni Unite di questa Corte, l’Agenzia delle Entrate e i relativi uffici periferici, i quali costituiscono un’unica persona giuridica, hanno la medesima legittimazione processuale che in passato spettava al Ministero delle Finanze e ai relativi uffici periferici, rispettivamente nel giudizio di cassazione e nelle precedenti fasi, dinanzi alle commissioni tributarie. (Sez. Un. 3118/06). Si deve pertanto concludere per la persistente vigenza del sistema delineato dagli artt. 10, 11 e 12 citati” (cfr sul punto Sez. Un. 3118/06) Resta da esaminare l’ultima doglianza, articolata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2 n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dell’art. 2697 c.c.. Infatti – così motiva la ricorrente la CTR avrebbe errato quando, a fronte della caotica situazione contabile della società, ha ritenuto che l’Ufficio si era correttamente avvalso della presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, contestando che fosse suo onere di fornire ulteriori elementi probatori.

La censura è infondata. A riguardo, mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. 4589/09, conf.

Cass. n. 1739/07). Ai fini di cui trattasi, la prova liberatoria non può essere generica ma deve essere analitica con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario e di ogni prelevamento in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.

Con la conseguenza che nel caso di specie competeva alla società contribuente dare giustificazione dei versamenti e dei prelevamenti annotati sui conti e non risultanti dalle scritture contabili aziendali, da intendersi altrimenti come ricavi non dichiarati ossia come espressione di operazioni fiscalmente rilevanti ed imponibili.

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame proposto dalla società contribuente, relativamente all’avviso di accertamento IVA 1995, siccome infondato, deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali in quanto l’orientamento giurisprudenziale si è consolidato dopo l’introduzione dei giudizi.

P.Q.M.

La Corte riunisce al ricorso n 26164/06 quello recante il n. 28439/06; dichiara inammissibili i controricorsi del Ministero;

pronunciando sui ricorsi proposti rispettivamente dalla società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento Ilor ed irpef, dichiara la nullità degli interi giudizi, cassa le sentenze impugnate e quelle di primo grado limitatamente al decisimi sui detti accertamenti, con rinvio della causa alla CTP di Torino; rigetta il ricorso proposto dalla società nei confronti dell’Agenzia, relativamente all’avviso di accertamento IVA per l’anno di imposta 1995. Compensa le spese tra tutte le parti in causa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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