Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18513 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.A., in proprio e quale ex titolare della ditta

Pasticceria (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, via

Vittoria Colonna, n. 40, presso l’Avvocato Enrico Dante, che la

rappresenta e difende con l’Avvocato Bertaggia Lorenzo per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., e Ministero

dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende secondo la legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 21/26/05 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte e Valle d’Aosta, depositata il 29.9.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 10 giugno 2010 dal relatore Cons. Dr. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Uditi, per i ricorrenti, l’Avvocato Lorenzo Bertaggia e, per i

controricorrenti, l’Avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La signora V.A., in proprio e quale ex titolare della Pasticceria (OMISSIS) corrente in (OMISSIS), impugnò l’avviso di rettifica notificato il 13.2.1997, con cui l’ufficio IVA di Torino chiedeva, a seguito d’indagini bancarie svolte dalla guardia di finanza, il pagamento, relativamente all’anno 1992, delle complessive somme di L. 29.723.000 per IVA evasa, e di L. 128.248.000 per sanzioni.

1.2.- La sentenza n. 442/14/97, con cui la commissione tributaria provinciale di Torino aveva respinto il ricorso, fu parzialmente riformata, a seguito di appello della contribuente, dalla commissione tributaria regionale del Piemonte e Valle d’Aosta che, con sentenza n. 49/7/99, dichiarò non imponibili alcuni importi risultanti dagli accertamenti bancari e ridusse le sanzioni irrogate.

1.3.- Questa suprema corte, con sentenza n. 6077 del 16.4.2003, accogliendo il ricorso della contribuente – avendo ritenuto fondato, sotto il profilo del vizio di motivazione, l’unico motivo di censura -, annullò la sentenza impugnata e rinviò la causa ad altra sezione della stessa commissione regionale, relativamente al “problema della valenza delle movimentazioni bancarie e della dichiarazione resa da un terzo”.

1.4.- Il giudice del rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto parzialmente l’appello, riducendo ulteriormente di L. 100.912.000 il reddito accertato dall’ufficio, previo esperimento di consulenza tecnica per la determinazione, anche in base alla documentazione offerta dai contribuenti ed acquisita agli atti, dei soli movimenti bancari sicuramente riconducibili all’attività dell’impresa e quindi significativi al fine dell’accertamento del reddito.

1.5.- Contro tale sentenza ricorre ora la contribuente, chiedendone la cassazione sulla base di dieci motivi, illustrati da memoria.

Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate resistono mediante controricorso.

2.- Motivi del ricorso.

2.1.- La contribuente propone dieci motivi di ricorso, per vizi della motivazione e violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 51, 54; artt. 2697, 2727, 2729 c.c.; oltre che degli artt. 3, 24, 53 (ottavo motivo) e art. 111 Cost., in relazione al quarto, al sesto ed al decimo motivo; ed anche dell’art. 112 c.p.c., in relazione al quinto ed al sesto motivo.

Tali motivi di censura concernono la pretesa mancata considerazione, da parte de giudice del rinvio, ovvero l’erroneità della sua pronunzia, in relazione ai seguenti rispettivi punti:

2.1.1.- ammontare dei “movimenti in uscita” dai conti correnti esaminati, che il consulente tecnico d’ufficio (come pure quello di parte) ritiene “giustificati” nella misura di L. 75.781.615, e che invece il giudicante a quo, immotivatamente, non deduce dal reddito;

2.1.2.- illegittima estensione dell’accertamento a conti correnti bancari intestati a terzi (marito e figli di V.A.);

2.1.3.- illegittimità dell’accertamento bancario per assenza di contraddittorio, e conseguente valore meramente indiziario di esso;

2.1.4.- estraneità all’imponibile di alcune somme versate in conto corrente, provenienti da terze persone per motivi non afferenti alla gestione dell’impresa (donazioni, restituzione di mutui), come provato documentalmente;

2.1.5.- estraneità al reddito d’impresa di somme di denaro provenienti da rimborsi assicurativi documentati;

2.1.6.- estraneità al reddito d’impresa di somme di denaro provenienti da contratti di locazione d’immobili, riconosciute solo nella misura di L. 54.678.000, nonostante le prove documentali offerte e le ammissioni dello stesso ufficio;

2.1.7.- estraneità al reddito d’impresa di somme di denaro, erroneamente calcolate dal consulente, provenienti dalla gestione di una palestra intestata al figlio; 2.1.8.- erronea computazione, fra i redditi d’impresa, di ricavi calcolati due volte dalla guardia di finanza (in contabilità e poi come versamenti in conto corrente);

2.1.9.- omessa motivazione in ordine alla dedotta non imputabilità al reddito d’impresa di somme versate in conto durante i periodi di chiusura dell’esercizio;

2.1.10.- assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti a sostegno dell’accertamento e dell’avviso di rettifica.

2.2.- Con la memoria illustrativa la ricorrente, fra l’altro, eccepisce inammissibilità del controricorso presentato dall’amministrazione, perchè privo dell’esposizione del fatto.

3.- Decisione.

3.1.- l motivi d’impugnazione sono in gran parte inammissibili e, per il resto, infondati, per le ragioni di seguito espresse, sicchè il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

3.2.- L’eccezione d’inammissibilità del controricorso, per la ragione detta sopra (par. 2.2), è infondata.

Il collegio condivide, in proposito, la prevalente giurisprudenza di questa suprema corte (Cass. nn. 11175/2002, 7998/2002, 8746/1997, 7525/1996, 1341/1996, 4549/1989; contro, Cass. nn. 14627/2001, 1116/1982) secondo la quale tale atto – avente la sola funzione, quando non contenga un ricorso incidentale, di contrastare l’impugnazione altrui – può limitarsi a richiamare l’esposizione dei fatti che si legge nel ricorso principale, di cui, nel caso specifico, è “dato per noto il tenore”, evidentemente accettato.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- La sentenza impugnata perviene alla decisione di ridurre ulteriormente il reddito accertato dall’ufficio, relativamente all’annualità d’imposta 1992, nella misura di L. 100.912.000, risultante dalla considerazione, ad opera del consulente tecnico d’ufficio, di movimenti di denaro in conto corrente relativi ad operazioni non riconducibili alla gestione dell’impresa, d’accordo con la documentazione versata in atti, o presuntivamente attribuibili a soggetti diversi dall’imprenditore.

Aggiunge di non potere, invece, escludere dal reddito altre somme, derivanti da pretese donazioni di una parente poi defunta e da pretesi rimborsi di prestiti, atteso che non sono “in atti elementi e/o documenti tali che consentano di giustificare, in via presuntiva, la relativa sussistenza e comunque la loro effettiva esclusione dalle movimentazioni recuperate a tassazione per l’anno in contesa”.

Precisa che, “mancando in atti ogni e qualsivoglia documento dal quale dedurre con apprezzabile certezza la provenienza e la causale di dette operazioni, difettano … i dati ed elementi dai quali dedurre presuntivamente la loro estraneità all’attività propria dell’appellante”.

4.2.- Tanto premesso, si osserva quanto segue.

4.2.1.- Il primo motivo di censura (par. 2.1.1) è inammissibile, per genericità e mancanza di autosufficienza.

Sostiene infatti la ricorrente che alcuni prelevamenti in conto corrente sarebbero stati “giustificati” dal consulente tecnico d’ufficio (ed in misura ancor maggiore da quello di parte), cioè sarebbero stati ritenuti non afferenti all’attività ed al reddito d’impresa, ma il giudicante a quo non avrebbe dato alcun peso a tale conclusione peritale.

Si deve ritenere, in proposito, che a fronte di una pronunzia interamente basata sulle risultanze della consulenza, apprezzata dal giudicante per avere “consentito una ricostruzione dettagliata delle fonti” del reddito, così da permettere l’esclusione certa o presuntiva di alcune voci e l’inclusione di altre, non è sufficiente allegare un preteso difetto di motivazione atteso che è comunque inesistente la denunziata violazione di legge -, essendo altresì necessario, onde evitare che la lagnanza consista nella mera contrapposizione di una propria opinione a quella del giudicante o nella inammissibile proposta di revisione di un giudizio di mero fatto (Cass. nn. 12052/2007, 12446/2006, 3904/2000), che la censura sia sostanziata dalla trascrizione nel ricorso di quei passi dell’elaborato peritale che renderebbero evidente la pretesa omissione di giudizio, e delle relative critiche che il giudicante a quo non avrebbe considerato (Cass. nn. 18688/2007, 13845/2007, 4885/2006 ed altre); non costituendo peraltro vizio di motivazione della sentenza l’allegazione di differenti conclusioni del consulente tecnico di parte (Cass. n. 8355/2007).

In difetto di ciò, il motivo è inammissibile.

4.2.2.- I motivi di ricorso riferiti ai par. 2.1.2, 2.1.3 e 2.1.10 sono inammissibili, perchè si riferiscono ad altrettante questioni coperte dal giudicato interno, siccome già dedotte col precedente ricorso per cassazione e disattese da questa suprema corte (anche relativamente all’inesistenza dell’obbligo di contraddittorio ed all’onere del contribuente di giustificare le movimentazioni bancarie) con la citata sentenza n. 6077/2003, che aveva annullato la pronunzia della commissione regionale ed aveva rinviato la causa limitatamente al difetto di motivazione sul problema, posto dalla contribuente, “tra l’altro”, nell’atto d’appello, relativamente alla valenza delle movimentazioni bancarie alla luce delle dichiarazioni rese da un terzo.

4,2.3.- I motivi di ricorso elencati ai par. 2.1.4, 2.1.5, 2.1.6, 2.1.7 e 2.1.8 sono inammissibili, per le stesse ragioni esposte al par. 4.2.1, giacchè si risolvono in una valutazione dei ricorrenti, diversa da quella assunta insindacabilmente dal giudice di merito (per cui v. par. 4.1), in ordine all’attendibilità di documenti e di elementi presuntivi oggetto d’indagine e di esame anche da parte del consulente tecnico d’ufficio, ovvero alla precisione di calcoli effettuati da quest’ultimo; senza trascrizione puntuale nel ricorso dei passaggi controversi dell’elaborato peritale e delle relative critiche di parte, eventualmente ignorate dalla sentenza impugnata.

4.2.4.- Il nono motivo (par. 2.1.9) è infondato, non essendo esatto che non sia stato motivato, ovvero che sia stato motivato in modo insufficiente o contraddittorio, il rigetto della lagnanza riguardante la pretesa estraneità al reddito imponibile di versamenti in conto corrente effettuati durante periodi di chiusura dell’esercizio. In realtà, la commissione regionale, avendo conferito al consulente l’indagine contabile sulla documentazione bancaria, ed avendo così ottenuto “una ricostruzione dettagliata” delle voci riconducibili al reddito d’impresa, ha potuto discernere, ed ha eliminato dall’imponibile, tutte e soltanto quelle che ha ritenuto estranee; assumendo invece, logicamente, tutte le altre come costitutive di tale reddito. Nè il giudice di merito è tenuto a motivare specificamente il rigetto di ogni singola difesa, quando le argomentazioni usate sono congrue e sufficienti, di per sè, a sostenere la decisione (Cass. nn. 11193/2007, 5235/2001).

4.3 – Si conclude nel senso indicato al par. 3.1.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 4.000,00 (quattromila) per onorari; oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

 

 

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